Oltre il coronavirus | Gigi Proietti e il sogno del Globe Theatre, anche a Milano

Fausto Cabra: "Un nuovo teatro per ripartire"

Pubblicato il 15/12/2020 / di / ateatro n. 174

Fausto Cabra, 41 anni, è tra i gli attori e registi più brillanti della sua generazione. Nel corso della sua carriera, particolarmente significativo è stato l’incontro con Gigi Proietti. E per trasformare in un luogo la memoria viva dell’attore romano, tra slancio e provocazione, Fausto Cabra ha iniziato a sognare di costruire un Globe Theatre anche a Milano, dopo quello di Londra (1997), voluto da Sam Wanamaker, e il Globe Theatre di Roma, voluto da Gigi Proietti con il sostegno di Walter Veltroni e inaugurato nel 2003. Fausto ci ha raccontato questo suo sogno mentre era in prova per il nuovo progetto al Museo Santa Giulia di Brescia.

Come ti sei avvicinato al teatro?

Studiavo ingegneria aerospaziale al Politecnico, nella sede di Bovisa. Mi mancavano tre esami e ho sentito il bisogno di una pausa da tutta quella teoria. Così ho accompagnato una mia amica a fare un provino per diventare attrice e ho deciso di tentare pure io. Ho fatto i provini sia alla Paolo Grassi sia alla Scuola del Piccolo, dove ho fatto il mio primo monologo proprio davanti a Ronconi. Mi hanno preso entrambe e ho optato per il Piccolo e l’anno dopo ero di nuovo in Bovisa a fare Infinities

Chi sono stati i tuoi maestri dentro e fuori la scena?

Oltre a mio padre gli unici maestri sono le persone con cui ho condiviso un percorso lavorativo dentro il teatro. Il primo è di sicuro Luca Ronconi, perché mi ha preso il cervello e me l’ha ribaltato come un calzino: mi ha avvicinato alla complessità, ho iniziato a leggere le persone con il filtro del teatro, a osservarle con la lente dell’introspezione teatrale, ad analizzarle con la logica della parola. Mi si è aperto un mondo, ma dopo tre anni volevo dimostrare a me stesso che potevo sposare delle filosofie diametralmente opposte prendendo il meraviglioso che c’era in ognuna. Volevo sperimentare e così una volta diplomato alla Scuola del Piccolo sono andato da Carlo Cecchi. Ci siamo annusati, è nata una stima reciproca, tanto è vero che di recente mi ha concesso i diritti di rappresentazione per La Storia di Elsa Morante, perché lui è il curatore dei diritti d’autore della scrittrice. Poi ho fatto diverse esperienze, da Claudio Longhi a Ricci/Forte. L’ultimo Maestro che ho incontrato è stato Gigi Proietti, con cui ho passato diverse estati al Globe di Roma. Con lui ho avuto la possibilità di lavorare sui testi di Shakespeare in versione integrale in un luogo simile a quello originale.

Come ti sei avvicinato a Gigi Proietti?

Cercava un Mercuzio per riportare in scena Romeo e Giulietta, la sua ultima grande regia. Loredana Scaramella, che avevo conosciuto per un procedente lavoro, pensava che io fossi perfetto per il ruolo, ma io non mi sentivo adatto e così non partecipai ai provini. Dopo aver visto un’infinità di candidati però questo Mercuzio non si trovava. Così a due giorni dall’inizio delle prove Loredana mi ha chiamato. Erano le 10 di sera, mi ha detto che la mattina dopo dovevo far sentire il monologo di Mercuzio a Gigi. Allora mi sono buttato e ho registrato le battute senza nemmeno saperle a memoria… Gliel’ho mandato e la mattina dopo mi ha chiamato Proietti in persona, convocandomi a Roma quel pomeriggio stesso per iniziare le prove. E così ho scoperto che Mercuzio mi si addice moltissimo, vedi quanto non siamo in grado di leggere noi stessi…
È stato un dono poter lavorare con lui, un momento magico della mia vita.

Cos’ha significato l’esperienza al Globe?

Il Globe attrae un pubblico normale, diverso dagli altri Teatri Nazionali. Tra gli spettatori ci sono moltissimi giovani: sarà il fatto di essere all’aperto e di potersi sedere per terra, sarà il richiamo di Gigi… È un pubblico non avvezzo, che magari non conosce nemmeno la storia, ma si instaura un rapporto particolare. Leggendo le opere di Shakespeare, si capisce che le aveva scritte pensando a quella interazione: non esiste la quarta parete, i monologhi sono dei dialoghi con il pubblico che ti fa da specchio. In quell’anello di legno ho avuto la consapevolezza di quanto il teatro possa essere molto più semplice di quanto pensiamo: il Globe è il teatro degli attori, dove la protagonista è la storia, senza bisogno di stupire con intellettualismi astrusi, perché l’obiettivo è solo raccontare storie.

