La Bottega dello Sguardo e la sua magia: la memoria viva, la pedagogia e la politica del teatro
In occasione della pubblicazione di Tracce e semi. Azioni e mappe teatrali fra passato e presente di un territorio, a cura di Renata M. Molinari
Dall’ampia piazza centrale di Bagnacavallo, dove si affaccia il Teatro Goldoni, si imbocca un ampio portico lungo lo zig zag della carreggiata, mentre sulla sinistra lo sguardo accarezza qualche vetrina e il ritmo dei portoni. Meno di 300 metri e si suona al campanello al piano terreno di un palazzetto nobiliare, là dove un tempo poteva essere una bottega artigiana,. La Bottega dello Sguardo. Quell’angolo silenzioso nel cuore della Romagna ospita un progetto eccentrico, speciale e necessario.

La Bottega dello Sguardo

La bottega dello sguardo, il cortile
Passata la soglia, una stanza tappezzata di scaffali con quasi 7000 volumi, i faldoni allineati dell’archivio, suggestivi memorabilia teatrali: programmi di sala, dischi, locandine… E’ un ambiente caldo, con il pavimento di cotto rosso, pronto ad accogliere il visitatore, che spesso si affolla di un pubblico silenzioso e attento. In fondo, oltre la porta-finestra, si apre un giardinetto ancora più intimo e segreto, dove svetta una improbabile palma.
Lì sono passati, in questi anni, tra gli altri, Giuseppe Battison, Elena Bucci, Cassandra Casbah, Carlo Giuseppe Gabardini, Antonio Latella, Sandro Lombardi, Fausto Malcovati, Maria Grazia Mandruzzatto, Giuliano Scabia, Alfonso Santagata, Federico Tiezzi, Accademia Perduta e il Teatro delle Albe, oltre ad aficionados come Paola Bigatto, Lisa Capaccioli, Ambra D’Amico, Stefano De Matteis, Renato Gabrielli, Massimiliano Speziani, Riccardo Tabilio… Evocate da quei libri, sono tornate a risuonare le parole di maestri come Jerzy Grotowski, Vladimir Majakovskij, Antonio Neiwiller, Thierry Salmon…
Non è è solo per queste presenze, reali o evocate, o per le feste di San Michele o Santa Lucia con la birra alla spina nella corte, che questo è un luogo speciale. La Bottega dello Sguardo, inventata e animata da Renata M. Molinari, è speciale perché vi si pratica il pensiero teatrale. “In purezza”, come direbbe un sommelier.
Per capire che cosa significa, bisogna frequentare le variegate attività della Bottega dello Sguardo, oppure leggersi Tracce e semi. Azioni e mappe teatrali fra passato e presente di un territorio (Società Editrice “Il Ponte Vecchio”, Cesena, 2023, con il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna), dove Renata M. Molinari ha raccolto una serie di testimonianze che documentano i primi anni del progetto, a partire dalla giornata d’inaugurazione, l’11 giugno 2016.
Ma forse per capire che cosa è la Bottega dello Sguardo, prima di tutto è opportuno chiarire che cosa non è.
Non è un teatro, anche se può ospitare performance e reading.
Non è (solo) una biblioteca collegata all’OPAC, anche se vi si può leggere e studiare soprattutto il teatro del Novecento e si possono persino chiedere libri in prestito.
Non è (solo) un archivio, anche se conserva la documentazione dell’attività di Renata Molinari. come Dramaturg e come studiosa. Tuttavia nella Bottega la memoria ha un ruolo fondamentale, perché il teatro si nutre di memoria, non per custodirla o ripeterla sempre uguale a sé stessa, ma per riattivarla. E anche per questo uno dei filoni di lavoro è quello della memoria e degli archivi teatrali.

