net art & altro

Intervista a Valentina Tanni

Pubblicato il 06/06/2003 / di / ateatro n. 053

Cosa si intende per net art, termine se non sbaglio coniato da Vuk Cosic nel 1995 e quali forme e linguaggi comprende all’interno del mondo del web? Tatiana Bazzichelli qualche mese fa ha aperto una lista di discussione su Activism, Hacker art, Artivism e ricordo una accesa discussione tra alcuni iscritti su cosa si intenda per net art: la posizione di Tozzi intervenuto in quell’occasione era quella di rinunciare al termine preferendo quello di hacker art (sul tema vedi L’etica hacker di Pekka Himanen, Feltrinelli e Hacktivism di Tommaso Tozzi e Arturo Di Corinto, ManifestoLibri, GNU Free Documentatio License e disponibile anche in rete all’indirizzo http://www.hackerart.org/storia/hacktivism.htm)

La net art è un fenomeno complesso e dalle molte facce. Anche a livello terminologico non c’è completo accordo tra gli artisti e gli studiosi. Alcuni fanno una distinzione tra net art e web art, altri, come Tozzi, preferiscono il termine hacker art, altri ancora usano le diverse etichette in maniera interscambiabile. Personalmente, non sono molto interessata alla diatriba terminologica e utilizzo il termine net art per definire un ambito piuttosto vasto, che comprende una serie di progetti e di sperimentazioni artistiche che coinvolgono la Rete, le sue tecnologie, i suoi protocolli, il suo linguaggio. All’interno di questo ambito esistono esperienze estremamente diverse tra loro. Ci sono opere che decostruiscono criticamente le tecnologie di rete, altre che ne indagano le possibilità estetiche, altre ancora che affrontano le ricadute psico-sociali della rivoluzione digitale. Ci sono progetti che studiano l’interfaccia come soglia manipolabile tra l’informazione grezza e la sua visualizzazione e infine altre che hanno un carattere perfomativo o fortemente politico.
La storia dell’«invenzione» del termine net.art (con il punto tra le due parole) è una leggenda molto divertente diffusa da Vuk Cosic e Alexei Shulgin nel 1997. Si tratta di un racconto che circola ancora oggi per e-mail e che testimonia l’ironia e l’inclinazione situazionista di alcuni dei protagonisti del movimento. Secondo questa leggenda fu il malfunzionamento di un software, un errore di conversione, a generare la definizione «net.art». E questo è un buon indizio perché la potenza creativa dell’errore, il rischio del caos, il fascino del crash è uno degli elementi più ricorrenti nelle opere dei net artisti.

Alcuni artisti e gruppi italiani lavorano soprattutto su tematiche attiviste e di impegno, come Tommaso Tozzi, Giacomo Verde e Stranonetwork e hanno predisposto siti di condivisione, liste di discussione che portano l’opera a uscire dal proprio autore per creare comunità tecnologicamente e politicamente consapevoli. Proprio l’opera Netstrike 24-T di Verde-Tozzi contro la pena di morte che richiedeva di assalire i computer del sito del Ministero della Giustizia nel Texas e qwertyu.net di Verde-Voce-Lupone, «web opera» sulle mine antiuomo, sono entrati a far parte del volume di Lara Vinca Masini Arte del Novecento come esempi chiave di arte multimediale. Tu quale credi sia lo specifico della net art?

Sono molti gli artisti del web che scelgono di affrontare tematiche attiviste e sociali e le loro azioni sono estremamente interessanti. La Rete offre, da questo punto di vista, strumenti molto efficaci che favoriscono lo scambio, la creazione collettiva, la costruzione di comunità. E credo anche che sia di importanza vitale che gli artisti lavorino alla costruzione di una coscienza critica nuova, favorendo una maggiore consapevolezza nell’uso della tecnologia. Credo anche che in questo momento il cosiddetto Hacktivism sia la forma più stimolante di controcultura e attivismo.
Tuttavia non me la sento di individuare lo specifico della net art nel «fattore impegno». Credo che la pluralità di approcci al medium Internet da parte degli artisti vada considerata una ricchezza.

Come curatrice di sezioni di net art all’interno di mostre di arte contemporanea, quali criteri usi per selezionare opere e autori? E nel caso, non è una contraddizione dare loro uno spazio fisico concreto e materiale e soprattutto farli entrare nel cosiddetto «sistema dell’arte» magari per un pubblico fatto di ricchi collezionisti alla ricerca del nuovo artista e della nuova tendenza da lanciare sul mercato?

