Kol Beck – Living Strings: un omaggio radiofonico al Living Theatre

Dedicato a Julian Beck (1925-1985)

Pubblicato il 14/09/2005 / di / ateatro n. 089

For Judith Malina and Hanon Reznikov
Long Life Living!

“Anarchismus, warum nicht?! Anarchy, why not?!”

È con queste parole che la voce di Julian Beck chiude Kol Beck – Living Strings, opera radiofonica commissionata dallo Studio Akustische Kunst della WDR di Colonia che andrà in onda in prima assoluta il 24 settembre 2005 (1).

In queste immagini, Judith Malina e Julian Beck in visita alla tomba di Mikhail Bakunin a Berna. Immagini tratte dal video girato da Nam June Paik.

Kol Beck – Living Strings sviluppa i materiali di Beck/ett installazione suono/video creata presso The Western Front Society di Vancouver e presentata a Napoli nel 2003 all’interno della mostra “Living Theatre, labirinti dell’immaginario” (2).

La voce di Julian Beck e i silenzi di Beckett creano l’ambiente di Beck/ett. Il visitatore entra nello spazio acustico fatto di fonemi e parole. L’immagine è creata attraverso un uso del video in quanto pura luce in movimento. L’installazione vede così due livelli percettivi di eguale importanza e strettamente intrecciati: acustico e ottico.

Un anno dopo Napoli, a Riccione per “TTV / Expanded Theatre”, ho realizzato una presentazione site specific dell’opera utilizzando l’intero giardino di Villa Lodi Fè. Suoni e luci in movimento sono stati distribuiti in tutta l’area del parco trasformandolo in un luogo misterioso abitato dalla voce di Beck e dove la luce ha disegnato nuovi sentieri tra le costruzioni preesistenti.

“We should be free to do what we want to do.” (Julian Beck)

Ho pensato al colore nei suoi aspetti più puri e meno interpretativi (il Colorfield Painting e anche The Rothko Chapel di Mark Rothko, l’opera di James Turrell). Una pratica del monocromo applicata all’immagine in movimento e al cinema in generale. Silenzi e ombre per uno spazio che viene ricomposto dal visitatore come in un film di David Lynch: “In questo spazio visivo e sonoro si conoscerebbe qualcosa o si proverebbe una sensazione che non si potrebbe provare se non ci fosse il cinema”.

Dove l’utilizzo delle tecnologie video gioca con la tecnologia della “camera oscura” seicentesca. Dal diario di un cartografo olandese dell’epoca: “ti porterò in casa notizie piacevoli; non diversamente in una camera buia l’azione del sole attraverso un vetro fa vedere tutto ciò che accade all’esterno (benché rovesciato)”. E ancora: “Ho in casa mia l’altro strumento di Drebbel, che produce meravigliosi effetti di immagini riflesse in una camera buia. Non mi è possibile descriverne la bellezza a parole: ogni pittura è morta in confronto, perché qui è la vita stessa, o qualcosa di ancora più mobile, se soltanto non mancassero le parole. La figura, il contorno e i movimenti vi si fondono con naturalezza, in un modo assolutamente piacevole”. È così che la camera obscura viene ricreata in Beck/ett attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali. Un ponte tra il XVII secolo e i nostri giorni per una notturna avventura nel mondo della percezione.

Judith Malina dopo aver visitato l’installazione a Napoli insieme a Hanon Reznikov ha detto commossa: “è stato emozionante, come entrare nella testa di Julian”. Nell’estate 2003 abbiamo passato delle giornate bellissime a Napoli parlando di anarchia, di Julian e di più di 50 anni di resistenza. E Judith mi ha chiesto di presentare questa installazione per l’inaugurazione del nuovo spazio del Living a New York che sarà pronto, ritardi permettendo, nel 2006.

Tutto questo ha creato il terreno per un ulteriore sviluppo (questa volta esclusivamente acustico) del mio viaggio nella testa e nella grana della voce di Julian.

