Lavoro e teatro: l’incontro del 14 febbraio

Incentivi, contratti, indennità di disoccupazione

Pubblicato il 16/03/2008 / di , and / ateatro n. 116

Lanciato in occasione dell’ultima edizione di BP-emergenza, si è tenuto il 14 febbraio presso la Scuola Paolo Grassi di Milano il primo incontro del gruppo di studio sul tema del lavoro a teatro. L’’obiettivo era avviare un processo di analisi e una prima discussione informale su alcuni problemi generali e specifici che, in questa prima occasione, hanno riguardato:
1. Gli incentivi dello stato e degli enti pubblici. Gli incentivi statali per le assunzioni dei giovani (e non) funzionano e hanno funzionato?
2. I CCNL. Sono fermi nella sostanza da quarant’anni. E’necessario, opportuno e possibile modificarne l’impianto? E come si colloca l’’inquadramento dei lavoratori dello spettacolo in un’organizzazione generale del lavoro caratterizzata da trasformazioni sostanziali?
3. L’’indennità di disoccupazione. E’ possibile intervenire per una più sostanziale, efficace e uniforme gestione di questa forma di ammortizzatore sociale anche nel settore dello spettacolo? e come?

Sono stati presenti all’incontro Giancarlo Albori, Roberto Batta, Agnese Bonini, Patrizia Coletta, Patrizia Cuoco, Francesco D’Agostino, Nadia Fauzia, Mimma Gallina Silvia Guenzi, Simona Fremder, Mara Mapelli, Simona Milella, Alessandra Narcisi, Annamaria Onetti, Davide Panzera, Carlotta Pedrazzoli, Oliviero Ponte di Pino, Giulio Stumpo, Silvia Vendraminetto, Marisa Villa. Ha coordinato Mimma Gallina.
Si è deciso a inizio lavori, di rimandare ad un secondo appuntamento, probabilmente a Modena in data da definire, la discussione sul tema del rapporto fra formazione e lavoro (le qualifiche, le possibili forme di “accompagnamento”).

1) Il primo argomento in discussione ha riguardato le forme dirette o indirette di incentivo del lavoro contenute nei decreti ministeriali, a partire dagli incentivi per l’assunzione di giovani lavoratori, da parte di imprese dello spettacolo.
Constatazione comune è stata che le maggiorazioni dei contributi ministeriali legata all’utilizzazione di giovani – prevista nei decreti ministeriali ormai da alcuni anni – non ha avuto probabilmente –almeno a oggi e a giudicare dai dati generali ENPALS – alcuna rilevanza concreta: non siamo tuttavia in grado di valutare in termini statistici l’efficacia di questi incentivi (come del resto di molte altre prescrizioni ministeriali la cui efficacia non viene MAI misurata in rapporto alle finalità dichiarate o intuibili: si pensi in particolare alle norme che incidono sul mercato). (Stumpo, Gallina)
(Si segnala comunque la variazione della normativa: attualmente il regolamento ministeriale definisce il lavoratore “giovane” con riferimento a un’età anagrafica compresa fra i 18 e i 35 anni. Prima, venivano considerati giovani, ai fini degli incentivi, solo i lavoratori scritti all’ENPALS da meno di tre anni e dal 2006 da meno di cinque anni). Forse l’unico incentivo efficace nel corso degli anni, è stato l’obbligo per i teatri stabili, di inserire ogni anno nella formazione 2/3 giovani elementi (Cuoco), è tuttavia parere unanime che la l’assoluta rilevanza e discrezionalità delle valutazioni qualitative renda del tutto irrilevante la valutazione quantitativa (quindi poco più che retoriche anche queste indicazioni).
La discussione si è sviluppata ugualmente sul senso originario della scelta di parametrare i contributi sugli oneri sociali, che non fu fatta per incentivare il lavoro (che di fatto non ha incentivato), ma perché questo costo era più facilmente misurabile e documentabile e con l’obiettivo di limitare (anche su spinta delle organizzazioni sindacali) l’evasione dell’ENPALS, almeno da parte delle strutture finanziate. (Cuoco). Tuttavia ciò ha comportato qualche distorsione: per esempio, la pratica da parte di alcune imprese di produzione di pagare i costi previdenziali senza retribuire i lavoratori e la diffusione dell’evasione da parte delle strutture non finanziate. Non a titolo di giustificazione, si può constatare a questo proposito che molte compagnie ricevono contributi inferiori (anche molto inferiori), agli oneri previdenziali minimi dovuti. Fra le scelte che apparentemente avrebbero potuto favorire lo sviluppo del lavoro, ma si sono rivelate decisamente controproducenti, si ricorda in particolare l’ obbligo che gli spettacoli finanziati occupino almeno 6 elementi (obbligo che viene facilmente aggirato ma non per questo risulta meno lesivo della libertà artistica e di strategia economica dei soggetti finanziati). (D’Agostino, Gallina, Stumpo)
La discussione si sposta quindi sui Criteri nell’assegnazione dei contributi ministeriali. Con particolare riferimento alle compagnie “giovani” e alle prime istanze, si manifesta l’opportunità di stabilire un contributo minimo alle imprese finanziate (per esempio 30.000 euro). E’ comunque un’anomalia del sistema, e un’assurdità logica che una compagnia sovvenzionata riceva contributi inferiori ai costi previdenziali.
In sostanza emerge che, sebbene il lavoro sia sempre stato al centro (apparentemente), dei decreti ministeriali, di fatto non ci sia mai stata l’effettiva presa di coscienza del problema dell’occupazione. Che gli stessi meccanismi ipotizzati abbiano anzi favorito le irregolarità. Un problema rispetto al quale l’interlocutore più adatto potrebbe essere il Ministero del Lavoro più che il MIBAC: oggi, pur essendo i finanziamenti parametrati sui contributi, non c’è nessun incentivo alla effettiva continuità del rapporto di lavoro (è ben diverso se, per esempio, 300 giornate sono fatte da una sola persona e quindi denotano stabilità, o sono la somma di giornate effettuate da venti persone diverse. (Mapelli)
E’ necessario puntare alla continuità dei rapporti di lavoro, ad esempio attraverso possibili agevolazioni alle imprese. Si potrebbe ad esempio estendere allo spettacolo la forma del contratto di Formazione Lavoro, consentendo sgravi fiscali per le imprese (come forma sorta di contributo indiretto). (D’Agostino)
Ma forme di incentivi indirette al lavoro potrebbero derivare da servizi forniti dagli enti locali e territoriali (spazi per prove ad esempio, promozione): strumenti non finanziari dovrebbero essere parte delle politiche culturali locali (Stumpo).

