W.S. Burroughs: istruzioni per l’’uso

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Pubblicato il 02/08/2002 / di / ateatro n. 039

Il programma dell’’élite di governo in 1984 di Orwell era: “Un piede premuto per sempre su un volto umano!”. Questo è naif e ottimistico. Nessuna specie può sopravvivere per nemmeno una generazione sotto un programma simile. Questo non è un programma di dominio eterno, o anche solo molto lungo. E’ chiaramente un programma di sterminio
William S. Burroughs Terre occidentali

 
Un virus ha lentamente infettato il corpo della cultura di fine (e inizio) millennio: un virus dalle movenze eleganti, dalla sintomatologia oscura, così elusivo da sembrare invisibile. Ha un nome: si chiama William Seward Burroughs.
Nato nel 1914 a S. Louis, nel Missouri (USA), tossicomane per molti anni, fanatico di armi da fuoco, amico intimo di Jack Kerouac, Burroughs si avvicina relativamente tardi alla scrittura: il suo primo romanzo, Junkie, lo scrive all’età di trentasei anni. Poco dopo uccide la moglie in un incidente rimasto oscuro e si trasferisce a Tangeri, abbandonandosi sempre più all’uso di droghe pesanti (morfina ed eroina).
Burroughs – sia detto per inciso – non ama gli oppiacei. Ecco come racconta, anni dopo, la sua condizione di tossicomane: “Vivevo in una stanza nel quartiere indigeno di Tangeri. Non avevo fatto un bagno in un anno né cambiato vestiti né mai tolti salvo che per infilarmi un ago ogni ora nella fibrosa grigia legnosa carne della tossicomania terminale. (…) Se un amico veniva a trovarmi – e di rado lo facevano visto chi o che cosa restava da essere trovato – restavo lì seduto senza curarmi che lui era entrato nel mio campo visivo – uno schermo grigio sempre più vuoto e più tenue – e senza curarmi che se ne andasse. Se fosse morto sul colpo sarei rimasto a guardarmi le scarpe in attesa di andargli a frugare le tasche. E voi no? Perché non avevo mai abbastanza droga – nessuno ne ha mai” 1.
Il mondo della droga appare come un’esemplificazione dell’universo del controllo totale.
“La droga – scrive sempre Burroughs nella Prefazione a Il pasto nudo 2è il modello del monopolio e del possesso. E’ il prodotto ideale… la merce finale. Nessuna propaganda è richiesta. Il cliente striscerebbe su da una fognatura a supplicare di comprar. Il mercante di droga non vende il suo prodotto al consumatore, lui vende il consumatore al suo prodotto”.
Il pasto nudo, il testo scritto negli anni della tossicomania più disperata, inocula nel tessuto letterario il virus Burroughs.
Difficile definirlo un “romanzo”: pur essendo stato profondamente rivisto da Kerouac e Ginsberg – che lavorarono per mesi sulla massa di pagine disperse che costituiva il manoscritto originale – Il pasto nudo sembra rifiutare qualsiasi forma di linearità narrativa a vantaggio di una progressione frammentaria che fa germinare continuamente situazioni, personaggi, immagini, abbozzi di storie… Eppure non c’è nulla di caotico, in questo come in tutti gli altri volumi di Burroughs. Le figure che ne attraversano le pagine – il dottor Benway, i Mugwump, William Lee – sono funzioni di quell’algebra del bisogno che è il centro del libro; la dipendenza dalla droga, la Malattia, come metafora di una condizione di mercificazione, controllo, spossessamento, alienazione.
Benché abbia proceduto per tagli e ricomposizioni, scrivendo Il pasto nudo Burroughs non ha utilizzato coscientemente la tecnica del cut-up, che sarà inventata qualche anno dopo, principalmente grazie a Brion Gysin.
Che cos’è un cut-up?
 
“La Metodica cut-up dona allo scrittore il collage, praticato dai pittori da almeno cinquant’anni, usato dalle cineprese, fisse o in movimento. Ogni ripresa per strada è, nei fatti Cut-up, per gli imprevedibili fattori del traffico e delle entrate in campo. E i fotografi vi confermeranno come le loro migliori immagini siano spesso fortuite…e altrettanto gli scrittori.
Il metodo è banale. Vi insegno un modo per agire. Prendete una pagina. Come questa pagina. Ora tagliatela a metà, e ancora a metà. Avete quattro ritagli: 1 2 3 4…Ora ricomponete i ritagli accostando il quattro con l’uno, il due con il tre. Avete una nuova pagina. Talvolta dice le stesse cose, qualche volta dice cose del tutto diverse – il cut-up dei discorsi politici è un’interessante esercizio” 3.

