In anteprima dal Patalogo 28: Il regista-Sudoku e il regista-Kakuro con alcuni consigli a un giovane regista

dal dossier Il ruolo della regia negli anni Duemila

Pubblicato il 20/12/2005 / di / ateatro n. 094

In occasione dei Premi Ubu è stato presentato ieri sera il Patalogo 28, la nuova edizione dell’annuario dello spettacolo a cura di Franco Quadri, edito da Ubulibri.
Piatto forte di questa nuova edizione del Patalogo è un l’ampio dossier Il ruolo della regia negli anni Duemila, con contributi di Franco Quadri, Renato Palazzi, Colette Godard, Renate Klett, Enrico Fiore, Maria Grazia Gregori, Jean Jourdheuil, Claudio Meldolesi, Georges Banu, Siro Ferrone, Massimo Marino, Oliviero Ponte di Pino, Luca Ronconi, Antonio Latella, Enzo Moscato, Peter Kammerer, Jan Fabre, Jon Fosse, Annalisa Bianco e Virgilio Liberti, Jean-Paul Manganaro, Fausto Malcovati, Jorge Silva Melo, Romeo Castellucci, Renata Molinari.
Qui di seguito, il contributo di Oliviero Ponte di Pino al dossier.

In questi mesi vanno di moda sui giornali di tutto il mondo due giochini giapponesi con i numeri, il Sudoku e il Kakuro.
Nel primo rompicapo si tratta di riempire una griglia quadrata di 81 caselle con i numeri da 1 a 9 in modo che all’interno di ciascuna riga e colonna, e all’interno dei nove quadrati di tre caselle di lato che compongono la scacchiera, nessuna cifra si ripeta. E’ un gioco logico (e non matematico, anche se è fatto con i numeri). L’abilità del solutore consiste nel distribuire i diversi elementi a sua disposizione (le cifre) in uno spazio predeterminato.
Anche nel secondo gioco, il Kakuro, bisogna posizionare le cifre da 1 a 9 all’interno di una griglia – che ha però una forma meno regolare, più bizzarra. Ferma restando la necessità di non ripetere la stessa cifra all’interno di ciascuna riga e colonna, in questo caso si tratta di scomporre il numero che compare in testa a ogni riga e colonna, in modo che la somma di tutte le cifre all’interno di quella riga o colonna sia uguale, per l’appunto, a quel numero. Va ovviamente tenuto presente che un numero può essere la somma di diverse sequenze di cifre: ciascuna riga o colonna, presa a sé, può avere diverse soluzioni possibili (9=4+5 oppure 6+3 eccetera).
Nei due casi, in uno schema ben progettato, esiste una e una sola soluzione.
Il Sudoku e il Kakuro sono due giochi in apparenza abbastanza simili: ci sono dei quadratini da riempire di numeri, che devono rispondere a determinate caratteristiche. Tuttavia sono basati su principi assai diversi. Il primo sviluppa doti architettonico-combinatorie (a partire da elementi semplici); il secondo richiede invece su una abilità interpretativa: la capacità di scomporre un elemento complesso nei fattori – a prima vista invisibili – che lo compongono.
Se la regia teatrale fosse un giochino numerico, sarebbe probabilmente una combinazione di Kakuro e di Sudoku, in diverse proporzioni. Anzi, per certi aspetti la regia è sempre stata un po’ Sudoku e un po’ Kakuro. Tornando alle origini della regia moderna, da un lato c’è uno Stanislavskij-Kakuro, che analizza, scompone e ricompone gli elementi costitutivi del teatro (il testo e l’attore, per cominciare), intrecciandoli ed equilibrandoli tra loro. Dall’altro, ovviamente, c’è un Mejerchol’d-Sudoku, che lavora soprattutto sulla combinazione e armonizzazione dei vari elementi e compongono l’evento teatrale (il suono e il gesto, per cominciare), e li distribuisce nello spazio e nel tempo.
Sul versante Kakuro abbiamo una regia per così dire “ermeneutica”, che parte da un testo per “aprirlo” e interpretarlo: in una prima fase, quella della “innocenza”, lo compone utilizzando psicologia, filologia, storia, sociologia eccetera, per scoprire e rappresentare il significato, il senso di quel testo (insomma, per far tornare le somme); nella seconda fase, quella del “sospetto”, utilizza piuttosto gli attrezzi della psicoanalisi, del marxismo, dello strutturalismo per smontare il testo e smascherare il suo sottotesto, che viene portato alla luce con tutte le sue contraddizioni e conflitti (insomma, è un Kakuro in cui le somme non possono tornare).
Sul versante Sudoku abbiamo invece una messinscena che si muove nell’orizzonte architettonico dell’opera d’arte totale wagneriana, o in quello postmoderno del citazione e del frammento, per una ri-composizione in chiave architettonica e/o musicale dei diversi fattori elementari che concorrono all’evento teatrale.
