Da Grotowski all’hacker art

L'incontro con Jaromil a Cascina (Pisa), marzo 2005

Pubblicato il 10/04/2005 / di / ateatro n. 083

Politeama di Cascina (organizzazione: Ass. Zonegemma-La Città del Teatro); Auditorium Dialma Ruggiero (La Spezia-Ass. Zonegemma e Cut up).

L’incontro è folgorante, uno di quegli incontri che ti fa “resettare il sistema”, rispetto a una serie di luoghi comuni sull’arte e sul digitale.

L’incontro con Jaromil, rasta coder abruzzese, programmatore GNU/Linux, è anche un incontro con un linguaggio di codici e gerghi: crashare, spammare, hackerare, bloggare, playare… E’ sorprendente vedere questo ventisettenne che a 12 anni aveva già cominciato a programmare, a “bucare sistemi” e a essere “bustato” dalla “postale”, come si dice in gergo. Jaromil, fondatore nel 2000 del network di autoproduzioni dyne.org, è da tempo conosciuto nell’ambiente tecnoartistico mondiale o meglio della rete senza confini della comunità informatica e artistica perché attivissimo nel campo della creatività applicata alla creazione di software liberi (non solo free, cioè non solo gratuiti) per manipolazione video in tempo reale, da impiegare per veejaying o scenografie digitali (FreeJ), streaming audio-video e radio web (MusE). Dalle BBS all’hasciicam alla software art fino alla programmazione open source in sistema GNU/Linux. Suo è il famoso virus software o forkbomb per l’esposizione I love you-Museo di arti applicate di Francoforte. Tutte le sue creazioni sono liberamente disponibili in rete sotto licenza GNU General Public License (Fondazione per il Software Libero).

Si è connesso in rete molto giovane, nel 1991 (Neuromante, BBS): era un hacker ed è attualmente uno degli “hacker evoluti” che hanno applicato la creatività e l’intelligenza dell’hackeraggio in un campo come quello del software libero. Un sistema chiuso ti permette solo di stare dentro le regole, il punto di vista hacker è come forzarlo. Anche grazie a Jaromil la figura dell’hacker è diventata quella del programmatore puro e rigoroso, che opera diversamente e contro le regole delle multinazionali dell’informatica come la Microsoft e in generale contro i programmi proprietari, provando a ridefinire il “campo operativo” dell’informatica applicata all’arte e all’attivismo. Un incontro con la filosofia open source modifica la percezione dell’arte e la funzione dell’artista. Edmond Couchot afferma che nell’era del digitale l’opera viene generata da due autori: uno a monte e uno a valle, un programmista-progettista e uno spettatore-attuatore. Quello che sostiene implicitamente Jaromil è che nel mondo del software libero non esistono più confini autorali e limitazioni: un programma creato e riversato in rete secondo il principio del copyleft ha un’estensione creativa fuori dal controllo di colui che lo ha generato: può arrivare ad avere centinaia di migliaia di altri potenziali nuovi autori-attori-attuatori che possono modificarlo rigenerando un flusso di dati e mantenendo pubblico il codice sorgente.

Uno dei motti storici e che vale ancora è che non abbiamo né re né regole, crediamo nel consenso approssimativo e nel codice che gira. Io ho cominciato con i computer relativamente giovane, a 12 anni, poi ho iniziato a smanettarci. Ho cominciato a far parte di una comunità di persone che si scambiava libri: avere un compilatore costava tanto, un libro sull’assembler era carissimo. Era l’epoca delle BBs, prima di Internet; ci si connetteva con i numeri di telefono. Non c’era il tcp, la comunicazione passava attraverso la rete Matrix: le mail ci mettevano un giorno ad arrivare; si faceva il polling dai vari nodi per passarci i materiali. Fidonet era la rete ufficiale fondata da Vertigo con moderatore e varie aree di discussione dalla politica alla letteratura. Erano tempi in cui anche il teletext era un modo di comunicare. La Fidonet era un po’ “stronza” perché ti moderava. Altri che erano contrari a questa censura fondarono Cybernet con aree di discussione cyberpunk. Altre reti erano RPGNet (sul role playing) e Peacelink. Un po’ quello il contesto, quello cybernet. La cosa che mi ha spinto ad avere a che fare con il computer è stata la passione, la curiosità di sapere come funzionano, invece quello che mi ha portato al software libero è l’idea di avere il codice. Con i sistemi attuali in commercio non c’era libertà di imparare i codici. Ho iniziato ad avere a che fare con la Demo Scene, una scena molto competitiva (“Assembly” in Finlandia; The Italian Gathering – TIG – nel ’96, ‘97 e ‘98 che abbiamo organizzato a Pescara) in cui i programmatori non si scambiavano facilmente i codici, ma c’erano i team, le competizioni… I Demo sono programmi che girano in tempo reale in C: li lanci dal computer e si creano suoni e immagini. Non sono file audio messi sopra un video. Era la macchina stessa che generava suono e immagine in sincrono. L’idea è fare le cose migliori usando minor memoria possibile. A parte il fatto che erano competizioni, esibizioni di programmazione ma erano anche e soprattutto luoghi di scambio importanti. Sono ancora esistenti queste competizioni addirittura per Commodore 64 che stanno tornando in auge. Sono scene underground di crescita, di scambio. Il software libero non è però mai entrato in questi ambienti. Non è prassi.

