Santarcangelo 2006 tra continuità e innovazione

Catherine Diverrès, Forced Entertainment, MK, Roberto Castello, Rodrigo García

Pubblicato il 21/07/2006 / di / ateatro n. 101

Dopo lunghi dibattiti sulla nuova direzione, e grande attesa per le novità in programma, ecco che anche questa trentaseiesima edizione del Festival di Santarcangelo si è conclusa. Un’edizione a metà francese, nata con una disponibilità di mezzi limitata, che ha saputo muoversi in continuità con il passato cercando, allo stesso tempo, di dare alcuni segnali di svolta.
Ma cosa resta, al di là dei propositi e delle intenzioni, di questa settimana passata a rincorrere spettacoli e artisti tra la Fabbrica di Gambettola, il teatro degli Atti di Rimini, il Lavatoio e il Teatrino della Collegiata, trasformato in un seducente “disimpegno spazio-lounge”? Dal punto di vista dell’’atmosfera resta un festival un po’’ meno popolare, più compresso nei tempi e nei luoghi, più attento a creare momenti di riflessione tra critici e pubblico, piuttosto che luoghi di aggregazione come lo era il Circo Inferno.
Dal punto di vista dei contenuti, invece, appare chiara la volontà della direzione di non fare distinzioni di genere (ed ecco che la dicitura International Festival of the Arts espelle definitivamente la parola “teatro” dal vocabolario festivaliero), facendo proprio un criterio di scelta che già dalle edizioni passate guardava allo spettro ampio del performativo. Nell’’insieme, un panorama non scintillante, un percorso vagamente accidentato nel quale orientarsi per scovare scheggie di autentica bellezza.

Una delle prime tappe del nostro viaggio è il controverso spettacolo di Catherine Diverrès, dal 1998 direttrice del Centre Choréographique International di Rennes. Con Solides la coreografa francese mette letteralmente in scena un compendio delle teorie che, dai primi del Novecento a oggi, hanno contribuito all’evoluzione della danza contemporanea. Di fronte a una enorme lavagna, sulla quale vengono immancabilmente segnati i nomi dei maestri, da Eleonora Duse a Merce Cunningham, i danzatori ne riportano in vita il pensiero e il segno, generando immagini dal sapore inevitabilmente antico. Operazione discutibile quella della Diverrès, tra l’’altro ospite tra i più attesi del Festival, che si risolve in un omaggio al passato, in una celebrazione dei padri che non lascia nessuno spiraglio aperto ai figli, ingabbiati nella ripetizione, indiscutibilmente virtuosa, di tensioni che non gli appartengono loro.

Attesa, questa volta più soddisfatta, anche per i Forced Entertainment. Il gruppo inglese, ospite di Santarcangelo per la seconda volta, con il suo Exquisite Pain riconferma la capacità di muoversi in maniera trasversale tra formati e linguaggi. In una situazione insolitamente “teatrale” per il gruppo, sia per la scelta di un testo a cui attenersi (Doleur Exquis di Sophie Calle), sia per la scelta di uno spazio-tempo definiti, un uomo e una donna siedono di fronte al pubblico con alcuni fogli da leggere. Si alternano nel raccontare di sofferenze passate, la donna ogni volta ripete la medesima storia, l’uomo invece incarna tutti gli interlocutori che la donna ha incontrato e ai quali ha chiesto di condividere la propria pena per alleviare la sua. Un fiume di parole scorre per due ore, parole secche, giornalistiche, quasi totalmente prive di interpretazione che diventano un mantra. Nel ripercorrere infinite volte la notte in cui è stata abbandonata dall’uomo che amava, infatti, la donna conquista il distacco e si libera della sofferenza. Inoltre, contemporaneamente, i due intessono un rapporto con lo spettatore che rimane coinvolto in una dinamica di scambio di esperienze. Solo apparentemente restaurativo, Exquisite Pain, indaga una parola-azione più che narrazione, che automaticamente aggira e supera qualsiasi trappola retorica.
MK, uno dei più interessanti gruppi nel panorama della danza contemporanea, l’anno scorso aveva colpito per l’originalità e la forza di Real Madrid, ma il nuovo lavoro, Funzione, lascia leggermente delusi. Incentrato sull’alternanza di movimento e suono (quello di Sinistri con cui hanno già collaborato), la performance porta con sé i segni tipici della ricerca rigorosa del gruppo, il lavoro tuttavia appare più che altro come una tappa, la traccia di un passaggio (forse di Tourism, lavoro portato alla Biennale danza 2006), o come prefigurazione di un approdo futuro.

Accanto a MK, in un’altra sala della Fabbrica di Gambettola ristrutturata, Roberto Castello, con il suo Racconta, costruisce una radiografia di una situazione domestica. Sequenze di movimenti quotidiani si congelano in un immobilità che rivela non solo la plasticità dei corpi, ma anche la sottile ironia che li abita. Muovendosi idealmente al polo opposto rispetto al virtuosismo, l’occhio del coreografo scandaglia il gesto e la parola ordinari e li incastra in un montaggio quasi cinematografico. Il risultato è lieve e rigoroso allo stesso tempo. Un ritorno a casa, in un certo senso, ma in una casa-acquario in cui le dinamiche tra individui sono decostruite lasciando emergere la tessitura plastica e spaziale che le sottende.

Infine Rodrigo García con Borges+Goya, due monologhi, risalenti l’uno al 1999 e l’altro al 2004, dedicati ai due artisti. Provocatorio come al solito, l’artista argentino affida la propria voce dapprima a un alieno, impegnato nella cura di mele transgeniche, e successivamente a un padre che decide di investire tutti i suoi risparmi in una notte brava. Le invettive si scagliano contro alcune delle contraddizioni della nostra società: l’indifferenza di un intellettuale davanti alla dittatura, la mitizzazioni di personaggi o beni, il consumismo sregolato. Con la lucidità e il cinismo che gli sono propri García riesce a diffondere in chi guarda un senso di disagio non solo attraverso le parole, ma anche esponendo sulla scena corpi in uno stato precario (l’alieno si muove con passo lunare e lentissimo, mentre il padre di famiglia indossa un pesantissimo e ridicolo costume della mascotte dell’Atletico Madrid). Modalità tipica, questa, di altri lavori molto più estremi e fisici dell’artista, che però qui sceglie la strada della parola quasi pura, risultando senza dubbio più retorico e meno efficace.

Giorgia_Sinicorni

2006-07-21T00:00:00




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