Le prospettive della critica? Sono tutte in rete

L'intervista di Margherita Laera per Dioniso e la nuvola

Pubblicato il 19/06/2017 / di / ateatro n. 162

Questa intervista è parte integrante del progetto Dioniso e la nuvola. L’informazione e la critica teatrale in rete: nuovi sguardi, nuove forme, nuovi pubblici. Alla base del volume edito da FrancoAngeli c’è una serie di interviste a giovani critici teatrali, realizzate da Giulia Alonzo, disponibili su ateatro.it alla pagina https://www.ateatro.it/webzine/dioniso-e-la-nuvola/.

Margherita Laera, nata a Milano, studia Lettere classiche, Letterature comparate e Teatro prima a Milano, poi a Parigi ed infine a Londra, dove nel 2010 conclude il suo dottorato di ricerca sullo studio della Tragedia greca nel teatro contemporaneo.
Oggi è docente di Teatro all’Università del Kent, nel Regno Unito. È specializzata in teatro europeo contemporaneo, traduzioni, adattamenti e performance. È giornalista e traduttrice.

Nel 2014 ha realizzato un ampio sondaggio tra i critici teatrali italiani, documentato su ateatro.it: https://www.ateatro.it/webzine/2014/09/21/il-popolo-dei-critici-teatrali-quanti-sono-dove-scrivono-come-sono-pagati/.
Leggi i risultati del sondaggio: https://www.ateatro.it/webzine/2014/12/30/14153/.

Come mai l’esigenza di un sondaggio?

Margherita Laera

Con le prime ricerche bibliografiche sulla critica teatrale in Italia mi sono resa conto di una lacuna evidente negli studi sulla critica teatrale apparsi in Italia negli ultimi tempi. Mentre si moltiplicano i master, le iniziative e i volumi in merito – vedi i libri di Massimo Marino, Andrea Porcheddu e Roberta Ferraresi, Teatro Akropolis, Georgios Katsantonis, solo per citare i contributi più recenti – la parola è spesso data ai critici più importanti del nostro paese, ma mancano informazioni su una demografia più ampia. Le interviste ai ‘big’, per quanto importanti e preziose, non offrono una vera e propria panoramica sul mondo dei critici italiani, incluso quello dei ‘giovani’. Oggi più che mai, però, è importante catturare la voce dei più: data la tendenza alla deprofessionalizzazione della critica teatrale e le nuove opportunità offerte da internet, il mestiere si è ‘decentralizzato’ – si potrebbe dire anche ‘disperso’ – in una moltitudine di voci che popolano i blog e moltiplicano i discorsi sul teatro. Questo è senz’altro un risvolto positivo, ma occorrono strumenti adeguati per analizzare le nuove tendenze.

E perché l’anonimato? Un critico non è solitamente la persona che per eccellenza dovrebbe avere la responsabilità di quello che dice?

L’anonimato ci ha aiutato ad ottenere risposte a domande indiscrete. Per esempio quelle sull’etica professionale o sull’importo dei compensi. Poi, in generale, mi interessava indagare le tendenze, le opinioni del gruppo, piuttosto che quelle dell’individuo, su cui si sono focalizzati molti altri prima di me.

Una volta capito chi è il critico cosa si fa?

Domanda da un milione di dollari. Intanto ci si può confrontare con realtà estere e poi fare diagnosi più accurate riguardo alle tendenze future. Vedi per esempio il mio saggio che verrà pubblicato nel libro di Duška Radosavljević, Theatre Criticism: Changing Landscapes, edito da Bloomsbury Methuen Drama (http://www.bloomsbury.com/uk/theatre-criticism-9781472577092/, 2016).

Come sei arrivata al teatro?

Il teatro è una passione di famiglia. Sono cresciuta in platea, sul palco e dietro le quinte.

Chi è il critico oggi? Che ruolo ha?

La funzione del critico teatrale è importantissima perché genera discorsi sul teatro, ne analizza tendenze, il valore politico ed estetico, lo contestualizza dal punto di vista storico, e soprattutto risponde ad uno spettacolo con la mente, il cuore e la scrittura. Senza riscontri critici, il teatro non esisterebbe. Un mondo senza critici teatrali sarebbe un mondo intellettualmente più povero. Che poi la funzione del critico sia dispersa, oggigiorno, in una miriade di voci, anche quelle di spettatori comuni e meno ‘esperti’, è un’altra storia. Io non credo che sia una cosa negativa. La superficialità è diffusa ma non mancano le voci di quelli che riflettono con impegno e profondità.

Cosa vuol dire per un critico sporcarsi le mani?

Vuol dire cimentarsi nelle professioni teatrali aldilà del semplice scrivere di teatro, impegnandosi in una pratica del teatro che nutre la scrittura, e che in qualche modo può sembrar ‘compromettere’ l’oggettività critica. In realtà questo discorso vale solo se si segue il modello ottocentesco, ovvero se si crede nella posizione trascendentale dell’osservatore esperto che deve offrire giudizi oggettivi da un punto di vista esterno. Ma quel modello è morto da tempo, anche se molti ancora sono catturati dal mito dell’oggettività e della distanza. Io credo invece che sia utile intendere il critico come un partecipante interno alla vita teatrale. Uno che riflette sul teatro guardandolo da dentro, compromettendosi appieno in prima persona e mettendosi in gioco in tutta la propria vulnerabilità.