All’inizio, quando facevi hackeraggio, davi un valore politico a questa pratica? Avevi una intenzionalità ideologica?

Sono stato “bustato” presto. Insomma, mi hanno preso. Da allora ho smesso di bucare sistemi, anche se era interessante: una delle ultime “visioni” quando bucavo sistemi erano 30 macchine che insieme mandavano musica. Facevo delle radio pirata nelle macchine che bucavo. Ma ne sono uscito bene. Ho smesso di fare cose per cui potevo essere preso; l’hacking è “metterci le mani dentro”, riuscire a modificare le dinamiche di certi sistemi.
Prima che intenzionalità ideologica penso che sia stato un fatto di attitudine, insieme a un interesse e a una perversione per la macchina. L’hacking oggi è storpiato, ha sempre un significato negativo, dispregiativo. Ma chi buca lo fa spesso senza neanche sapere le conseguenze… Il sedicenne che “smanetta” con il computer è interessato al mezzo, sviluppa il suo piccolo mondo… Dove sta il problema? Si sta parlando di sistemi proprietari venduti con contratti di assistenza carissimi che la gente paga e che appunto un sedicenne riesce a bucare. Buchi nel sistema Microsoft!
L’open source è ormai una cosa accettata. Una comunità scopre il bug, lo aggiusta, segue un flusso che ha a che fare anche con chi buca, con l’hacker. Chi fa sicurezza nelle aziende non mi venga a dire che non ha mai bucato! I virus come puoi averli conosciuti, altrimenti? Ammetti che c’è una bellezza nel fare virus, è… opera lirica! Nell’ambito dell’hacking non è tutto bianco e nero, ci sono varie sfumature.

Hai cominciato a collaborare in ambito artistico con la programmazione, i primi lavori in che direzione andavano?

Ho un rapporto di immediatismo con le macchine: se ci sei ci sei, ma se non ci sei… Come per il teatro! Tra le prime rappresentazioni teatrali autoprodotte c’era uno spettacolo che si chiama Tubo catodico che parla della tv e di come questa ci condiziona… Lo portiamo in giro ancora.

Lo abbiamo fatto al Kaos tour di Roma e due anni fa a Bari grazie a Alessandro Ludovico di “Neural”, poi in Austria a Graz presso ESC.mur.at.
Si tratta di una proiezione e di una messa in scena di un uomo qualsiasi; Francesco Paolo Isidoro che aveva studiato Commedia dell’Arte con Bogdanov e Claudia Contini, con la maschera neutra rappresenta l’uomo qualunque; poi un hacker gli entra nella tv… Per lo spettacolo che ancora rappresentiamo, prendiamo il segnale tv dove siamo e lo elaboriamo con il programma di Free j; sul video stesso posso applicare degli effetti per rappresentare le interferenze degli hacker aggiungendo le voci di Artaud e Burroughs. Un teatro di interferenze. Abbiamo fatto anche il sito http://tubocatodico.dyne.org. Volevamo fare un “manuale” di questo spettacolo, proprio come un manuale di una televisione per spiegare come mettere in scena lo spettacolo. “Fai questo, metti la scena così, il video”… Una specie di canovaccio open source.

Altre collaborazioni in teatro?

Ho lavorato con Roberto Paci Dalò e Isabella Bordoni. Sono artisti che stimo tantissimo. Da loro ho imparato come si sta a teatro, come si suda a fare a teatro, come si montano le luci. Con Giardini Pensili ho fatto una vera “esperienza teatrale sul campo”. La mia collaborazione era in veste di programmatore video (Animalie, Metamorfosi, Affreschi e Il Cartografo); in generale sono dell’idea che la tecnologia a teatro vada affrontata con spessore, senza rassegnarsi a ciò che esiste, creare qualcosa di nuovo rispetto alle esigenze. In precedenza di teatro avevo letto Grotowski. Beh, non solo lui! Ma mi piaceva soprattutto lui… e il Living Theatre. Dopo aver rinunciato a un lavoro d’ufficio che non sopportavo, sono partito per l’Austria; mi sono scontrato con questa cultura mitteleuropea lavorando all’Ars Electronic Center, sezione Future Lab.

Che progetti seguivi?

