Autarchia per la convalescenza dell’Olimpico di Vicenza. E tornano in scena per frammenti Le memorie di Adriano

Giancarlo Marinelli dirige il 72° Ciclo di spettacoli classici

Pubblicato il 12/10/2019 / di / ateatro n. 169

Capovolgendo la pietosa sentenza di Menandro – «Muore giovane chi è caro agli dèi» – il titolo del 72° ciclo di spettacoli classici al Teatro Olimpico di Vicenza pronuncia quest’anno, con la nuova direzione artistica di Giancarlo Marinelli, una efficace sintesi della crisi della tradizione, nel significato proprio della trasmissione della memoria di generazione in generazione: «Muoiono gli dèi che non sono cari ai giovani». E lo spettacolo inaugurale ha proposto subito un confronto non solo e non tanto con l’antico ma con la sua costruzione memoriale che attraversa l’immaginario novecentesco e giunge a noi per travasi successivi di invenzioni e selezioni, di riletture alla luce della contemporaneità. I Frammenti dalle Memorie di Adriano interpretate da Pino Micol per la regia di Maurizio Scaparro e Ferdinando Ceriani si misurano infatti con uno spettacolo ormai a suo modo classico (le stesse Memorie declamate da Giorgio Albertazzi) che portavano in scena il capolavoro di una Marguerite Yourcenar a sua volta impegnata a ricostruire (inventare) un’idea della classicità nel momento del suo tramonto.

Pino Micol

Federico Ruiz

Le pagine della Yourcenar colgono il declinare di un uomo inquieto, di un imperatore così potente da provare nausea per il proprio stesso potere, ma anche il declinare di un mondo, l’epilogo di un’epoca nella quale l’uomo si ritrova solo. Una solitudine indagata dalla scrittrice francese nel suo ambiguo potenziale sulla scorta della celebre riflessione di Gustave Flaubert: «Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo». L’imperatore Adriano, «quest’uomo solo e, d’altro canto, legato a tutto», serve alla Yourcenar per scandagliare il periodo convulso del secondo dopoguerra e guardare alle tragedie del Novecento come a una riproposta di quella caduta della civiltà ma anche come la frattura che apre al possibile.

Giorgio Albertazzi in Memorie di Adriano

Nelle sue diverse edizioni dal 1989, quando andarono in scena a Villa Adriana a Tivoli, le Memorie di Adrianodi Albertazzi potevano far pensare ad altre cadute e transizioni, altri crolli di muri e imperi. Oggi il senso della fine che caratterizza il personaggio e la sua epoca porta a riflettere sulla crisi della civiltà europea, sul lungo tramonto dell’Occidente. Ceriani e Scaparro lo dicono apertamente: «Mai come oggi, in un mondo dove i fondamentalismi e l’ignoranza seminano morte e distruzione, questo testo ci sembra così attuale.»
L’amore per il giovane Antinoo e la sua tragica fine restano sullo sfondo di questa introspezione lucidissima, di questo tribunale della coscienza intento a «ridare udienza ai ricordi»: la Spagna delle origini, la Grecia degli studi, l’apprendistato politico con Traiano, l’imperatrice Plotina, la penetrazione barbarica. Micol è un Adriano meno istrionico e più introverso di Albertazzi. Voce calda, impostata, sembra a tratti costretto a una prova che giocoforza si misura con la tradizione grandattorale. La novità registica sta tutta nella lettera che l’imperatore sta scrivendo al suo successore, Marco Aurelio: Micol la tiene in mano, scrive, rilegge; con Albertazzi non c’era neppure, si trasformava direttamente in monologo.

Evelina Meghnagi, Arnaldo Vacca e Cristiano Califano

Sulla voce di Evelina Meghnagi, accompagnata da Arnaldo Vacca e Cristiano Califano, si muove la figura di Antinoo, risolta anche qui come nell’edizione originale con la danza, affidata a Federico Ruiz, che lo fa apparire e scomparire quale proiezione della fantasia di Adriano. Come i lacerti di bellezza che dalle ombre della memoria riemergono a disegnare una “immortalità intermittente”, una ciclica resilienza che salva la bellezza. Se i barbari si impossesseranno del mondo, acquisiranno il nostro sguardo e finiranno per assomigliarci. Così pensava Adriano, che non amava la guerra, a differenza del suo successore Traiano. Amava l’arte, la bellezza, e aveva consapevolezza della caduta senza tuttavia perdere la fiducia nell’uomo. La sensibilità di Scaparro dà rilievo ai passaggi del testo che testimoniano tale sentimento umanistico. Così come a una sorta di dimensione attorale di Adriano, che aveva familiarità con la gente di teatro e che si serviva delle tecniche della scena nelle udienze imperiali. La Yourcenar lo mette in luce in molti passaggi: «Cresceva in me un nuovo personaggio, un direttore di teatro», «Camminavo sul filo come un acrobata», «Conoscevo i miei attori», «Io non ero che una comparsa». Fino all’uscita di scena: «Cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti».

Giancarlo Marinelli

Marinelli firma una rassegna tutta italiana che, dopo le Memorie di Adriano, prosegue con l’Apologia di Socrate di Enrico Lo Verso, l’Ecuba di Elisabetta Pozzi, la Medea di Romina Mondello e quella per strada di Elena Cotugno (qui la nostra recensione: https://www.ateatro.it/webzine/2019/02/06/una-medea-per-strada/). Un’autarchia teatrale che priva l’Olimpico di quel respiro internazionale che fa parte della sua storia e che non viene certo compensato dalla “Lectio Olimpica” di Vittorio Sgarbi su Palladio e l’ordine del mondo. Il direttore artistico rivendica l’appartenenza del tema prescelto «all’esperienza più sacra del teatro: che non è il vedere. Ma l’assistere. “Assistere” che può essere l’impotenza di chi si trova a tu per tu con un cataclisma o un prodigio; oppure “assistere” come presenza attiva accanto ad un organismo convalescente, debilitato, malato, per favorirne la guarigione.» C’è da augurarsi che la storica manifestazione vicentina si ristabilisca presto.