Il cristallo e la foglia, ovvero l’abc del teatro

Verso Klee, un occhio vede, l’altro sente di Tam Teatromusica.

Pubblicato il 28/12/2014 / di / ateatro n. 151

IMG_6713È proprio bella oltre che interessante l’operazione condotta da Tam Teatromusica nell’ultima tappa del progetto Trilogia della pittura perché, dopo Marc Chagall e Pablo Picasso, nella scelta di lavorare su Paul Klee, e precisamente di portare a teatro Klee, non solo si svela la natura intimamente teatrale della sua poetica ma anche l’alfabeto, la sintassi elementare della stessa arte teatrale.
Verso Klee, un occhio vede, l’altro sente, ideato da Pierangela Allegro e Michele Sambin che ne cura anche la regia, si colloca significativamente a coronamento della carriera trentennale della compagnia padovana consacrata proprio lo scorso 15 dicembre dal prestigioso Premio Ubu. E freschissimo di premiazione lo spettacolo si è offerto al pubblico nella cornice veneziana del Teatro Fondamenta Nuove, secondo di dieci appuntamenti della rassegna che – parte di Super Start – Progetto Teatro Off, prima tangibile iniziativa a segnare il nuovo corso del Teatro Stabile del Veneto – è dedicata al teatro contemporaneo e porterà sulla scena di Venezia e Padova, da qui alla primavera,  alcuni tra i gruppi veneti più rappresentativi degli ultimi anni.

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Dunque un occhio che vede e l’altro che sente…questa pervasività della visione che permea l’arte sinestetica di Klee, dove il segno pittorico, la musica, il colore sono accordati all’unisono, è resa dall’espressione secondo cui “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile”. È questa la nota frase di Klee che condensa non solo il senso della sua poetica ma traduce anche l’intento rivoluzionario di tutte le avanguardie novecentesche di cui siamo storicamente eredi, e si presta perfettamente in realtà a svelare il paradosso antimimetico che è proprio dell’arte teatrale. L’arte che, più di tutte, ha a che fare con l’imitazione della realtà, quella ‘mimesis praxeos: l’imitazione delle azioni’ di cui ci parla Aristotele, il primo storico e teorico del teatro, è stata nel secolo scorso la principale fautrice della sua stessa messa in crisi. O meglio ne ha svelato la natura intimamente paradossale che ha nel teatro la sua prima espressione. Perché nell’arte a essere imitata non è propriamente la realtà, ma il suo principio creativo.

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Allora quello che visualizziamo composto sulla scena di Verso Klee… è un fluire di forme, una generazione e dissoluzione continua di motivi che prendono e perdono forma. Attraverso la composizione di quadri e stanze che si materializzano sulla scena in una composizione e scomposizione continua di piani, di pannelli, di schermi, di spazi che si aprono e chiudono, in un globale montaggio di sequenze, prendono forma, proiettati, motivi e immagini: fiori, foglie, pesci, linee, cerchi, quadrati, occhi, fenditure… in una parola geroglifici che appartengono a quella filosofia fatta per visioni che è incarnata nell’arte di Klee. Attraverso la composizione di immagini quello che si compie in scena è propriamente una metamorfosi continua, una profusione di forme, che è la ripetizione dell’atto generativo della natura, non la sua imitazione, è una compenetrazione vitale, ‘interna’ capace di toccare i presupposti generativi della natura.
E la metamorfosi, la trasformazione è anche ciò che nutre la sintassi elementare dell’arte teatrale, è ciò che fonda l’abc del teatro; il passaggio da una forma all’altra, la costruzione e distruzione dell’identità è quanto, quasi per magia, avviene in scena ogni qual volta si gioca al teatro; nel riflesso speculare che vincola la complicità tra attore e spettatore si agisce e si assiste ogni volta all’affermazione e negazione, alla definizione e messa in discussione di quel fragile concetto che è l’identità. Il teatro è quel luogo liminale dove la forma, per utilizzare l’immaginario di Klee, si offre di volta in volta come cristallo – che ha la perfezione, definitezza e fissità dell’inorganico – o come foglia – che ha l’indefinito e incontenibile principio vitale dell’organico: nel gioco inesausto di alternanza tra foglia e cristallo il teatro è speculare al principio creativo della natura.

verso Klee - foto di Claudia Fabris

foto di Claudia Fabris

Questo gioco allora lo leggiamo nella danza di forme composta sulla scena di Verso Klee… e che non a caso è orchestrata sapientemente dagli attori, Flavia Bussolotto e Alessandro Martinello, che compaiono nelle vesti di burattini. E tanto la maschera è un elemento essenziale della trasformazione e della metamorfosi quanto i burattini sono gli emblemi dell’iniziazione al teatro… sarà l’affinità elettiva che lega Klee a Goethe a giustificare questo riferimento… ma basti pensare al ruolo fondante dei burattini nella Vocazione teatrale di Wilhelm Meister… il dono della nonna che semina nel bambino il germe dell’amore per il teatro. Qui i burattini sono il regalo che Klee padre faceva al figlio Felix in occasione dei suoi compleanni, e la voce che dà corpo al testo, costruito su di un intreccio di brani tessuti da Pierangela Allegro dagli scritti dell’artista, vuole essere proprio quella di Felix bambino. Un testo che, come voce fuori campo, è tutt’uno con le immagini, con la metamorfosi delle forme e del respiro che dà ritmo al principio generativo che si dispiega in scena.
Perché …chi può meglio cogliere questa profusione di forme se non lo sguardo di un bambino? Uno sguardo capace di posarsi con l’entusiasmo della scoperta e lo stupore della meraviglia sulla magia della creazione. Chi è depositario di una conoscenza che è prima di tutto sensibile? Per chi è l’abc del teatro se non per lo sguardo disincantato e accogliente di un bambino? O dello spettatore che è capace di farsi bambino.




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