Avevo progettato un programma con Linux che consisteva in un tavolo interattivo per bimbi, con proiettore, video interattivi che raccontavano il futuro sulla base di risposte date dai bambini, se ci sarebbero stati o no i dinosauri, come sarebbero gli uomini…
In genere però cerco un approccio più direttamente politico. MuSE Multiple Streaming Engine per esempio è un programma libero per farsi “radio pirata” da casa. Con MuSE il progetto era di mettere dentro Mp3, ti colleghi al server tipo http://radio.autistici.org e puoi fare streaming. Io lavoravo con Fundamental Radio che trasmetteva a Linz.

Qual è la filosofia del programma libero e quale la caratteristica dei tuoi software?

Oggi tutti i prodotti, liberi o no, tutti i sistemi offrono gratuitamente il player, ma se vuoi produrre devi pagare: è uno schema per una fruizione “consumistica”. La tv la puoi accendere, la radio pure, ma non puoi parlare! Ora con Internet puoi parlare. MuSE si caratterizza proprio come programma che ti permette di parlare, di fare in rete una radio, c’è un codice sorgente, tutto software libero, c’è pure il live stream!
http://streamtime.org è un progetto di Radio Reedflute in collaborazione con Rastasoft, sviluppato con artisti e attivisti dall’Iraq e da ogni parte del mondo. Streamtime è un network of media attivisti impegnati ad assistere media locali soprattutto in aree di crisi come l’Iraq e a connetterli. Nasce da una collaborazione allargata e ispirata anche al mio progetto precedente; è da pochi giorni on line e serve per fare nascere radio streaming anche a Bagdhad; il 2 aprile abbiamo provato insieme con giornalisti, a streammare il Festival di poesia “Merbed” insieme con Salam Khedher, un poeta di là che fa un programma settimanale su una radio indipendente, Radio Nas. Il Festival si è tenuto però per motivi di sicurezza a Bassora. Non c’è spazio per qualcosa di civile a Baghdad. Così il due aprile dynebolic.org ha dato spazio e visibilità ai blogger di Baghdad con cui abbiamo rapporti diretti e che hanno una propria voce. Per il resto da questa parte siamo in una campana di vetro, ci raccontano quello che vogliono sulla guerra. Personalmente non sono mai stato a Baghdad, ma ho operato in zone di guerra, in Palestina, da cui il mio progetto di net-art http://farah.dyne.org.

A proposito dell’asciicam: come funziona e come è nata l’idea?

La web cam collegata al computer ti permette di trasformare in codice ascii, cioè in caratteri e lettere della tastiera, un frame video. Il programma si preoccupa di salvare il file e mandarlo on line: se eri collegata alla pagina ti cambiava l’immagine. Free J invece prosegue l’esperienza di MuSE. E’ un software che raccoglie le cose che ho fatto in teatro; l’ho usato per Tubo catodico. E’ un algoritmo, Si possono aprire video, si possono mettere in trasparenza, si possono mandare avanti e indietro, si possono mettere i testi, si possono aggiungere parole, ruotare immagini. Una programmazione procedurale del video. E’ un’interfaccia “old school”, alla vecchia maniera, come sui computer di 10 anni fa, tutta di testo.

Racconti la storia del codice-virus poetico?

Le bombe logiche o forkbombs esistono nel campo dell’informatica da piu’ di dieci anni… forse pure più di venti… Sono programmi che crashano il computer; il sistema riproduce se stesso in modo esponenziale finché termina le proprie risorse. A Berlino a Transmediale qualche anno fa venne premiata una certa opera di software art che era in realtà una forkbomb che mandava una frase lunghissima sullo schermo mentre i computer crashavano. Alex Mac Lean era quello che vinse con quella forkbomb. Feci presente alla giuria la mia opinione: che per me per giudicare l’opera devi guardare alla bellezza del codice che in questo caso era orrendo. Ho fatto allora una Bomba logica – una forkbomb ristretta in meno lettere possibili – che è il codice-virus che attacca i sistemi Unix, per l’esposizione I love you, Museo di arti applicate di Francoforte che il direttore chiamò “opera poetica”. Questo:

:(){ :|:& };:

E da allora è in mostra permanente al Museo di Francoforte. (Due punti è la funzione della memoria che cresce in modo esponenziale)

Che cosa è invece Dyne:bolic?

Dyne:bolic è la distribuzione attraverso un cd che ti permette di cominciare a conoscere GNU/Linux senza installare, Linux cosa che per la maggior parte delle persone è difficile. Gira su tutti i computer, vecchi Pentium 1, su computer che non hanno hardisk… Serve ai veejay per fare audio e video, per editare audio e video, per fare immagini 3 d, sistemi di videoconferenza. Nasce da collettivi quali autistici/inventati.org, FreakNet.org, Olografix.org, Dyne.org e riassume un po’ di esperienze. L’ultima versione è stata scaricata e pubblicata in 500.000 copie.

Anna_Maria_Monteverdi

2005-04-10T00:00:00




Scrivi un commento