Ritratto di Silvio Berlusconi come body artist

Estetica e politica

Pubblicato il 25/01/2004 / di / ateatro n. 063

Silvio Berlusconi prima e dopo le operazioni di plastica facciale a cui si è sottoposto alla fine del 2003.

Perché nella sua ricerca artistica si occupa soprattutto della tecnologia e del corpo?

Credo che in questo periodo si assista a un’’avanzata delle nuove tecnologie. Questo è un fatto estremamente importante dal momento che le nuove tecnologie pongono alcune questioni in riguardo allo statuto del corpo nella nostra società. Presto si arriverà alla manipolazione genetica, perché nulla fermerà la clonazione, e senza dubbio in un brevissimo lasso di tempo si produrranno cloni umani. Non appena si parla di nuove tecnologie immediatamente ci si rende conto che l’essere umano e il corpo sono parte integrante di questo processo. E’ per questo che il corpo sta tornando prepotentemente alla ribalta sulla scena artistica. Per quel che mi riguarda, in tutto ciò che faccio da quando ho iniziato il mio lavoro di artista ho sempre ripensato al corpo, in particolare a quello femminile, e comunque, in generale, al corpo e alla sua funzione all’interno della società di oggi. E ho sempre lavorato in vario modo con il mio corpo e la mia immagine.

Qual è quindi il significato della chirurgia nella sua opera e perché usa la chirurgia in maniera così ironica? Secondo lei quelli che sono i canoni tradizionali di bellezza devono essere trasformati?

In realtà non sono contro la chirurgia estetica ma sono contro l’uso che se ne fa. C’è oggi una standardizzazione completa, che si tratti di uomini o di donne. Quel che cerco di mostrare è che la bellezza può assumere sembianze che non sono considerate canonicamente belle. Attraverso la mia arte vorrei dire al mio pubblico: “Provate a fare quel che vi piace del vostro corpo nel modo che più vi aggrada, cercando di liberarvi di tutti i diktat che vi vengono imposti, sia dalla pubblicità che dalla moda, dai giornali, dal cinema, dai film.” Io dico “fate il contrario di ciò che vi viene imposto”, il mio è un invito a “deformattarsi”.

Lei pensa che il corpo sia un nuovo medium, un nuovo mezzo di comunicazione?

Io ho sempre lavorato sul mio corpo come se fosse una materia da plasmare come io desideravo. Questo processo è estremamente difficile perché c’è sempre una tale pressione sul corpo femminile che mal si sopporta il fatto che le donne siano libere nel rapporto con il proprio corpo e ne facciano ciò che vogliono. Perciò io considero veramente il mio corpo come espressione della mia libertà. In realtà, quel che mi interessa non è il risultato finale, mi interessa che il mio corpo sia diventato un luogo di dibattito pubblico.

Le sue esibizioni destano molto scalpore. Alcuni spettatori rimangono spiazzati nel vedere riproposta in chiave spettacolare un’operazione che solitamente si svolge in una sala operatoria e che viene collegata al dolore.

È estremamente importante per me sottolineare che il rapporto primario che ho con il mio chirurgo non è di dolore. Infatti, il famoso detto “tu partorirai nel dolore”, rivolto alle donne, per me è assolutamente ridicolo visto che ormai disponiamo di tutti i rimedi della farmacopea per non dover partorire nel dolore. Proprio come avviene con la morte. Se abbiamo una malattia crudele che ci conduce alla morte possiamo prendere la morfina, ma questo procedimento appare strano, non è stato ancora assorbito negli usi e costumi. Almeno non in Francia, non so in Italia. La sofferenza è ancora circondata da un alone di prestigio e persino al momento della morte siamo obbligati a soffrire. L’aspetto forse più attuale nel mio lavoro, pertanto, è proprio il fatto che in esso non vi è traccia di dolore, e che io non considero la sofferenza come fonte di purificazione o di redenzione. Per questo lavoro il corpo in una maniera del tutto diversa e senza la paura costante che il cielo ci cada sulla testa se si mette mano al corpo. Ai nostri giorni esistono magazzini di organi e un gran numero di persone si sono rifatte il naso senza alcun problema psicologico né fisico. Io penso che oggi non siamo ancora pronti per le trasformazioni sociali che ci attendono. In relazione allo statuto del corpo si crede sempre che se interveniamo su di esso ci toccherà qualche disgrazia e perciò non interveniamo su di esso. Ma in realtà siamo perfettamente in grado di plasmarlo.

(testo tratto da una intervista a Orlan a cura di Mediamente).

Il sito di Orlan, da cui sono tratte queste immagini, è semplicemente strepitoso.

Redazione_ateatro

2004-01-25T00:00:00




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