L’editoriale

Una piccola cosa

Pubblicato il 15/09/2001 / di / ateatro n. 019

Questo è un punto di vista piccolo piccolo rispetto all’iniezione di odio che il mondo intero ha subito in questi giorni e alle sue ricadute. Di fronte a un orrore e a un assurdo di queste dimensioni, ogni commento e riflessione rischia di apparire inutile e presuntuoso. Allora, anche per placare l’angoscia, proviamo a mettere in fila alcuni fatti, forse marginali, per cominciare questo numero di “ateatro”.
A New York, dopo l’attentato alle Twin Towers, su indicazione del sindaco e delle altre autorità, il mondo della cultura e dello spettacolo ha deciso di riprendere l’attività appena possibile. I problemi ovviamente sono numerosi: l’allerta per possibili nuovi attentati (in particolare nella zona di Times Square) con tutti i rischi per la sicurezza in luoghi affollati come teatri, cinema e musei; il lutto di molti artisti che hanno perso parenti e amici (un interprete di Contact, uno degli spettacoli di maggior successo di questi anni, ha perso due familiari); le difficoltà di raggiungere Manhattan (anche perché molti spettatori sono turisti in visita in città); e infine le possibili reazioni del pubblico in sala. Inoltre, molti dei vigili del fuoco coinvolti nel crollo delle Twin Towers prestavano servizio nella zona di Broadway e dunque nei teatri.
Le prime di alcuni film e spettacoli sono in ogni caso state rinviate: tra i film, Collateral Damage (in una scena c’è un attacco a un grattacielo) e Big Trouble (che ruota intorno a materiale radioattivo che viene introdotto clandestinamente in un aeroporto); in teatro, Assassins di  Stephen Sondheim, dove si parla di attentati alla Casa Bianca e al Presidente (il musical aveva debuttato ai tempi della Guerra del Golfo, sconcertando parte del pubblico). Rinviato fino a tempo indeterminato anche Tick, Tick… Boom, il musical di Jonathan Larson, autore del fortunato Rent: i produttori stanno cercando un titolo meno inquietante.
I teatri hanno riaperto giovedì sera, 48 ore dopo il disastro. Il 60-70% degli spettatori che avevano acquistato il biglietto si sono presentati in sala. Molti artisti si erano posti il problema delle reazioni del pubblico: è legittimo ridere e divertirsi in una situazione luttuosa come questa? L’indicazione era di tenere le mezze luci in sala e nei foyer prima dell’inizio degli spettacoli e negli intervalli, e di aprire lo spettacolo con un minuto di silenzio. Per superare il disagio della platea, dei tecnici e degli interpreti, in diversi teatri la serata è iniziata con un canto, prima che si alzasse il sipario («God Bless America» oppure «My Country ‘Tis of Thee»).
Ma c’è stato anche chi ha distribuito una gigantesca torta, preparata per il party della prima ufficiale (che era peraltro stata rinviata).
Diversi teatri e compagnie hanno pensato di regalare biglietti omaggio a pompieri, poliziotti e personale delle ambulanze. La New York City Orchestra, la Metropolitan Opera (che in poche ore aveva già raccolto donazioni per 1 milione di dollari a favore delle vittime), la New York Philarmonic Orchestra (tra gli altri) daranno spettacoli e concerti speciali e devolveranno i ricavi alle vittime dell’attentato.
In molte sale si è deciso di lasciare al centro della scena una luce sempre accesa, giorno e notte.
Il «New York Times» (da cui sono state ricavate molte di queste info) ha anche pubblicato un articolo di Sarah Boxer sul rapporto tra arte e dolore, che inizia con una citazione dal saggio di Elaine Scarry The Body in Pain: The Making and Unmaking of the World: «Provare dolore significa avere una certezza, sentire parlare del dolore significa dubitare». Tra le altre opere citate, Enduring Creation: Art, Pain and Fortitude di Nigel Spivey (University of California, 2001) e Eyewitnessing: The Uses of Images as Historical Evidence di Peter Burke (Cornell University Press, 2001). Conclude Sarah Boxer: «L’idea di un oggetto inanimato che prova dolore diventa forse più sensata per chi ha visto e rivisto le immagini televisive dei due aerei che colpiscono le torri del World Trade Centre e  penetrano al loro interno. Dopo aver visto quegli aerei ferire gli edifici, facendoli diventare prima rossi e poi neri, fino al crollo, l’idea che possano aver provato dolore sembra meno bizarra. Per chi ha indagato i diversi modi in cui il dolore è stato raffigurato e descritto nel passato, questo film ripetitivo può diventare la formula con cui la nostra epoca esprime il suo pathos, un modello destinato a essere immaginato e ri-immaginato, il nuovo Laocoonte».

Redazione_ateatro




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