Il Teatro Civico della Spezia: alcune modeste provocazioni

Spettacolo, politica e cultura in una città italiana (che per fortuna è di sinistra...)

Pubblicato il 18/10/2004 / di / ateatro n. 074

Una guerra è in corso tra la direzione artistica del Teatro Civico della Spezia e il suo gruppo politico, i Democratici di Sinistra nella figura dei consiglieri comunali Montefiori e Basile (per i precedenti, vedi anche ateatro 63.15 e la “autodenuncia” di Antonello Pischedda in ateatro 66.20) . Antonello Pischedda criticava qualche giorno fa in una intervista sulle pagine locali del «Secolo XIX» la bassa quota lasciata dal Comune per la programmazione teatrale e soprattutto minacciava di non firmare interamente il cartellone, prendendo le distanze da appuntamenti “commerciali” praticamente imposti per ragioni di “cassa” (“Tanto vale privatizzare il Civico”). Dura replica dei Ds (un vero “siluramento”, titolava «Il Secolo»), che in una lunga nota pubblicata il domenica 17 ottobre («Provocazione incoerente con il ruolo di consulente dell’ente») oltre a non accettare la posizione di Pischedda (consulente a 77 mila euro per il 2002) rilanciavano il progetto Mecenate 90. Il Comune ha infatti affidato a una società di ricerche di mercato il compito di progettare un nuovo possibile assetto del “Sistema Cultura” cittadino e il risultato è stata la proposta di una suddivisione in tre Strutture: 1. Istituzione museale; 2. Archivi; 3. Istituzione Spettacolo. Una riorganizzazione che si rende ancora più urgente dalla recente apertura del CAMEC (Museo d’arte contemporanea) diretta da Bruno Corà, da un orientamento di “snellimento” dei vari uffici culturali e da una necessità di “ottimizzazione” delle risorse. Per inciso, nel 2004 su 786 mila euro assegnati all’attuale Istituzione per i servizi culturali, 221 mila sono andati al teatro soltanto per coprire le spese di gestione. L’attività di spettacolo viene finanziata quasi esclusivamente con gli incassi, sponsor e con l’affitto del teatro («Il Secolo XIX», 17 ottobre 2004).
I due esponenti Ds apprezzano l’idea di una Istituzione Spettacolo che miri a una “rete provinciale” della programmazione teatrale. Quello che in molte regioni italiane è una realtà già ampiamente consolidata alla Spezia, per certi aspetti Sud del mondo teatrale, è ancora in una fase di discussione. La prima domanda è: quali cariche verranno eliminate o come verranno riconvertite? In questa prospettiva la direzione del Teatro dovrebbe passare a una commissione allargata presumibilmente eletta dall’ Istituzione e dalla Provincia, con rappresentanti politici e tecnici. Assetto di cui già si discuteva sin dall’inizio dell’estate, all’interno del direttivo dell’Arci. Quindi niente di nuovo. Quello che colpisce è proprio il tempismo della dissociazione del direttore dagli «affari istituzionali teatrali» che sembra lasciare campo libero al nuovo assetto politico-amministrativo in un momento di gravi tagli al Settore Spettacolo, facendosi per giunta paladino di proposte di qualità finite per colpa altrui miseramente in minoranza….
Una motivazione che fa sorridere se diamo un’occhiata alla programmazione di spettacolo di questi anni che portava anche la sua firma (pensiamo solo alla catastrofica gestione del Festival del Jazz 2004). Quindi un allontanamento volontario per motivi etico-artistici (i soldi non c’entrano…) per andare dove? In molti dicono per ricoprire un’importante carica dentro la Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, quella che ha da sempre appoggiato e finanziato l’attività del Teatro Civico e di fatto anche la struttura che ha garantito ossigeno economico alla cultura in città, sia pur imponendo linee di indirizzo che non erano affatto piaciute al sindaco DS Giorgio Pagano. Quindi l’impressione è che non ci sia un terremoto in corso, solo uno spostamento e un rinforzamento di sedie già preordinato. (redazione ateatro)