La figura di un critico militante alla Quadri oggi è possibile? ha senso parlarne?

Oggi tutti i critici italiani devono fare i conti con la sua eredità, anche se molti ne prendono le distanze. Certo è che il suo potere e la sua influenza sui colleghi e sul mondo teatrale italiano in generale aveva assunto dimensioni spropositate. Si può essere un critico militante senza raggiungere questi eccessi. Certo che ha senso parlare di militanza. Militanza vuol dire vivere il proprio ruolo di critico esercitando pienamente il proprio ruolo politico.

Fenomeni wikipedia e tripadvisor. Tutti possono essere critici e scrivere e giudicare sul web. che autorità ha oggi il critico? Da chi viene letto? E per chi scrive?

Il critico scrive per chi legge. Chi recensisce per Tripadvisor si rivolge agli utenti di Tripadvisor. Chi scrive per “Repubblica” si rivolge ai lettori di “Repubblica”. Chi scrive su Twitter agli utenti di Twitter. Non ha più molto senso parlare di autorità del critico. Ci sono i critici con cui sei d’accordo e critici con cui non lo sei. Poi certamente ci sono critici più pagati e meno pagati, critici che ricoprono posizioni più prestigiose o meno prestigiose, che pubblicano in giornali o siti più o meno letti. Nel Regno Unito, dove vivo, mi trovo a seguire molto di più i bloggers (spesso ragazzi con una vera passione per il teatro che non guadagnano quasi nulla scrivendo) rispetto ai critici ‘autorevoli’ tipo Michael Billington del “Guardian”. Mi trovo molto più d’accordo con i giovani critici che danno voce alle nuove generazioni su internet, rispetto ai critici dei giornali stampati, il cui gusto tradizionalista e conservatore non mi appartiene. Per me i bloggers, che alcuni chiamano ‘amatori’, sono più ‘autorevoli’ di chi scrive per ‘professione’.

Cosa deve fare la critica per riacquistare valore e autorità?

Ma perché dovrebbe voler riacquistare ‘autorità’ Il valore ce l’ha già, ed è un valore enorme, dato che tutti scrivono di teatro, tutti sono critici su twitter, facebook, tripadvisor etc. E’ il teatro che deve riacquistare rilevanza e valore nella società. Ma è una battaglia persa, soprattutto in Italia, dove nessuno può competere con la televisione. L’idea che la critica debba riacquistare ‘autorità’ mi sembra un discorso molto nostalgico, attanagliato in idee del passato.

Che rapporto deve avere con i teatranti?

Credo che tra ‘teatranti’, ovvero tra chi frequenta e chi fa teatro, indipendentemente da che ruolo si ricopre, c’è inevitabilmente una sintonia. I critici non hanno ‘obblighi’ in questo senso, ma come dimostra il mio sondaggio, la maggior parte frequenta attori, registi, produttori, etc. E perché no? E’ importante per chi tenta di sopravvivere facendo teatro di costruirsi una rete di contatti e di poter raccontare i dietro le quinte. Ben vengano le conoscenze e le amicizie.

Ha ancora senso parlare oggi di critica? Che prospettive future ha?

Ma certo che sì. Le prospettive sono tutte in rete. La scommessa è quella di trovare un modello economico per far sì che i critici possano vivere di critica. Ma se non lo si troverà, assisteremo ad un ulteriore passo nella direzione in cui già stiamo andando: moltissimi critici, ma nessuno che faccia questo mestiere in maniera esclusiva, perché semplicemente non si fanno abbastanza soldi con questa splendida professione. Ma i critici brillanti e preparati ci sono sempre, e trovano il modo di scrivere di teatro anche se non li si paga specificatamente per quello.

Come si finanzia oggi la critica?

Oggi i critici vivono facendo altri lavori: io sono docente universitario, come lo è Oliviero, e faccio la giornalista e la critica teatrale nel tempo ‘libero’. C’è chi fa consulenze, organizza convegni, scrive libri, tiene corsi, fa il regista, l’insegnante o completamente un altro lavoro. Infondo anche questa è la lezione di Quadri. La critica teatrale non è un mestiere esclusivo: lo si pratica accanto ad altri mestieri teatrali. Ai tempi di Quadri i critici diventavano organizzatori, editori, e direttori artistici per scelta politica; ai nostri tempi i critici fanno altri mestieri per necessità. Recentemente nel Regno Unito sono emerse proposte da parte di bloggers che spingono per un finanziamento pubblico alla critica teatrale, tramite l’Arts Council. Questa idea non mi dispiace. Non mi oppongo nemmeno all’idea, già praticata in Italia, che gli stessi teatri o festival sovvenzionino la critica. Si possono dire cose estremamente lucide, importanti e necessarie anche se chi ti paga è direttamente interessato a ricevere un certo tipo di commento. Ma probabilmente vale la pena diversificarsi e sviluppare tutte queste vie alternative per finanziare la critica parallelamente l’una all’altra.

(gennaio 2015)




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