Ma adesso dobbiamo anche difendere l’’Eti?

La "macelleria culturale" della manovra 2010

Pubblicato il 01/06/2010 / di and / ateatro n. 126

Forse la manovra che si discute in questi giorni non è “macelleria sociale”, ma di certo è “macelleria culturale”. Perché a fare le spese del rigore è stata e sarà prima di tutto la cultura, con la minacciata soppressione dell’’Eti (l’’unico soggetto di natura culturale presente nell’’elenco dei 27 istituti pubblici, principalmente a carattere scientifico e di ricerca, che la manovra intende sopprimere) e con i “definanziamenti” (ovvero l’’azzeramento o il drastico taglio dei contributi statali) annunciati a 232 enti, fondazioni e istituti culturali (anche se poi l’’allegato con l’’elenco dettagliato pare sia stato stralciato: tuttavia la prevista riduzione delle spese per il settore non è cancellata, ma sarà affidata alla valutazione del Ministro dei Beni culturali Sandro Bondi). Di quei tagli indiscriminati si è scandalizzato perfino Francesco Alberoni (al vertice del Centro Sperimentale di Cinematografia) sulla prima pagina del “Corriere”.
Noi di ateatro ci battiamo da sempre perché l’’investimento nella cultura diventi strategico per lo sviluppo del nostro paese. La seconda sessione delle Buone Pratiche del teatro, a Mira, aveva come parola d’ordine: L’1% del PIL alla cultura. Successivamente abbiamo segnalato con preoccupazione che il tema della cultura era via via scomparso dai programmi dei partiti, quelli di destra ma anche quelli di sinistra. Nella campagna elettorale del 2008, la parola “cultura” era diventata tabù.
Su ateatro abbiamo anche ripetuto fino alla noia che l’’investimento in cultura – e nello specifico nel teatro – si poteva giustificare e rilanciare solo uscendo dai meccanismi delle clientele e delle parrocchiette, riformando strategicamente i meccanismi di decisione e di spesa, oltre che i metodi di selezione del personale dirigente. Un po’’ ci abbiamo scherzato (con il gioco pettegolo del Totonomine), un po’’ abbiamo denunciato gli scandali più evidenti (dalla cricca della commissione ministeriale che spartisce il FUS alle penose pastette di Arcus spa, senza dimenticare gli “ingrandimenti” sull’attivissimo Salvo Nastasi, di recente protagonista delle cronache giudiziarie ma inamovibile). Soprattutto, attraverso ateatro abbiamo cercato di mettere sul piatto proposte concrete: provando a ridefinire il ruolo del teatro pubblico e a rilanciarlo, per esempio, e attraverso il censimento e la diffusione delle Buone Pratiche.
Abbiamo anche sottolineato, più di una volta, la necessità di una riforma dell’’Eti, e per riforma intendevamo una riflessione di fondo sulla sua possibile funzione nel sistema e una coerenza fra missione e spesa: l’’Ente Teatrale Italiano si è sempre nascosto dietro una foglia di fico – ovvero le briciole destinate al nuovo e alla ricerca attraverso vari progetti speciali, una mancia su un bilancio di oltre 11 milioni di euro – per poi restare di fatto il braccio esecutivo del ministero (dai cui indirizzi dipende) e dei diversi ministri (da cui dipendono le nomine dell’intero consiglio d’amministrazione). Due “riforme” in anni recenti, tutte interne ai governi di centro-destra, non ne hanno modificato il dna: al di là della buona volontà dei singoli (direttori e operatori), l’ETI non si è mai allontanato troppo dall’antica politica clientelare da carrozzone parastatale (e sprecone), gestito per anni in palese conflitto di interessi, tanto da essere per questo commissariato per quasi un decennio.
Oggi – visto che l’’Eti non ha fatto in sostanza nulla per riformarsi – diventa molto difficile difenderlo. Di più, pare fatica sprecata: siamo pronti a scommettere che l’’Eti finirà proprio tra gli enti “salvati” dal patteggiamento tra il “feroce” Tremonti e il “mite” Bondi (mentre di abolire Arcus spa non parla nessuno). Perché le vere clientele sono le più dure a morire. Perché chiudere l’’Eti crea più problemi che tenerlo aperto (se non fosse così, l’’ente avrebbe già da tempo dismesso i suoi teatri). Perché magari si deciderà di svuotare il FUS per salvare l’’Eti (anzi, già se ne parla proprio nell’ultimo “Giornale dello Spettacolo”: il contributo ETI, che nel 2008 è stato assegnato “extra Fus” tornerebbe nel calderone: come dire, per salvare l’ETI, stringerà la cinghia o salterà qualcun’altro).
E poi l’ETI verrà salvato perché tanto in Italia gli enti inutili non si chiudono mai.