Ho curato una sezione di Net Art all’interno di una grande mostra soltanto una volta. E i risultati sono stati controversi per molte ragioni. Anzitutto i progetti web che ho selezionato non erano «fisicamente» in mostra, ma solo linkati in un cd-rom allegato al catalogo. Quindi si trattava più di una «guida alla net art» che di una vera e propria esposizione. Inoltre non ho mai avuto molta simpatia per questo approccio ghettizzante nei confronti della Net Art. Preferisco che i progetti web vengano inclusi nelle esposizioni con pari dignità insieme a tutte le altre tipologie di opere: quadri, sculture, installazioni, video. Sono un’espressione della cultura artistica contemporanea e non mi piace quando vengono considerati una tendenza modaiola da inserire per rendere la propria manifestazione «updated» e trendy.
Le altre mostre che ho curato, Netizens (www.netizensonline.org) a Roma e L’oading (www.montevergini.it) a Siracusa, erano interamente dedicate all’arte internettiana ed erano entrambe un tentativo di divulgare l’esistenza di questa area di ricerca, sconosciuta al grande pubblico. Senza alcuna volontà di spettacolarizzazione o mercificazione.
Il trasferimento di progetti pensati per il web in uno spazio fisico rappresenta una problematica aperta e sin dalla prima esperienza, nel 1997 a Documenta, ci si è subito scontrati contro la differenza sostanziale che esiste, a livello di fruizione, tra il rapporto che c’è tra lo spettatore e l’opera di net art nel privato della propria abitazione e quello che si crea in uno spazio espositivo. Nelle mie mostre ho sempre cercato di coinvolgere gli artisti nell’allestimento, chiedendo loro in che modo volessero che la loro opera fosse fruita perché penso che la possibilità di utilizzare uno spazio «fisico» sia una preziosa opportunità per “reinterpretare” i progetti web, immaginando «interfacce alternative» all’opera.
Si possono utilizzare proiezioni, realizzare ambienti interattivi, mettere a disposizione materiale informativo, e organizzare eventi performativi. Mettere una fila di computer collegati in un asettico ambiente in stile «ufficio» non ha senso. Una mostra deve essere un’esperienza che mixa spazio reale e virtuale. Altrimenti lasciamo che la Net Art venga fruita da ogni utente dal computer che desidera, nel luogo che desidera.
Per quanto riguarda la questione dell’entrata nel «sistema dell’arte», mi sembra un falso problema. La natura stessa di questo tipo di arte la rende estremamente restia alla commercializzazione e non mi risulta che esista alcun mercato della Net Art. Si campa di auto-produzione e di commissioni istituzionali. Mi sembra importante invece che l’interesse per i progetti web d’artista sia venuto prima da musei e istituzioni e, solo in seconda battuta e quasi esclusivamente negli Stati Uniti, dalle gallerie private. Il mercato non si interessa alla Net Art per due motivi: prima di tutto non sa come venderla e la fascia di collezionisti disposti a comprare anche solo un video è molto ristretta, figuriamoci un progetto di Net Art, che spesso come residuo materiale è vicino al nulla. Il secondo motivo è di carattere culturale: per apprezzarla è necessario un minimo di conoscenza del digitale, delle Reti, bisogna conoscere l’importanza e i meccanismi della telematica. E in Italia, mi dispiace dirlo, questo tipo di cultura è ancora molto acerbo. Spopolano espressioni ridicole come «cyberpittori» e «pennelli elettronici». Figuriamoci.

Nel libro di Pizzo Teatro e mondo digitale si parla di alcune esperienze internazionali di performance on line o web theatre e i frequentatori della rete teatrale conoscono senz’altro l’esperimento di Hamnet: rientrano nell’ambito delle tue ricerche e se si, conosci qualche nome o qualche gruppo di riferimento?

L’incontro tra il mondo del teatro e quello delle tecnologie digitali è un’area che finora non ho approfondito a sufficienza, essendo per formazione uno storico dell’arte, ma rientra di sicuro tra i miei obiettivi di ricerca. La performatività associata all’uso di dispositivi di trasmissione e di interazione a distanza come chat, web-cam e collegamenti satellitari genera esperimenti molto interessanti. Le reti telematiche favoriscono per loro stessa natura gli eventi diffusi e dislocati e le opere che lavorano sui tempi e sugli spazi. Il qui e ora del teatro tradizionale, in cui attori e spettatori condividono uno stesso spazio, è un fattore che si presta ad essere ridefinito e rimesso in discussione. Bisogna anche ricordare che la Net Art attuale è un po’ figlia, nel suo uso creativo dei network e degli strumenti della comunicazione a distanza, di quel filone di sperimentazioni artistiche che possono essere definite «telecommunication art». Mi riferisco alle azioni in tempo reale che nel corso degli Anni Settanta e Ottanta si servivano dei satelliti, del fax, della slow scan tv. Porta quindi l’elemento performativo nel suo DNA.
Oltre naturalmente ad Hamnet, che hai appena citato, e al lavoro di Giacomo Verde (webcamtheatre), che sicuramente i nostri lettori conoscono, tra le esperienze di tipo teatrale che ho apprezzato maggiormente posso citarne due. La prima è Ballettika Internettika di Igor Stromajer ( http://www2.arnes.si/~ljintima1/ballet), un net artista che non a caso ha alle spalle una lunga attività come regista teatrale. Si trattava di una performance in cui si mescolavano il linguaggio della danza con quello informatico dei codici html, il tutto trasmesso via webcam, con un refresh delle immagini effettuato ogni 20 secondi.
L’altra è una performance realizzata da Ricardo Dominguez e Coco Fusco nel 2001 (http://www.kiasma.fi/kiasma01/teatteri/dolores/dolores.php). Fu trasmessa in Rete in diretta dal Kiasma, il museo di Arte Contemporanea di Helsinki ed era basata su una storia vera, quella dell’operaia messicana Dolores rinchiusa dal suo capo in una stanza senza acqua, cibo e telefono per 12 ore, nel tentativo di convincerla a firmare le sue dimissioni. La net performance metteva in scena, sotto gli occhi delle webcam e nell’epoca della sorveglianza globale, una realtà alla quale nessuno aveva assistito.

