Ciao, Carlo! Quartucci, da sessant’anni protagonista del teatro italiano

Il funerale sarà venerdì 3 gennaio, alle 12 alla chiesa della Natività di Roma

Pubblicato il 01/01/2020 / di / ateatro n. 170

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
“Ho conosciuto Carlo Quartucci quando ero giovane redattore in Ubulibri e abbiamo pubblicato Verso Temiscira, che raccontava il corpo a corpo di Carlo Quartucci e Carla Tatò con Heinrich von Kleist, tra l’Italia e Berlino. Era un libro ‘impossibile’, perché per Carlo esisteva solo il qui e ora dell’evento, l’opera era evento, aperto alle contaminazioni, al caso, agli incontri, a tutte le possibili derive del senso… Come trovare una forma? Sarebnbe stata una gabbia! Avevo letto la bellissima epopea di Camion e pensavo che quella e Verso Temiscira fossero l’avanguardia: il laboratorio, la multimedialità, le contaminazioni, l’opera aperta. Sempre oltre. Era il nuovo, certo! Poi Carlo mi ha raccontato la sua vita, la sua infanzia, una famiglia di attori girovaghi tra la Sicilia e la Calabria, radicata nella tradizione degli scavalcamontagne. E’ stata una delle grandi lezioni di teatro della mia vita. Ho cercato di non dimenticarla” (Oliviero Ponte di Pino).

Il funerale in onore di Carlo Quartucci – deceduto all’alba del 31 dicembre 2019, all’Ospedale San Giovanni di Roma dove era ricoverato da circa un mese – , si terrà venerdì 3 gennaio alle ore 12 alla chiesa della Natività, in via Gallia (vicino al numero civico 162), a Roma.
Carla Tatò ha scelto questo luogo perché nel 1959 Carlo vi debuttò con Aspettando Godot di Samuel Beckett. Allora il sacerdote era Don Gino della Torre, un prete di sinistra, aperto alle arti. Il funerale vuole essere anche una festa “in amicizia hic et nunc” e un “buon viaggio a Carlo” tutti insieme amici, familiari e compagni d’arte e di vita scenica, persone che hanno affiancato, collaborato, apprezzato e vissuto il lungo e intenso percorso artistico improntato alla ricerca, che per Quartucci è stata sempre una continua sfida di coraggio e un continuo viaggio di scoperta.
“In fondo ‒ amava ripetere ‒ non mi interessa definire cosa sia teatro. Mi interessa incontrare sguardi artistici che stravedono”. Per cinquant’anni Carlo Quartucci ha viaggiato nel teatro senza mai definirlo ma interrogandone il senso e sperimentandone le forme, con un vitalità ludica e visionaria profondissima, una energia travolgente e instancabile.
Siciliano, figlio d’arte, poi brillante studente di architettura, amante di Van Gogh e Malevic, è nel 1964, accanto ai primi compagni di viaggio Claudio Remondi, Rino Sudano, Leo de Berardinis, regista di un memorabile Aspettando Godot a Genova. Seguono Cartotecca, Zip Lip Lap… (insieme a Giuliano Scabia e Lele Luzzati), alla Biennale di Venezia nel 1965, Majakovskij & compagni, quindi l’inizio della intensa collaborazione con Jannis Kounellis a partire dai Testimoni, e poi Lavoro teatrale (sempre alla Biennale nel 1969), quindi il suo straordinario lavoro in radio e in televisione negli anni Settanta, la collaborazione con Roberto Lerici, con Primo Levi, con Giulio Paolini. Carlo Quartucci ha attraversato intensamente gli anni di avvio del Nuovo teatro italiano, in una continua interrogazione sul suo significato, sperimentando forme e mettendo in discussione radicale ruoli, luoghi e l’intero apparato teatrale.
Quando poi nel 1971 compra un Camion e lo dipinge di bianco e inizia il suo percorso
in giro per l’Italia, inizia un nuovo viaggio. Camion “carica” e “scarica teatro”. Non realizza spettacoli, opere chiuse; compie azioni. E l’azione può consistere nel trasloco di materiali, nel caricare e scaricare oggetti, persone, pezzi di teatro da una piazza all’altra delle periferie urbane o dei paesi di campagna: un barbiere, un attore, un teatro di pupazzi, Casa di bambola… Sul Camion dal 1973 c’è anche Carla Tatò. E tantissimi altri artisti, compagni, amici, in giro per l’Italia, nelle periferie delle città, in un movimento perpetuo.
A partire dagli anni Ottanta, il teatro di Carlo Quartucci e Carla Tatò è sempre più un teatro che si realizza come comunità di artisti, di persone, di spazi: a Genazzano nel 1981, il progetto “La Zattera di Babele” mette in dialogo per mille giorni famiglie di artisti, spazi, culture, linguaggi, pittori, artisti visivi, musicisti, scrittori, poeti, critici, direttori, curatori, cineasti: Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Roberto Lerici, Germano Celant, Rudi Fuchs, Daniel Buren, Henning Christiansen, Bob Ashley, Andres Neuman, Ritzaert ten Cate, Lawrence Wiener, Giovanna Marini, Luigi Cinque…
È un “pensiero artistico, è teatro internazionale: “La Zattera di Babele” e si muove da Genazzano e poi da Erice. È ospitata e “abita” nei musei, nelle gallerie e nei teatri e negli spazi dell’archeologia artistica e culturale del mondo a Vienna, Parigi, Erice, Sydney, Edimburgo, Kassel, Berlino…
È un teatro interdisciplinare, come era stato fin dagli anni Sessanta: l’obbiettivo di sperimentare, scoprire e costruire fattivamente una nuova lingua della scena attraverso le interferenze di pratiche artistiche a confronto è la linfa che nutre i diversi progetti realizzati nel corso degli anni.
È la “Drammaturgia delle Arti & degli Artisti”. Sono “I Paesaggi Drammaturgici”. Anche “in pupitudine antica”.
È un teatro che pone al centro l’attore. Anche una luce è un attore, lo è un colore, lo è un musicista. Lo è il regista.
È un laboratorio permanente.
È un teatro che lavora sulla memoria con i giovani. L’impegno per un’eredità culturale dal vivo ha condotto Quartucci e Tatò portare avanti per anni un discorso di formazione dei giovani, in collaborazione con enti e istituzioni (dai Musei alle Università).
È sempre un viaggio per raggiungere nuove mete mai definitive. E per rilanciarle “oltre”.