L’origine del male ovvero Caino e Abele nel teatro filosofico di Romeo Castellucci

Il primo omicidio di Alessandro Scarlatti all'Opéra Garnier di Parigi

Pubblicato il 06/02/2019 / di / ateatro n. 167

Romeo Castellucci ritorna quasi ossessivamente al tema dell’origine. Riflette con diverse declinazioni sull’origine della tragedia, dalla fulminante e geniale Orestea (1995) al monumentale itinerario della Tragedia Endogonidia (2002-2004), senza dimenticare Gilgamesh (1990). In Democracy in America (2017) indagava la nascita della democrazia americana dalla teologia (e non dal rito trasfigurato laicamente in teatro, com’era accaduto in Grecia). E naturalmente nei suoi spettacoli ritorna la teodicea, ovvero l’interrogativo sull’origine del male, che risulta inaccettabile in un mondo creato da un Dio buono, nella riflessione sui primi episodi della Bibbia in Genesi (1999) (ma anche Sul concetto di volto nel figlio di Dio, 2010), che per alcuni aspetti coincide dialetticamente con la nascita politica.
Nel terzo e ultimo episodio di Genesi, tappa finale della Epopea della polvere, la Socìetas Raffaello Sanzio aveva già portato in scena l’episodio di Caino e Abele. In quella versione, Caino era già stato colpito dal Dio: a un certo punto il pubblico scopriva che “il braccio sinistro di Caino è più piccolo dell’altro, come se appartenesse a un bambino. Un altro bambino, dentro Caino” (Romeo Castellucci, Chiara Guidi, Claudia Castellucci, Epopea della polvere, Ubulibri, Milano, 2001, p. 250). Questo segno – menomazione e diversità – pareva giustificare il risentimento, l’invidia e in definitiva l’omicidio del fratello rivale. Come se il male fosse la conseguenza di una creazione imperfetta, lacunosa: “Il bracco che ruba la vita è quello piccolo di Caino, il suo braccio bambino. Che razza di omicidio è, se a compierlo è un bambino?”

Il primo omicidio: Romeo Castellucci in prova

Castellucci è tornato all’episodio biblico del primo omicidio nel sontuoso e prestigioso contenitore dell’Opéra Garnier di Parigi (in coproduzione con la Staatsoper unter den Linden di Berlino e con il Teatro Massimo di Palermo), firmando regia, scene, costumi e luci di Il primo omicidio ovvero Caino, oratorio a sei voci di Alessandro Scarlatti, una partitura del 1707 riscoperta solo negli anni Sessanta e riproposta prima in forma di concerto e ora come spettacolo di grazie all’attenzione del direttore René Jacobs e della sua B’Rock Orchestra.
La regia contrappone due tempi figurativamente molto diversi. Il primo è costruito su immagini astratte, simboliche, minimali, trasparenze e fluttuazioni cromatiche che rievocano Mark Rothko e linee luminose che richiamano Dan Flavin. Siamo in uno spazio astratto, dove le figure intrecciano i pensieri e le colpe in un vuoto quasi metafisico. Fin dal primo verso, nel libretto di Ottoboni, il destino è segnato: Adamo (Anton Bony) canta “Figli, miseri figli, / Miseri perché miei” ed Eva (Lucie Larras) risponde “e ben che in Ciel sia scritto / il castigo è per tutti, è mio il delitto”. Dall’alto cala la gigantesca riproduzione dell’Annunciazione fondo oro di Simone Martini, ma a testa in giù: a sottolineare la simmetria tra il gesto colpevole di Eva quando accettò la mela dal serpente e quello salvifico di Eva quando accolse l’annuncio dell’Angelo e la maternità divina (secondo certe interpretazioni Caino è figlio di Eva e di Jahvè). Ma il ribaltamento dell’immagine sacra è anche un gesto blasfemo, inquietante.

Il primo omicido di Alessandro Scarlatti, regia di Romeo Castellucci, primo tempo

I protagonisti vestono abiti moderni, dalle tonalità metalliche. Abele (Arthur Viard) e Caino (Charles Le Vacon) sono uno il doppio dell’altro. Non c’è segno esteriore della colpa, che può essere determinata solo dal caso e dal capriccio del dio o dall’intenzione dell’uomo, dalla sua interiorità e volontà, magari plasmata dalla voce di Lucifero (Andréas Parastatidis) che sussurra all’orecchio del primogenito “Sprezzalo, s’ei ti sprezza, uccidi Abelle. / Morto c’ei sia, che ti faran le stelle?” Per certi aspetti, si tratta di ristabilire il diritto che il fratello minore non ha rispettato.