Al di là del destino dell’Eti (e di quello dei suoi dipendenti, l’unico aspetto della questione che ci sta davvero a cuore), quello che inquieta è il “metodo Tremonti”: la cancellazione per decreto, senza alcuna discussione (nemmeno con il ministro responsabile, che si è dichiarato all’oscuro di tutto), di un ente con circa 150 lavoratori che ha segnato, nel bene e nel male, decenni di storia del teatro italiano (e che ancor oggi continua a costituire uno degli assi portanti dei progetti di legge sul teatro per il quale si stanno impegnando da tempo alcuni nostri volonterosi parlamentari di destra e di sinistra, in uno sforzo bipartisan).
Una “macelleria” del genere è possibile solo in un clima di generale imbarbarimento e involgarimento della vita politica e culturale (vedi anche le sparate contro il “culturame” e i lavoratori dello spettacolo dei ministri Brunetta e Bondi, ma anche le provocazioni alla Baricco). Di queste scelte non si discute né in Parlamento né al consiglio dei ministri. Qualcuno decide e basta. E poi, se proprio diventa necessario, si giustificano le scelte, a posteriori.
Il 31 maggio, sempre sul “Corriere della Sera”, Pigi Battista si è nuovamente scagliato contro le sovvenzioni pubbliche alla cultura. Forse sarebbe il caso di riflettere su quello che significa “sostegno pubblico” alla cultura. La cultura è – e deve essere – un patrimonio di tutti i cittadini, e una opportunità offerta a tutti per il bene di tutti. Il fatto che poi siano i cittadini che approfittano di queste opportunità di “consumi culturali” (le biblioteche, i teatri, i musei, gli archivi) siano tanti o pochi è un aspetto secondario: per il bene della collettività, è bene che queste vitamine e quesi anticorpi culturali restino attivi e a disposizione di tutti.
In secondo luogo, per fortuna e da sempre, i veri artisti in generale non hanno con i loro committenti un rapporto necessariamente servile. I creatori non sono dei pubblicitari a libro paga. Anche se il potente di turno ordina all’’artista: “Io ti pago per dire questo e per non dire quest’’altro” (diciamo per fare la più banale propaganda), il rapporto è sempre un poco più complesso. Michelangelo lavorava per conto del papa, Shakespeare e Molière avevano come committenti e finanziatori la regina Elisabetta e Luigi XIV. Lo stesso Stalin si prendeva la briga di telefonare personalmente a Bulgakov (che censurava). Pensare che gli artisti siano semplici esecutori, agit prop prezzolati dal potente di turno, speechwriters per comizi e battutari per apparizioni televisive, prima ancora che umiliante per gli artisti è una solenne baggianata. Anche se naturalmente opportunismi e piaggerie cortigiane si sprecano e si sprecheranno sempre. Anche se qualcuno cercherà sempre di imporre un’’arte ufficiale. In una società democratica, la dialettica tra il potere e gli artisti (teatranti compresi) è ancora più ricca e articolata: lì le mille sfaccettature del corpo sociale e le sue contraddizioni possano trovare espressione, visibilità e oggettivazione.
L’’identità collettiva si plasma e si sedimenta grazie a questa dialettica. Applaudire i tagli alla “cultura di stato” e poi lamentarsi che nessuno si preoccupi delle celebrazioni per i 150 anni dell’’unità d’Italia è una contraddizione sciocca. Oggi i luoghi dove si preserva la memoria collettiva (i teatri lirici o le fondazioni Gramsci, Basso, Sturzo, Feltrinelli, Mondadori, eccetera, i centri studi, gli archivi, il Centro Sperimentale di Cinematografia e di conseguenza la Cineteca Nazionale…, e anche le università) vengono sistematicamente sviliti e affossati. Anche così diventa più facile inventarsi storie revisioniste e mitologie farlocche. Così si cancella la memoria, ma si azzera anche il futuro. (vedi anche l’’articolo di Gianfreanco Capitta sul “manifesto” del 30 maggio).
I grandi uomini (anche quelli pessimi nella loro sadica grandezza) hanno sempre avuto l’’ambizione di donare qualcosa alla loro comunità e ai posteri: qualcosa da destinare alla collettività, per lasciare imperitura memoria di sé. Una chiesa, una biblioteca, un teatro, un museo…
Il nostro piccolo leader è invece ossessionato dalle proprie ville, e dal mausoleo che -– complice Bondi -– si è fatto costruire nel giardino di una di queste ville. Agli italiani, al popolo da cui vuole con tanta insistenza farsi amare, non vuol lasciare nulla. Non gli viene in mente di lasciare nulla, malgrado le sue immense ricchezze. E’ per questo che può solo provare a cancellare quello che altri, più generosi e più colti di lui, hanno voluto lasciare agli italiani.