Tu hai un sito all’interno del portale Exibart – Random – ricco di articoli, recensioni e un blog divertente e frequentatissimo; come li organizzi?

Ho in realtà due rubriche – ExiWebArt( http://exiwebart.exibart.com/) e Random (random.exibart.com) – all’interno del portale Exibart dal 2000. Una dedicata agli approfondimenti e l’altra alle news. Random è poi diventato un sito autonomo a tutti gli effetti, anche se è tecnicamente un sottodominio di Exibart. Per entrambe mi avvalgo della collaborazione di una decina di ragazzi che con entusiasmo e dedizione al progetto mi aiutano nella redazione dei contenuti. Per quanto riguarda la gestione tecnica e l’inserimento on line delle notizie invece me ne occupo da sola. Questo, nonostante sia un impegno abbastanza duro, considerando che Random è aggiornato quotidianamente, mi permette di scandagliare il panorama delle sperimentazioni creative sul web con costanza, di conoscere gli autori, di creare occasioni di collaborazione.
Il blog ()www.valentinatanni.com) invece è una new entry e si tratta di uno spazio molto personale. Non ha pretese di attendibilità e lo aggiorno quando ne ho voglia. Contiene le mie riflessioni su quello che mi succede. Mi diverto soprattutto a raccontare il sistema dell’arte – che di solito si prende assai sul serio – da un punto di vista ironico. Mi piace sottolineare gli aspetti ridicoli, buffi, le contraddizioni, i vizi, il gossip.

Esistono organizzazioni concorsi espressamente dedicate alle web based work e magari manifestazioni o Festival da suggerire ai lettori? In un numero precedente di ateatro avevamo segnalato la frequentatisisma sezione web art di Villette numerique a Parigi.

Ne esistono molti. Posso segnalarvi gli statunitensi Turbulence (www. turbulence.org) e Rhizome (www.Rhizome.org), l’italiana Digital is not analog (www.d-i-n-a.net, il festival russo Read_me ( http://www.m-cult.org/read_me), dedicato alle sperimentazioni sul software.
In ogni caso per una lista di link più completa vi rimando alla sezione omonima di Random (http://random.exibart.com/NotiziaStandard.asp?IDNotizia=5883&IDCategoria=3141, che cerco di aggiornare spesso e che contiene centinaia di collegamenti utili divisi in sottocategorie.

Valentina Tanni è nata a Roma nel 1976. E’ stata curatrice di varie mostre tra cui L’oading – Videogiochi Geneticamente Modificati (Galleria Civica d’Arte); Netizens – cittadini della rete (Galleria Sala1, Roma 4-22 dicembre 2002); Contemporanea (Siracusa, 17 gennaio-20 febbraio 2003). Cura la Sezione Web della mostra MEDIA CONNECTION. Come i media hanno cambiato l’arte (Palazzo di Esposizioni di Roma, 28 giugno-15 settembre 2001/Palazzo della Triennale di Milano, 18 ottobre-28 novembre 2001). E’ curatrice della rubrica Net Art su “Flash Art” ed è caporedattrice delle sezioni Webart e Libri del portale italiane dell’arte ExibArt (www.exibart.com), curatrice della rubrica ExiWebArt (http://webart.exibart.com) e curatrice del sito RANDOM. Novità dal mondo della net.art, un quotidiano sull’arte in Internet (http://random.exibart.com), e della relativa newsletter settimanale. Insegna al corso di Informatica applicata ai Beni Storico-Artistici all’Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Curatrice del Festival di Net Art BananaRAM (Ancona, MoleVanvitelliana, 18-22 settembre 2002), responsabile della sezione arte digitale del mensile Next Exit Si occupa, per conto della società torinese Artexe, dell’ideazione e del coordinamento del workshop on line inter.face, fase finale del concorso per net artisti e web-designer Art into the Web (www.artintotheweb.com).

Links sulla net art

webart.exibart

random

rhizome

noemalab

neural

netartreview

Anna_Maria_Monteverdi




Tag: netart (2)


Scrivi un commento