Per richiamarsi a una celeberrima contrapposizione, il regista Kakuro lavorerà sull’anima, il regista Sudoku si divertirà a far esplodere il trucco.
Sono caricature, è chiaro, a cominciare dallo Stanislavskij-Kakuro e dal Mejerchol’d-Sudoku. Per di più, volendo restare ancorati alla nostra metafora ludico-matematica, queste semplificazioni colgono solo uno degli assi di un immaginario “Piano cartesiano della regia”, quello delle ordinate (se avete qualche reminiscenza scolastica, lasse delle x…)..
Per quanto riguarda invece l’asse delle ascisse, quello verticale, è opportuno individuare un’altra possibile polarità, effettuando un’altra semplificazione. Il teatro – nella prospettiva della regia – è un’arte personale, individuale: lo spettacolo è l’espressione della personalità del regista-creatore, del suo vissuto, della sua soggettività, delle sue passioni e idiosincrasie. Allo stesso tempo, però, il teatro è per sua natura un’arte collettiva, sia al livello della creazione sia al livello della fruizione: una forma artistica ed espressiva aperta al sociale e alla polis. Anche questa è una polarità che ha cominciato a evidenziarsi molto presto, intrecciandosi con l’altra. Per semplicità, rubando la terminologia a Jung, potremmo parlare di registi introversi e registi estroversi, di registi a spirale e registi freccia (ovviamente non stiamo parlando di personalità e simpatia individuale, e neppure di estroversione o introversione degli spettacoli: stiamo parlando delle poetiche registiche).
Così, su quello che abbiamo battezzato “Piano cartesiano della regia”, abbiamo tracciato due assi, quello Sudoku-Kakuro e quello Spirale-Freccia.
Adesso possiamo quasi iniziare il nostro gioco. Manca però ancora un passo: è opportuno suddividere il nostro piano cartesiano della regia in una serie di caselline quadrate, come quelle dei nostri rompicapi. Ogni casellina corrisponderà a un determinato livello nella gradazione Sudoku-Kakuro, e a un determinato livello sulla gamma Spirale-Freccia.
A questo punto basta sistemare i diversi registi all’interno della casella che meglio riflette la sua poetica. Per esempio, Robert Wilson è un teatrante esemplarmente Sudoku, mentre le regie di Giorgio Strehler e Massimo Castri tendono al Kakuro, rispettivamente prima e seconda fase. Luca Ronconi è Kakuro, ma con qualche tendenza Sudoku. Il Living Theatre tenderà più alla Freccia, Jerzy Grotowski più alla Spirale. Aldo Trionfo? Spesso Spirale. Tadeusz Kantor? Sublime Spirale. Peter Stein? Piuttosto Freccia. Ariane Mnouchkine? Ancora più Freccia.
Dopo di che, si può iniziare a giocare con le combinazioni del nostri fattori: avremo registi Kakuro-Spirale, registi Kakuro-Freccia, registi Sudoku-Spirale e registi Sudoku-Freccia, nei quattro quadranti in cui è suddiviso il Piano. Eugenio Barba, per esempio, potremmo metterlo nel quadrante Kakuro-Freccia (il lavoro sugli attori-la tecnica di montaggio drammaturgico). Robert Lepage sarebbe piuttosto Spirale (per la forte componente autobiografica di certi suoi lavori) e abbastanza Sudoku (per l’abilità con cui oggettiva e compone i materiali). I Motus sono più Sudoku-Freccia, Fanny & Alexander più Spirale-Kakuro.
Le figure registiche più tradizionali, e i padri storici della regia, tenderanno a posizionarsi verso il centro del nostro piano, vicino allo zero: in un giusto equilibrio tra Sudoku e Kakuro, Freccia e Spirale. Ma per il nostro gusto attuale questi registi produrranno spettacoli abbastanza prevedibili, un po’ accademici, e dunque non troppo interessanti (mentre un tempo se ne apprezzava l’equilibrio e magari la profondità). E’ anche possibile immaginare registi che, nel corso della loro carriera ed evoluzione artistica, si sono spostati nel piano della regia (per esempio da Freccia a Spirale), ma per il momento possiamo trascurare questo dettaglio.
Sistemati nelle diverse caselle alcuni Maestri ed Epigoni, il nostro Piano cartesiano della regia comincia a somigliare alla Tavola periodica degli elementi di Mendeleev. A questo punto, per un giovane regista in carriera, sono dunque sono aperte due strade.