 
Il cut-up è l’arma biologica vincente, quella che ha permesso al virus Burroughs di infettare così in profondità l’organismo della cultura contemporanea. Una cosa molto semplice: taglia-e-incolla.
Vi ricorda niente?
Fare montaggio cinematografico, manovrare un telecomando della televisione, cliccare quando appare la manina sullo schermo del computer sono tutti atti molto molto simili a un cut-up burroughsiano.
D’accordo, il casuale nell’arte aveva fatto la sua comparsa già all’epoca delle avanguardie storiche. Per restare nell’ambito “letterario”, è lo stesso Gysin a ricordare che “in una riunione surrealista, negli anni Venti, Tristan Tzara, l’uomo del nulla, propose la creazione seduta stante di una poesia mediante l’estrazione di parole da un cappello. Il tumulto che ne seguì portò alla distruzione del teatro” 4.
Burroughs, però, sistematizza ed esplicita una pratica fino ad allora soltanto occasionale. Il cut-up è qualcosa di più di un tecnica di scrittura sperimentale, simile al “cadavere squisito” inventato dai surrealisti; è una tecnologia di sovversione della parola, un semplice ma efficacissimo meccanismo che corrode, altera, rovescia ogni discorso. E’ un virus anarcoide e incontrollabile. La sua rapida diffusione nel tessuto culturale contemporaneo si basa sul fatto che l’organismo infettato era già predisposto all’azione del virus. Le tecnologie della comunicazione elaborate nel ‘900 sono tutte centrare sul taglio e sulla ricomposizione di un materiale testuale preesistente (o addirittura, nella diretta televisiva, un materiale grezzo assemblato sul momento): dal cinema, alla televisione, ai programmi per computer, al Web.
Non bisogna però pensare, soltanto perché l’organismo ospite era predisposto ad accogliere il virus, che l’infezione sia innocua o facilmente riassorbibile. Al contrario. Così come possedere recettori efficaci per gli oppiacei rende tanto tremenda la tossicomania, così l’esistenza di profondi meccanismi assemblatori nella cultura contemporanea rende il cut-up distruttivo e sovvertitore. Analogamente, è la facilità con la quale la tecnologia digitale permette la libera riproduzione di copie a rendere tanto feroce la questione del copyright.
Il carattere virale di Burroughs ha permesso di evitare facilmente ogni forma di mummificazione artistica; mentre la beat generation veniva riassorbita in una sottosezione del grande catalogo della cultura-merce (per la precisione, la sottosezione dal titolo “Ribellione giovanile”), Burroughs, più anziano della maggior parte dei beat, continuava la sua esistenza di hombre invisible. La difficoltà di lettura dei suoi testi (dei quali, tra l’altro, solo Il pasto nudo ha raggiunto una certa notorietà) lo teneva al riparo da una visibilità che poteva soltanto danneggiare la sua opera di virus ad azione lenta. Neppure la trasposizione cinematografica del suo romanzo più conosciuto, realizzata da Cronemberg all’inizio degli anni Novanta; nemmeno la riscoperta del nostro scrittore durante gli ultimi dieci-quindici anni, è riuscita a disinnescare la carica infettiva del virus. Di più: nemmeno la morte di William S. Burroughs – un evento del tutto trascurabile nella storia dell’omonimo virus – ha fatto sì che la merce mediale riuscisse a riassorbire il cancro burroughsiano.
Viene da chiedersi cosa ci sia di tanto ostico in uno scrittore di dubbia leggibilità, tossicomane ma contrario all’uso di droghe pesanti, omosessuale ma sposato e con un figlio, rampollo degenere di una famiglia della buona borghesia americana.
Per capirlo, occorre forse leggere un testo non letterario – non credo che la distinzione abbia senso per gli scritti di questo autore, ma prendiamola per buona – “The electronic revolution”, del 1970. Si tratta di un vero e proprio manuale di sovversione mediatica, utopistico e folle ma fin troppo lucido nell’analisi di quella forma di società tardocapitalistica che si andava proprio allora edificando (e che pochi anni prima Guy Debord aveva chiamato “società dello spettacolo”).
Burroughs parte dall’idea che il linguaggio è un virus: “Nella Rivoluzione elettronica avanzo la teoria che il virus è una piccola unità di parola e immagine”. Un virus ha la tendenza innata ad autoreplicarsi, infettando un organismo ospite. La mente umana è l’organismo scelto dal virus del linguaggio per autopropagarsi. Questa bizzarra teoria – che era già stata avanzata, in modo più criptico, ne Il pasto nudo e nei successivi due romanzi La morbida macchina e Nova express – offre la base per una pratica di scardinamento di ogni linguaggio autoritario, di ogni forma comunicante a senso unico.
“Il controllo dei mass media dipende da certe linee di associazioni. Quando queste linee sono tagliate le associazioni si spezzano. Potete tagliare le linee del chiacchiericcio mediatico e creare nuove linee in contatto in contatto con la strada, tramite un semplice registratore a nastro.Suggerisco che la stampa underground adotti l’uso di tecniche di cut-up. Per esempio, preparare un cut-up dei peggiori politici reazionari e metterci intorno le peggiori immagini che riuscite a trovare” 5.
Questo che “è un’estensione del metodo cut-up” è il nucleo della tecnologia sovversiva di William Burroughs. In sostanza: frantumare il discorso dell’avversario rivoltaglielo contro. “Scrambled”, cioè rimescolando e quindi facendo saltare la comunicazione: “un’arma per confondere e annullare le linee di associazione messe in campo dai media”.
Tutte le principali pratiche di sovversione degli ultimi trent’anni passano da qui. Manifesti pubblicitari e fumetti “deturnati” nel 1968, radio libere del 1977, hackeraggio, azioni nel web (tipo costruire falsi siti di organizzazioni ufficiali dove il fascismo di queste organizzazioni viene esplicitato e quindi esposto alla pubblica condanna): sono solo alcuni dei momenti (i più eclatanti) di una metodologia dello stravolgimento comunicativo.
Burroughs è un virus: va studiato, va letto, va capito. Ma soprattutto, va usato.

NOTE
1 Il pasto nudo, The Naked Lunch, 1959. Trad, di Claudio Gorlier, 1992 SugarCo edizioni, pag. 10.
2 Il pasto nudo, cit., pag. 8
3 ReSearch edizione italiana, Shake, 1992, pag. 134
4 ReSerch edizione italaiana, cit., pag. 131
5 William S. Burroughs The electronic revolution, 1970 (ho reperito il testo in inglese in internet. Ignoro se esistano in commercio traduzioni in lingua italiana)

Fabio_Nardini




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