Com’era Gigi dietro al palco?

Eravamo un gruppo di giovani sul palco e spesso diventavamo indisciplinati, quasi nascevano delle risse. Mi è rimasta impressa un’immagine: quasi ricorsivamente, batteva sul microfono dicendo: “Signori, io sono Gigi Proietti” e di colpo scoppiavamo a ridere. O ancora quando recitavo un monologo e lui si sovrapponeva a me, recitando alcune battute, e da vero istrione qual era gli uscivano intuizioni pazzesche. È stato un viaggio molto commovente. Ne avrebbe tirate fuori ancora tante, magari in qualche ruolo drammatico come un Re Lear…
Effettivamente nel suo teatro, il Globe Theatre di Roma, avrebbe potuto fare molte più sue regie, ma ha voluto continuare a trattare quel posto come il “teatro degli attori”, un dono che doveva portare avanti e non una sua proprietà.

em>E adesso cosa succederà al Globe Theatre di Roma?

Spero che la gestione possa rimanere a Loredana Scaramella e a tutti i registi che ci hanno lavorato in questi anni, alle sue figlie. Insomma, alla famiglia allargata che Proietti aveva creato in questi anni e che si è conquistata pian piano il grande sogno e il grande successo del Globe. I numeri, che altri teatri si sognano, parlano da soli! Ricordo annate con più di mille spettatori a sera per tutta l’estate. Si è creato un mondo e spero che non venga sottratto a questa comunità.

E perché un Globe a Milano?

Mi piacerebbe che le idee vincenti si espandessero.
Io penso che Milano sia la Londra teatrale d’Italia, l’unica città che ospita una varietà di voci e di realtà enorme con un sottobosco altrettanto ricco e vivace. A Milano il teatro è estremamente vivo e i cittadini hanno un rapporto con il teatro molto vivido.

Ma cosa apporterebbe il Globe a una città già satura di teatri?

Non credo che Milano sia satura di teatri, perché non c’è un tetto a questa fame di teatro. E in generale nella cultura non penso ci sia un problema di saturazione. Bisogna vedere come sarà dopo la pandemia, ma molte sale milanesi, quando erano a regime, erano spesso piene. Non penso che la domanda sia esaurita: il problema sarebbe di capire come arrivare a pubblici nuovi e diversi, raggiungere chi non è mai andato a teatro o non ci va regolarmente, magari immaginando a strategie e proposte più popolari, più semplici, più attraenti. La sfida è allargare la nicchia, non contendersi quella che esiste già. Ecco perché il bacino non è esaurito.
Con una programmazione esclusivamente estiva, a Roma il Globe ha dimostrato di non rubare pubblico, ma di avere portato a teatro nuovi spettatori, con dati che dicono che il 70% del pubblico che va al Globe non frequenta la stagione teatrale.

E quindi la petizione online per il Globe sta avendo successo…

Una volta la buttai lì a Gigi: “Dai, facciamo un Globe a Milano!”, ma lui si mise a ridere!
Allora ci ho riprovato mettendola online: perché non ricordare una persona cercando di replicare le sue idee vincenti? Se il Globe è stato un successo a Roma, potrebbe esserlo anche a Milano… Così ho lanciato la petizione e in pochi giorni ha raggiunto quasi 500 firme con oltre 330 condivisioni. Per ora è quindi solo una idea, ma magari qualcuno la raccoglie…

Cosa significherebbe oggi aprire un nuovo teatro?

In questo contesto di buio di cui non si vede la fine, soprattutto per il comparto della cultura, sarebbe rincuorante sapere che Milano uscirà dalla pandemia con un teatro in più. Mi piacerebbe emergere da questa crisi, che non è più solo sanitaria, con un’offerta cultura ai cittadini più ricca di quando tutto questo è iniziato. Ripartire ma aggiungendo e non togliendo: questa sarebbe una vittoria e una bella ripartenza per il mondo della cultura. Anche se l’attenzione politica è in larga parte concentrata sulle scelte di breve periodo, questo è il momento giusto per pensare a investimenti culturali a lungo termine. Abbiamo bisogno di qualcuno che tenti di trasformare i sogni in progetti, di rilancio e di crescita, perché ci sarà un domani.