L’’Eti su ateatro

108.2 Come cambia l’ETI
L’atto di indirizzo 2007
di Francesco Rutelli – Ministro per i Beni e le Attività Culturali (con le dichiarazioni del direttore Ninni Cutaia)

76.10 Le esigenze del teatro e le funzioni dell’ETI
L’intervento del 6 novembre
di Marco Giorgetti, direttore generale dell’ETI

72.84 Giorgetti nuovo direttore dell’ETI, De Fusco allo stabile del Veneto fino al 2009
La giostra delle nomine
di Redazione ateatro

71.81 Quale futuro per l’ETI?
Una giornata di incontro a Roma
di I rappresentanti aziendali del Sindacato Lavoratori Comunicazione e della Funzione Pubblica CGIL dell’ETI

70.2 Luca De Fusco guida gli stabili
E Angela Spocci va all’INDA? Ma allora all’ETI chi ci va?
di Redazione ateatro

69.5 I dipendenti dell’ETI sulla crisi dell’Ente
Il documento sindacale frutto dell’assemble del 10 maggio
di I lavoratori dell’ETI

66.18 Una proposta del sindacato sul futuro dell’ETI
Una riflessione sulle ragioni dell’’esistenza di un organismo pubblico nazionale per la promozione del teatro italiano in un contesto europeo
di CGIL Funzione Pubblica

64.33 Le ragioni del radicchio
Ancora sull’ETI
di Silvio Castiglioni, Direttore artistico Santarcangelo dei teatri

63.10 Quali funzioni per l’ETI
Riflessioni sugli interventi di Luciana Libero e Domenico Galdieri
di Paolo Aniello
Presidente Tedarco

63.11 Archivio: le lettere della Tedarco alla Presidenza dell’ETI
Risorse, Progetto Aree Disagiate, Progetto Teatro Ragazzi, Stregagatto, Teatri di Innovazione di Roma
di Paolo Aniello
Presidente Tedarco

63.9 Ricche prebende e amici arraffoni: l’articolo di Gianfranco Capitta sul “manifesto”
Il CdA dello Stabile di Parma, l’ETI e l’Urbani style
di Gianfranco Capitta

63.8 L’ETI gioca al lotto?
Dall’inchiesta di Riccardo Bocca per “l’Espresso”: le sponsorizzazioni teatrali di Lottomatica
di Redazione ateatro

63.7 Il futuro dell’ETI
Risposta alla lettera aperta dei dipendenti
di Domenico Galdieri

63.4 Quale futuro per l’ETI?
Lettera aperta
di Dipendenti in servizio presso la direzione generale dell’Ente

63.49 Interrogazione parlamentare Ds sull’ETI
E pubblica discussione sui problemi del teatro alla Camera il 15 marzo
di Redazione ateatro

63.12 Atto di indirizzo per l’’attività dell’Ente Teatrale Italiano per l’anno 2002
Al Presidente dell’ETI
di Giuliano Urbani

62.11 L’ETI oggi: un ente inutile?
da Retroscena: il sistema teatrale italiano nell’era Berlusconi in “Hystrio” 1/2004
di Mimma Gallina

62.12 Who’s Who (all’ETI)
da Retroscena: il sistema teatrale italiano nell’era Berlusconi in “Hystrio” 1/2004
di Redazione “Hystrio”/Retroscena

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2010-06-01T00:00:00




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