#bp2013 Vai fuori per una descrizione che prima non c’era

L'intervento al'incontro Verso l'Europa, Teatro Rasi, Ravenna, 18 gennaio 2013

Pubblicato il 02/04/2013 / di / ateatro n. #BP2013_Ravenna , 142

Verso l’Europa, perché forse non ci si sente già dentro l’Europa. Ho sempre sentito questo distacco, appunto si va verso l’Europa, eppure se ne dovrebbe fare profondamente parte. Ma è così, lo vivo, lo comprendo questo modo di dire.
Quindi perché verso l’Europa? Perché si ha l’impressione che l’arte contemporanea sia più facilmente accessibile e praticabile. Per maggiore legittimità e per migliore sostenibilità. Tanti i bandi esistenti, tanti i progetti che si possono avviare. Penso anche allo spostarsi di tanti artisti a me vicini negli anni ’90 su Parigi, poi negli anni successivi verso Berlino, ora a Bruxelles per essere sostenuti nelle proprie intermittenze. Questa l’attitudine verso i paesi del Nord Europa e verso le strutture comunitarie, diversa è la relazione con l’Europa del Sud e con i Balcani, che una volta superata la logica perniciosa della ricerca di autenticità ci restituisce in forme più evidenti alcuni elementi conflittuali dell’identità europea.
Sono cresciuta europeista, ma evidentemente non europea, occidentale sì, sempre stata attratta dalla possibilità di esprimere, esplicitare ed estroflettere le inquietudini, dalla facoltà di scovare la situazione critica, la crepa che mina, ciò che toglie certezza alle certezze che oscurano. Perché la cecità spesso sembra derivare dal non poter vedere, cosa crolla se riconosco ciò che guardo per quel che realmente è?
Questa condizione quasi permanente, insieme ad alcune riflessioni dovute ad una abitudine artistica che negli anni ha conservato uno sbilanciamento formalizzante e generato un senso di separazione dalla realtà – creando in me un sentimento di limite interpretativo – mi ha portato a volte a percepire la mia stessa comunità teatrale come un corpo a sé, con alcuni ruoli sentiti come ristretti, una sorte di breve gittata. E gli spazi del teatro contemporaneo forse meno approssimativi, ma ancora troppo angusti.
In questo scenario ho immaginato che per poter continuare ad entrare in scena mantenendo la mia preferenza per un teatro vivo e legittimo, contemporaneo per tautologia, con modalità creative che trasformano i ruoli e i tempi di produzione, dovevo spostarmi e mettermi in un punto dove il panorama fosse a me completamente sconosciuto. Per vivere un pezzo di vita travolto solo dall’inusuale, insieme ad Andrea Mochi Sismondi e al suo desiderio di scrivere un libro su una comunità.
L’opportunità si è manifestata quando ci siamo trovati a Skopje con i Fanny&Alexander per la produzione di Sconcerto per Oz in collaborazione con il Teatro Nazionale d’Opera Macedone. Lì ci siamo imbattuti per la prima volta nella comunità rom di Šuto Orizari, la più grande comunità rom al mondo e l’unica che si autogoverna. La capacità del luogo di stabilire contatti profondi con ciò che cercavamo nell’arte – o forse il contrario – ci ha permesso di trovare il modo per vivere e lavorare lì. Nell’arco di due anni abbiamo vissuto per due lunghe residenze in una famiglia rom: divertimento e bellezza sovrapposta alla ricerca di senso, che hanno portato alla scrittura di un libro e alla creazione di due spettacoli. Comune Spazio Problematico e OpenOption sono due opere direttamente conseguenti alle residenze in Macedonia. Ma anche i passi successivi – ovvero quella creazione di spazi interstiziali dove poter raccontare la propria scelta di vita nel campo dell’arte in Italia rappresentato dal progetto Civile (www.civile-net.org) e il canto inquieto sull’identità europea che si leva in Hello Austria – sono risultati anch’essi dello sguardo da fuori che ci ha permesso la vita a Šuto Orizari.