Il primo omicido di Alessandro Scarlatti, regia di Romeo Castellucci, primo tempo

A sancire l’asimmetria basta un gesto: lasciando cadere distrattamente la sua giacca sulla pira (in realtà una moderna macchina del fumo), il Dio (Mayeul Letellier) rende vana l’offerta dell’agricoltore Caino, e si rallegra per il sacrificio del pastore Abele. L’omicidio potrà essere letto come il tentativo di riscattare la colpa offrendo a Dio ciò che gli piace: ha gradito il sangue. In questo testo essenziale, e in uno spettacolo altrettanto geometrico, le simmetrie si moltiplicano e si intrecciano.

Il primo omicido di Alessandro Scarlatti, regia di Romeo Castellucci, secondo tempo

Il secondo tempo si apre su un grande prato, di fronte al quale sono disseminate alcune pietre. E’ il campo che Caino ara “con il sudore della fronte”, ed è anche lo scenario del “primo omicidio”. Qui arriva la torsione più forte che Castellucci impone al testo, rilanciando e radicalizzando l’intuizione di Genesi. Caino e Abele, ma anche Adamo ed Eva, e Dio e Lucifero, vengono sostituiti in scena dai loro doppi bambini, mentre i cantanti li doppiano dall’orchestra o da un palco di proscenio. Tra l’innocenza dei bambini e la violenza originaria si crea un cortocircuito terribile, angosciante. La colpa di Caino infetta l’intera umanità con quello che Agostino – attraverso san Paolo – definirà come il peccato originale. (I bambini erano protagonisti anche dell’episodio centrale, abbagliante, di Genesi, dedicato ad Auschwitz.)

Il primo omicido di Alessandro Scarlatti, regia di Romeo Castellucci, secondo tempo

C’è un’altra ragione, insieme sottile e inquietante, che impone la presenza sulla scena di quel coro di bambini. Perché per molti aspetti il fratricidio è il gesto che inaugura la civiltà e la politica. Il fuggiasco Caino – che dopo la maledizione divina anticipa l’errante, il vagabondo – per prima cosa si nasconde dietro il muro di pietre che ha costruito. E’ la prima città e la polis è fondata sul fratricidio. Arriva il coro dei bambini. Quando Caino entra nel gruppo, gli impongono la corona reale. Ma, attraverso una progressiva metamorfosi, il primo re finirà per trasformarsi in una palla. Il rituale sacro, con la sua terribile violenza, diventa un gioco di bimbi, riprendendo una intuizione di Giorgio Agamben (Profanazioni, Nottetempo, Roma, 2005, pp. 85-87). “Ci troviamo brutalmente a confrontarci con l’innocenza. E’ come dissolvere il crimine originario, il fratricidio, in un gioco di bimbi. Così si libera Caino della sua colpa. Può sembrare una nota polemica, che ribalta l’intera creazione e il progetto divino. Ma potrebbe anche trattarsi solo di bambini che giocano a ‘ri-fare’ la creazione, in un gioco di ruolo” (Romeo Castellucci, dal programma di sala).
Il bene e il male, il rito e il gioco, la realtà e la finzione si rispecchiano. Di qui, dalla violenza che è dentro ciascuno di noi e che può esplodere in qualunque momento, e dalla nostra capacità di ridurla a gioco, nasce la civiltà, tanto innocente quanto colpevole.
Romeo Castellucci lavora da anni a un teatro filosofico costruito per immagini e figure, accostamenti, contrapposizioni e straniamenti fulminanti, alla ricerca di strati sepolti, originari, della nostra psiche e dell’evoluzione dello spirito. Alla coerenza dei temi si accompagna l’evoluzione sia del linguaggio sia della prospettiva, attraverso progressivi approfondimenti e correzioni di rotta, astrazioni e radicalizzazioni. In queste immagini semplici, che nutrono programmaticamente la loro ambiguità, si condensano come negli antichi misteri gli enigmi della vita. Ci interrogano sul nostro destino personale e collettivo.
Ogni volta le conseguenza sono, almeno potenzialmente, sovversive. Come osserva René Jacobs, “nella nostra produzione, Caino canta con una voce femminile grave (contralto) e Dio con una voce maschile acuta (controtenore), ma le tessiture sono le stesse: in teoria Caino potrebbe cantare con una voce maschile acuta e Dio con una voce femminile grave. L’ambiguità delle voci è già simbolica”.
Muovendosi sul crinale tra il nichilismo (l’assenza di valori che giustifica un sentimento escatologico) e lo gnosticismo (smascherare la creazione di un Dio malvagio e ingannatore), Castellucci utilizza la finzione teatrale, con tutti i suoi effetti d’illusione, per esplorare una possibile teologia, sempre sospeso tra la fascinazione del sublime e quella dell’orrore.

La locandina

IL PRIMO OMICIDIO
Direction musicale: René Jacobs
Mise en scène/Décors/Costumes/Lumières: Romeo Castellucci
Collaboration artistique: Silvia Costa
Dramaturgie: Piersandra Di Matteo, Christian Longchamp
Choeur d’enfants de l’Opéra national de Paris

Lo spettacolo sul sito dell’Opéra de Paris.




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