La prima ipotesi di lavoro consiste ovviamente nel riempire le caselle vuote. Quando il geniale chimico russo tracciò la sua tavola, gli restarono molte caselle vuote: elementi chimici che all’epoca erano ancora ignoti ma che “dovevano” esistere in natura, e che infatti vennero scoperti negli anni successivi: gli elementi mancanti, si rilevò, avevano le caratteristiche previste da Mendeleev in base alla loro posizione all’interno dello schema generale. Piano piano la Tavola di Mendeleev si completò, dall’elemento più semplice, l’Idrogeno (un protone e un elettrone), a quello più pesante esistente, in natura, l’Uranio, con i suo 92 protoni ed elettroni.
Consiglio numero uno al giovane regista: scopri le caselle vuote nel Piano cartesiano della regia e riempile con i tuoi spettacoli.
In realtà (consiglio uno-bis) non è davvero necessario trovare una casella vuota. Anche perché probabilmente sono già state riempite tutte sin dagli anni Dieci e Venti del Novecento, in Russia. Va però tenuto presente il Principio della Moda: per un certo periodo i registi paiono concentrarsi su una certa zona del Piano cartesiano della regia, poi la generazione successiva si sposta verso un altro pascolo, e così via.
Consiglio numero due al giovane regista: scopri i pascoli meno frequentati e sfruttati, le caselle dove stanno pascolando meno registi-pecora, e comincia a brucare da quelle parti.
C’è ovviamente un’altra possibile evoluzione, quella seguita dalla fisica nel Novecento, che da un lato ha scoperto – o per meglio dire costruito – elementi chimici con peso atomico superiore a 92 (i cosiddetti elementi transuranici), arrivando ora a sintetizzare numerosi elementi più pesanti dell’uranio e non presenti in natura. Si tratta insomma di allargare i confini della materia conosciuta, estremizzando ulteriormente alcune caratteristiche. La Societas Raffaella Sanzio (che è senz’altro molto Sudoku e piuttosto Freccia) ha lavorato in questa direzione.
Consiglio numero tre al giovane regista: vai oltre il limite, inventati un teatro transregistico.
Ma attenzione. Per arrivare a un teatro transregistico sono necessarie enormi quantità di energia (potenza creativa e/o risorse), e si possono liberare enormi quantità di energia. E’ dunque di una strada piuttosto rischiosa, che può causare gravi danni al regista, ai suoi collaboratori e al pubblico. Tuttavia, muovendosi ai limiti del teatro conosciuto, e forzandoli, si possono ottenere risultati davvero interessanti. Per esempio, lavorare con i carcerati o con i portatori di handicap, può essere molto Freccia. Annettere ai territori della scena nuove tecnologie e discipline, contaminare altre arti, è un’operazione (piuttosto Sudoku) che porta a colonizzare fasce ancora inesplorate del nostro Piano cartesiano della regia (per sua natura, un teatro di poesia spingerà verso la Spirale, un teatro internet verso la Freccia: sul primo versante tenderà a esaltare la dimensione lirico-soggettiva, sull’altro quella della comunicazione, dello scambio e della creazione collettiva).
[Parentesi complicata. In parallelo, la fisica moderna è anche andata a spezzare gli atomi nei protoni, neutroni ed elettroni di cui sono costituiti, mattoni ancora più elementari della materia; in un secondo tempo, gli scienziati grazie a potentissimi acceleratori di particelle, hanno addirittura scomposto queste particelle in altre, ancora più elementari (quark, eccetera). Anche in questo caso sono necessarie grandi quantità di energia. Proseguendo nella nostra metafora teatrale, questa scomposizione potrebbe corrispondere al metateatro, e alla riflessione analitica sugli elementi costitutivi della scena che accompagna la riflessione registica novecentesca. Anche questa, ovviamente, è una strada aperta al nostro giovane regista con velleità subatomiche. Tenendo però presente che si tratta di un lavoro meticoloso e noioso, lungo e ripetitivo, e non garantisce la certezza del risultato.]
Naturalmente questo è solo un gioco. Il critico-studioso vede uno spettacolo, e d’istinto cerca di infilarlo in una delle caselline del suo Piano carteisano interiore della regia (ovvero il suo schema mentale), magari forzando l’interpretazione: crede di giocare a Kakuro e invece quello che ha di fonte è uno schema Sudoku, o magari quello di un altro gioco ancora. Perché in Giappone amano moltissimo i rompicapo con i numeri, e ne inventano sempre di nuovi. Di certo hanno già inventato uno schema ancora più affascinante di Sudoku e Kakuro…
Consiglio numero quattro al giovane regista: corri a cercare un altro giochino giapponese con i numeri e usalo come schema per la tua prossima regia.

Oliviero_Ponte_di_Pino

2005-12-20T00:00:00




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