Non descriverò ovviamente gli spettacoli, ma vorrei condividere una visione dall’alto. Nello spettacolo OpenOption siamo tanti: 10 italiani e 4 attori rom macedoni. Immaginate i giorni precedenti al debutto presso il teatro di Carpi, dove noi italiani abbiamo montato colmi di responsabilità ed emozione. Immaginate gli accadimenti legati al debutto, quanto pubblico, quali operatori quali giornalisti, le relazioni con il festival, le contrattazioni con i tecnici del teatro e poi fate uno stacco di montaggio: quegli stessi giorni i macedoni si preparano alla partenza, e siccome avvrebbero parlato della loro condizione di uomini su questa terra nella loro lingua – il romané – di fronte a un platea di italiani nei giorni della “emergenza nomadi” la comunità sentiva la loro partenza come un evento molto importante. Era stata organizzata una banda di fiati e tamburi che è andata a prendere ognuno di loro dalla propria casa e li ha accompagnati fino al taxi che li ha portati verso l’aeroporto. Vista dall’alto è una scena divertente.
Andrea e io ci siamo avvicinati a Šuto Orizari anche per un’antica e inesauribile attrazione verso i rom, ma non siamo esperti di rom, ci siamo avvicinati alla comunità abbracciando l’attitudine precisa e spassionata di Leonardo Piasere nei confronti delle popolazioni rom e sinte, zingari di tutta l’Europa fisica, sua infatti è la teoria dell’occidentalistica di riflesso alla quale facciamo riferimento nel definire il ruolo – luminoso, spiacevole e doloroso – delle popolazioni rom nel riverberare le falle, le imprecisioni, le fragilità contenutistiche e gli accorciamenti di pensiero che danno per assodato il nostro quotidiano.
Il progetto si è sviluppato nell’arco di cinque anni, dalla prima residenza nel 2007 fino all’uscita del libro Confini diamanti lo scorso maggio. Abbiamo sostenuto le residenze in Macedonia e gli spettacoli con il finanziamento triennale del Patto Stato- Regioni 2007/2009, con un contributo dell’Ambasciata d’Italia a Skopje e con una borsa per la letteratura del circuito internazionale per i giovani artisti.
Questo percorso prosegue attraverso la definizione di progetti che si basano sullo spostamento, sulla continua ridefinizione identitaria, sull’attenzione contestuale e sulla conseguente reinvenzione delle forme. Siamo appena tornati da un percorso laboratoriale al Teatro Valle Occupato e – attraverso l’Angelo Mai – in una scuola romana abbandonata, occupata e rigenerata in tanti piccoli e dignitosi spazi abitativi dal Comitato Popolare di Lotta per la Casa. Abbiamo portato i partecipanti in contesti altri, ad osservare e cercare di costruire un proprio punto di vista su ciò che si manifestava partendo dalla descrizione di ciò che vedevano piuttosto che dalle loro idee di partenza.
In questo momento Andrea si trova in Palestina per visitare un progetto di formazione universitaria in un campo profughi fondato sulla rigenerazione del linguaggio come base per le pratiche di liberazione – di cui alcuni di voi avranno seguito i dispacci su Doppiozero – e per far visita ai componenti del Freedom Theatre di Jenin, il cui fondatore è stato assassinato un anno e mezzo fa.
Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza il lavoro sul Sì: lo spazio teatrale che abbiamo in concessione dal Comune di Bologna. Un luogo che fu ristrutturato una prima volta – e denominato Spazio della Memoria – da Leo. Il Sì ha momentaneamente interrotto la sua attività aperta al pubblico – ma non quella di residenze e prove – per dare la possibilità al Comune di Bologna di avviare un importante progetto di rinnovamento e ampliamento dei locali, che prevede anche la ristrutturazione dell’adiacente Teatro San Leonardo che è stato dato in concessione all’associazione Pierrot Lunaire che cura il festival di musica contemporanea Angelica. Pensiamo dunque ad un nuovo Sì, che aprirà nella seconda metà del 2013, come un atelier per la produzione dei nostri lavori, ma anche come un luogo dove continuare ad accogliere le visioni altre e di discipline molteplici, uno spazio che inventa forme di restituzione alla comunità attraverso pratiche innovative che esulano dalla programmazione intesa tradizionalmente, per la quale non riceviamo d’altronde nessun finanziamento. Un luogo che si apre decisamente verso l’Europa perseguendo un concetto di sovrautilizzo degli spazi e attraversamenti indentitari. Parlo di collaborazioni e convivenze con altri soggetti culturali europei, intendiamo infatti lavorare a progetti specifici per creare dei gemellaggi con ecosistemi simili, anche attraverso una rete di responsabilità artistiche in condivisione.

Fiorenza _Menni

2013-04-02T00:00:00




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