Da tempo abbiamo assistito impotenti – ma a volte denunciandolo – all’inarrestabile declino di un teatro cittadino che vanta una gloriosa storia. E non siamo così convinti che questo dipenda unicamente dalle ormai scarse risorse economiche delle casse comunali: lo ha indebolito e eroso di più la monolitica concentrazione di potere accumulata ai vertici secondo modalità di gestione che oggi vanno per la maggiore: monodirezionalità, personalismi e protezionismi, poca trasparenza. Niente di eccezionale: esattamente quei mali che infestano gran parte del teatro italiano (oggi denunciato in convegni e su riviste specializzate). Ma oggi la piaga è conclamata: la cultura non paga, nel senso che di soldi non ce ne sono più per nessuno e chi ha impostato la propria attività manageriale su questo, adesso abbandona la barca che affonda. Credo sia legittimo domandarci quanto è costata la gestione del Teatro Civico dal 1999 ad oggi, quanti sono stati i costi per il consulente e per il personale e a quanto ammontano gli straordinari per le strepitose Grandiestati. Dal mio punto di vista credo che se bisogna sferrare un attacco (o un siluro, come titola il giornale) questo vada indirizzato a una mancata linea di indirizzo programmatico e a uno scollamento dagli obiettivi regionali. La direzione del Teatro Civico non si è praticamente mai preoccupata di inserire nella sua “agenda” una seria attività di formazione, di istituire corsi legati alle professioni e all’imprenditoria dello spettacolo, di promuovere un’osservatorio e un’attività di archivio e di memoria, di formare una classe di progettisti culturali e teatrali in grado di dialogare con altre realtà territoriali, provinciali e regionali, di creare una rete di contatto con altre realtà produttive regionali. Ancora, non sono mai state fatte convenzioni con Istituzioni formative superiori (Accademie di Belle Arti o Dams, peraltro molto vicine: Carrara, Pisa e Genova). Era prioritario poi identificare sin da subito un gruppo teatrale nazionale che avesse nel Teatro una residenza, e che usasse questo come “luogo laboratoriale” dove i giovani che si avvicinano al teatro avrebbero potuto imparare nella pratica della messinscena, i mestieri dell’arte, e una base da cui il gruppo prescelto poteva fare della Spezia un luogo di scambio artistico e culturale. Niente di tutto questo è accaduto. Spezia è stata, negli ultimi anni, solo ed esclusivamente una data per compagnie itineranti spesso mediocri. Dal calderone spezzino dove Natalie Caldonazzo sta con Alfonso Santagata e Sconsolata (agenzia Sosia) con Judith Malina (appuntamento voluto e pagato dal Festival Portovenere Donna) cosa ci possiamo aspettare? (Restituendo a Cesare ciò che è di Cesare alcuni appuntamenti importanti negli anni ci sono stati, come quelli di Marco Paolini e Albanese, più “eccezioni” evidentemente che “regole”). Un gesto di coraggio sarebbe stato rinunciare in questi anni a tanta spazzatura televisiva fatta passare per “divertissment”. Ma inaspettatamente (un vero colpo di teatro!) il direttore del Teatro Civico, Antonello Pischedda tra le pagine de «Il Secolo XIX» rivendica il diritto di “firmare” solo spettacoli che lui ha scelto in autonomia per il cartellone in base a motivazioni di qualità, rinnegando altri eventi “obbligati” in cui entrerebbero prioritariamente questioni di “cassa”, esigenze di botteghino”. Preoccupazione legittima…. Sta a noi decidere se credere alla sincerità del ravvedimento in nome del teatro, o leggere questo sfogo come l’ennesimo evento sapientemente preparato per scatenare un finto conflitto “in casa” alla fine del quale si cambia solo di posto…(magari per uno più prestigioso e remunerativo). Di fatto occorrerà molto tempo per rimediare ai danni portati in città da molta sottocultura televisiva fatta passare per buon teatro. Di fronte a situazioni come queste spazi come la Dialma Ruggero acquistano il valore di luoghi di “resistenza culturale”, dove faticosamente si prova a tessere le fila di un nuovo e più diretto rapporto con il pubblico, ormai lacerato. Il tutto però ahimé, a costo zero. Questa minestrone (pastetta?) teatrale ha inglobato infatti tutti i finanziamenti pubblici sullo spettacolo senza peraltro mai convincere né i fanatici della ricerca né il grande pubblico. Ho assistito personalmente a spettacoli di scarsissimo valore artistico in un teatro praticamente deserto. Quale era la motivazione di una tale scelta di spettacolo? Si trattava forse di fare favori a qualcuno? O di “scambiare spettacoli”?
Leggo e accolgo con interesse e attenzione insieme con il collettivo Cut up di cui faccio parte la proposta di un nuovo assetto dello Spettacolo in città, che promuova una messa a sistema dell’esistente e vada nella direzione di una partecipazione diretta, trasparente e pluralistica della sua gestione amministrativa e artistica. Siamo convinti che tutto questo parta da buone intenzioni e ci auguriamo sinceramente che questa prospettiva futura delineata dal gruppo Ds tra le pagine del «Secolo XIX» significhi un decisivo cambio di rotta e di stile e non solo un cambio di persone. Perché è appunto il sistema che va cambiato, non soltanto, nel caso, un direttore.

Anna_Maria_Monteverdi

2004-10-18T00:00:00




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