Nel 2004 Markus Heuger mi ha invitato a pensare a una nuova opera per la WDR di Colonia. Quando gli ho parlato di questo mio desiderio di proseguire il viaggio con Julian Beck immediatamente mi ha ricordato il bellissimo brano For Julian di Alvin Curran. Anch’esso prodotto dallo Studio Akustische Kunst e ugualmente basato sulla voce di Julian. Mi sono idealmente collegato a questo lavoro pensando a una sorta di dittico creato a distanza da due autori diversi (e amici da quasi vent’anni grazie a un incontro ordito da Pinotto Fava e Filiberto Menna presso il Lavatoio contumaciale di Roma). Con Alvin c’è sempre stata un’intesa sottile e per me è fondamentale pensare al mio lavoro in relazione al lavoro altrui. Un gioco infinito di rimandi, di echi, di riverberi nel tempo e nello spazio in un mondo fatto di persone. Non solo di cose.

Il suono di Beck/ett si affidava alla nuda voce di Julian Beck elaborata attraverso l’elettronica e trasformandola in certi momenti in pura pulsazione. In Kol Beck è creato un contrappunto a questi suoni con un quartetto d’archi (vero e proprio archetipo della musica occidentale). Così come Beck/ett era un ambiente immersivo e un lavoro sullo spazio, ora Kol Beck è un più classico pezzo radiofonico che però dilata molto i materiali originari. Da 9 a 40 minuti di durata scavando le parole di Beck, i suoi silenzi e le sue rotazioni attorno a una parola ricorrente: anarchia.

Sono cresciuto alla scuola anarchica e gentile di John Cage e il fatto che tre tra le più importanti voci e corpi del Novecento (Cage, Beck e Noam Chomsky) non manchino e non abbiano mancato di sottolineare l’importanza del pensiero anarchico nella loro vita pubblica e privata, ebbene questo mi pare particolarmente significativo.

“Come descriverebbe la sua politica?”
“Sono un anarchico.”
(John Cage)

Kol Beck ruota attorno a tutto questo. Un’unica voce che evoca molte voci per una polifonia dell’utopia vivente.
Il brano termina sospeso e le parole di Beck si intrecciano a Abide With Me, un corale di William H. Monk scritto nel 1861 su un testo di Henry F. Lyte che ho ascoltato la prima volta in un disco di un altro Monk: Thelonious. Un brano che mi ha accompagnato fin dall’adolescenza e che qui è ritornato (quasi di sua iniziativa) per intrecciarsi alla voce di Julian.

Sono felice di avere l’età che ho. Ho avuto la fortuna di parlare, camminare, bere con persone come John Cage, Michael Kirby, Beppe Bartolucci, Filiberto Menna. Attraversare New York nelle notti gelide di inverni rigidissimi e Roma nel suo splendore primaverile. Tutto questo è esistito! È esistito davvero… Allora posso pensare a un mondo altro dove la caducità delle cose e la morte delle persone non evoca tristezza o rassegnazione. Al contrario, genera vita nuova e amore.

Kol Beck – Living Strings non “risolve”, l’accordo resta sospeso in una “floating tender anarchy”. E allora: “Anarchy, why not?!”

14 settembre 2005

Ascolta un frammento di Kol Beck – Living Strings

NOTE

1. La messa in onda è prevista alle 23.00 del 24 settembre 2005 su WDR 3.

2. L’installazione Beck/ett è stata creata in occasione della mostra Living Theatre: labirinti dell’immaginario, a cura di Lorenzo Mango e Giuseppe Morra, presentata al Castel S. Elmo di Napoli nell’estate 2003; Beck/ett è una coproduzione Giardini Pensili/Fondazione Morra.

3. Album registrato nel 1957 a New York e intitolato semplicemente Monk’s Music. Tra i musicisti dello straordinario settetto vanno ricordati almeno John Coltrane, Coleman Hawkins e Art Blakey.

Roberto_Paci_Dalò

2005-09-14T00:00:00




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