2) La discussione prosegue sul tema dei Contratti (CCNL) del settore dello spettacolo. Il settore ha ben 11 contratti diversi (decisamente troppi!). La base dei contratti (in fase di rinnovo quello fra lavoratori artistici e tecnici e imprese – stabili e compagnie – relativo alla produzione di spettacoli di prosa, rivista e commedia musicale) risulta obsoleta, è rimasta infatti pressoché invariata dagli anni Sessanta.
Da parte di Giancarlo Albori (CGIL spettacolo: di seguito sintesi del suo intervento) si sottolinea la difficoltà ad interpretare e affrontare un mondo del lavoro anomalo come quello dello spettacolo. Il sindacato infatti ha mantenuto un’ottica fordista del lavoro e spesso non è consapevole della realtà attuale. Oggi purtroppo esistono dei contratti a doppio regime, anche nelle realtà più strutturate, per cui chi entra oggi nel mondo del lavoro non avrà mai gli stessi diritti dei lavoratori delle generazioni precedenti.
Questo esiste anche perché i contratti, creati da settori strutturati, fanno fatica a rinnovarsi se i soggetti interessati non intervengono, e spesso ciò accade perché si preferisce conservare quel (poco) che già si è ottenuto.
Si apre una parentesi a proposito del Rapporto Stato/Regioni. Sempre secondo Albori la gestione del FUS da parte degli enti territoriali rischia di favorire sprechi delle risorse e minori controlli (oltre a potenziali forme di ineguaglianza sul territorio nazionale e clientela diffusa). E’importante esigere anche a livello locale che ci sia una congruità tra il finanziamento pubblico e il pagamento del lavoro e degli oneri sociali, ovvero affermare la necessità di finanziare solo chi paga il lavoro delle persone che concorrono a realizzare il progetto e l’attività dell’impresa.
Ma chi può essere oggi il soggetto preposto alla riorganizzazione e modernizzazione di un CCNL?
Come si può ricostruire un soggetto? C’è una difficoltà ad aggregare i lavoratori dello spettacolo anche perché all’interno della stessa categoria sussistono molte differenze (per esempio tra un tecnico della Scala e un tecnico dell’Elfo o di una piccola compagnia), quindi l’aggregazione e l’affinità di obiettivo andrebbe ricercata tra lavoratori di strutture produttive e dimensioni simili.
E’ importante creare aggregazione per sviluppare una massa critica anche rispetto al conservatorismo delle organizzazioni sindacali.
La strada può essere creare “distretti della cultura” un’aggregazione dei soggetti occupati nel settore creativo che operi con particolare riferimento al territorio.
La discussione fra gli organizzatori teatrali presenti si sviluppa in particolare sulla questione del costo del lavoro e della precarietà delle imprese. Ammessa l’importanza di essere regolari nel pagamento degli oneri sociali, l’autoimprenditorialità diffusa e la grande circolazione di lavoratori “in nero” deriva anche dalla consistente gravosità degli oneri sociali, anche per i contratti a progetto e affini (l’ INPS è oggi al 24%).
Fra le considerazioni che emergono: l’ENPALS è una struttura obsoleta e la sua riforma è improcrastinabile. Va affrontato il tema dei compensi agli artisti e l’ipotesi di calmieri (dal nuovo decreto ministeriale è sparito il massimale ENPAL). Si ricorda anche come tuttavia i massimali (in genere) possano risultare nei fatti controproducenti (vedi l’indicazione dei massimali nei cachet degli spettacoli, che hanno già probabilmente spinto verso l’alto i cachet medi).
Il problema è una situazione estremamente frastagliata, in cui si riconosce (e pure poco!) una precarietà aurea a scapito di una precarietà nascosta che in realtà si compone della grande maggioranza delle masse dei lavoratori dello spettacolo. Prima fra tutte va sottolineata la discrepanza tra i lavoratori nei settori della lirica rispetto a quelli della prosa . Perché si dovrebbe ritenere nobile la battaglia dei lavoratori delle strutture lirico-sinfoniche (rif.precedente affermazione Albori), quando si tratta di corporazioni che tutelano i loro interessi (o privilegi) economici e contrattuali? (Cuoco)