Renata Molinari nel cuore della Bottega dello Sguardo.
Non è un circolo di appassionati, anche se i soci e i compagni di strada sono pieni di passione.
Non è una scuola, anche se ospita spesso laboratori e workshop. E’ piuttosto un luogo dove si condividono diversi saperi, per metterli in pratica. Del resto la vocazione pedagogica di Renata Molinari è indiscutibile, come dimostra il fatto che moltissimi dei suoi allievi sono recidivi e tornano spesso per nuove collaborazioni.
Non è un servizio sociale, anche se con le sue attività svolge un ruolo sempre più importante nella comunità cittadina, come presidio identitario di una memoria viva. Infatti la Bottega dello Sguardo non è solo lo spazio fisico della bottega, ma sono le attività che investono il territorio e il suo patrimonio.
La Bottega dello Sguardo non è nemmeno un luogo in cui si riflette sul teatro (anche se capita assai spesso), ovvero un cenacolo in cui si discute del teatro in termini filosofici. La filosofia e il teatro hanno due approcci molto diversi.
Perché il teatro accade proprio nel momento in cui il pensiero – una riflessione, un’idea, un progetto – diventa azione, si fa corpo e voce, occupa lo spazio. Il teatro accade quando smette di essere ipotesi e si fa evento. Teatro da fare e teatro da guardare.
La drammaturgia, di cui Renata Molinari è maestra, è lo strumento (o il metodo) che consente di trasformare il pensiero in azione, qualunque sia il mezzo (l’arte) che viene utilizzata: il teatro, la pittura, la scultura, la scrittura, la musica… Ricordando che il teatro, ma anche le altre arti, sono sempre memoria e confronto, ovvero ripetizione/riattivazione e incarnazione di una drammaturgia, ricomposizione e magari improvvisazione all’interno di strutture e relazioni.
Le attività della Bottega dello Sguardo, nel loro insieme, sono una straordinaria lezione di drammaturgia e Tracce e semi è il suo “non-manuale”. Anche gli incontri e i laboratori rispondono a una precisa drammaturgia, specifica per ogni occasione, così come la programmazione nel suo insieme.
Tracce e semi racconta, come è giusto, i diversi esercizi di osservazione e di creazione, che di volta in volta Renata Molinari assegna ai partecipanti. Sono il cuore del libro e dell’esperienza: come i temi degli incontri, integrano e stratificano i diversi poli d’attenzione, ovvero temi e metodi di lavoro, e nodi teorici: la storia (il teatro della memoria collettiva), lo sguardo e l’osservazione (il gran teatro del mondo), la scrittura (il teatro della pagina), l’autobiografia (il teatrino dell’io)…
Però non sono esercizi ripetibili, in maniera pedissequa, perché si nutrono del contesto che li ha creati, ovvero il retroterra culturale di Renata Molinari e quello dei suoi ospiti e dei suoi allievi, ma soprattutto la storia e la memoria, a volte dimenticata e rimossa, del territorio in cui opera, con i suoi tesori nascosti.
Perché il pensiero diventi azione è necessario che si crei comunità: la comunità di chi costruisce insieme il progetto, la comunità di chi vi partecipa e, sullo sfondo, la comunità cittadina, la polis.
C’è grande disciplina e rigore nel lavoro, ma questa pratica non può cristallizzarsi in un metodo. Nasce dai luoghi, dalle persone. E dal percorso biografico di Renata Molinari, che è cresciuta in una frazione di Bagnacavallo, Villanova, ma ha vissuto a lungo a Milano e ha lavorato in tutta Europa. Il suo è dunque uno sguardo insieme interno ed esterno, consapevole delle tradizioni e aggiornato sulle tendenze culturali della contemporaneità.
Perché un progetto come questo possa accadere, è necessaria una assoluta libertà, come premessa di autentico dialogo. L’indipendenza è la condizione irrinunciabile perché si possano sviluppare la visione e il respiro necessari. I tempi sono lunghi e i risultati – come in ogni processo davvero partecipato – non possono essere preventivati e garantiti in anticipo. (Non a caso il sostegno pubblico a un progetto inclassificabile e autonomo è spesso scarso e sempre incerto).
Quello che accade però è un piccolo miracolo, nell’uso sapiente dell’arte come occasione di crescita personale e collettiva, per la riflessione su una identità che inevitabilmente muta, come strumento di attivazione del territorio, come occasione di coinvolgimento della cittadinanza, magari aprendo le porte nelle feste popolari o costruendo percorsi (anche multimediali) che attraversano e illuminano il territorio.
Così un piccolo luogo, in apparenza marginale, un’iniziativa in apparenza impossibile, assume un valore esemplare, per la sua autenticità e necessità, ma anche per la sua forte connotazione civile e politica.
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