3) Sul tema – circoscritto ma rilevante anche sul piano simbolico e dei principi – dell’indennità di disoccupazione si rende necessaria qualche premessa “storica” e considerazione generale (che non può prescindere dalla constatazione di inefficacia).
Questa possibilità, che i lavoratori dello spettacolo iniziarono a scoprire all’inizio degli anni Novanta, ma che in realtà esisteva anche prima, si basa su requisiti minimi di 78 giornate contributive per l’accesso, l’anno successivo, ad un’indennità proporzionale al compenso ricevuto. Tuttavia ci sono qualifiche artistiche che non possono e non riescono a percepire l’indennità, anche perché la maestranza artistica è da sempre considerata per sua natura autonoma e le imprese devono spesso insistere con gli stessi enti per versare la quota contributiva che – identificando il lavoratore come dipendente – gli consente di percepire l’indennità di disoccupazione (N.B. secondo alcuni però sarebbero le imprese che tendono a non versare questa quota). Inoltre si verifica una difformità di trattamento da regione a regione e tra diverse sedi INPS (così in alcune regioni gli attori vi accedono e in altre no!) e le interpretazioni risultano comunque sempre troppo restrittive. Regna la confusione e il paradosso è che mettere ordine potrebbe determinare un peggioramento generalizzato
(Cuoco, D’Agostino, Gallina)

Un’ipotesi che emerge, unificando in qualche misura le diverse tematiche riguarda una possibile diversificazione all’interno dei CCNL e nell’applicazione degli obblighi contributivi, sulla base delle diverse realtà produttive: prevedendo per esempio forme di agevolazione per le giovani imprese, “premi” alla continuità occupazionale (minimi retributivi e oneri diversificati secondo la durata dei contratti). Si tratta anche di disincentivare la tendenza delle imprese a operare per “spot”. E’comunque necessario rinnovare i contratti per combattere irregolarità che risultano quasi inevitabili, riorganizzandoli in base alla realtà produttiva e non in base alle qualifiche. (Gallina, Mapelli, D’Agostino)
Nella fase finale dell’incontro si avvia una discussione delle cause della trasformazione (del peggioramento) del quadro organizzativo e economico generale del settore, che ha determinato ricadute così pesanti sul lavoro, in particolare a partire dagli anni Ottanta. Se oggi appare dominante la tendenza agli “eventi”, non bisogna dimenticare che il FUS in termini reali era 5 volte maggiore rispetto a oggi (anche se l’interveto degli EL ha in parte compensato); si tratta certo di un quadro non semplice da analizzare, di un cambiamento che gli operatori del settore dello spettacolo non sono in grado di controllare e di cui devono prendere più chiaramente coscienza. (Coletta, Stumpo)

Come procedere?
I problemi sono così complessi e intrecciati che non risulta facile inquadrarli e analizzarli singolarmente e in modo efficace. Inoltre è importante sottolineare che il carattere informale del gruppo (l’iniziativa di ateatro), può consentire di affrontarli senza steccati e preconcetti di ruolo o di categoria, può quindi avere un valore di sensibilizzazione e indicazione, ma non ha ovviamente pretese “rappresentative”

Si ipotizza comunque:

– un altro incontro a Milano sul tema specifico delle agevolazioni fiscali e previdenziali e in genere degli incentivi per i giovani lavoratori (che il gruppo invita Francesco D’Agostino a organizzare);

– il prossimo incontro – come indicato in premessa – verrà probabilmente programmato a Modena sul tema della formazione e dell’accesso al lavoro.

Agnese_Bonini,_Silvia_Guenzi,_Davide_Pansera

2008-03-16T00:00:00




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