TourFest 2024 | Un festival che fa domande agli spettatori
Da vicino nessuno è normale a Milano
Nessuno aveva mai osato pensare di chiudere un manicomio prima di Franco Basaglia.
Non c’erano esperienze, né manuali a cui fare riferimento. Basaglia aveva un bagaglio etico, voleva davvero curare le persone, ma non in un luogo di non-cura come un’istituzione totale.
Come fare? A chi chiedere aiuto? Chi meglio delle persone internate poteva aiutarlo?
Nascono così forme di democrazia dal basso come le assemblee che innescano un cambiamento profondo nella relazione tra medico e utente. Il medico impara a sospendere il giudizio, l’utente trova la sua voce.
La relazione non sarà più (mai più) strumento di potere, ma riconoscimento. La cura sta nella relazione tra persona e persona.
Nel centenario dalla nascita di Franco Basaglia, la XXVIII edizione del festival Da vicino nessuno è normale, organizzato dall’Associazione Olinda, ha deciso di dedicargli l’edizione 2024 del festival, nel centenario della nascita, con tre incontri a partire da alcune riflessioni sulla salute mentale di pazienti psichiatrici.
Fin dalla sua prima edizione nel 1997, il festival è attento alla tematica della salute mentale e si svolge nell’ex manicomio Paolo Pini di Milano. In particolare, lo spazio utilizzato da alcuni anni per molti spettacoli è il Teatro La Cucina, situato nell’edificio un tempo utilizzato come mensa per i pazienti e il personale medico. Per arrivarci, bisogna attraversare un magnifico parco, dove si incrociano diverse piccole vie sterrate contornate da lucine appese per indicare il percorso giusto. All’ingresso del parco, puoi trovare anche il ristorante – pizzeria Jodok dove o prima o dopo lo spettacolo puoi conversare e goderti una buona cena.
Ma nel Teatro La Cucina si respira un’aria particolare, sembra quasi di percepire ancora un certo malessere. Sicuramente l’atmosfera è creata anche da alcuni particolari che ricordano il contesto in cui ci troviamo. Appena entrati, superato il controllo biglietti, due manichini vestiti da pazienti psichiatrici provocano un senso di inquietudine e sono fondamentali per non dimenticare gli orrori che questo luogo ha visto in passato.
Da vicino nessuno è normale 2024 si è svolto dal 4 giugno al 4 luglio. Il palinsesto presentava spettacoli, incontri e laboratori, la maggior parte con più repliche.
Maternità è una produzione di Fanny e Alexander, di e con Chiara Lagani. La storia è tratta dal romanzo autobiografico di Sheila Heti e si sviluppa con una serie di domande sul perché la protagonista ha deciso di non mettere al mondo figli. Sheila non pone domande a sé stessa in forma di monologo ma crea un dialogo con il pubblico, attraverso quello che sembra a tutti gli effetti un quiz a scelta multipla. All’ingresso, a ogni spettatore viene consegnato un telecomando con tasti colorati. Ogni colore rappresenta una delle possibili risposte. Appeso al soffitto, c’è un televisore dove appaiono le varie risposte con caselle colorate. Tutto lo spettacolo è portato avanti da ciò che il pubblico vuole che succeda: è un evento a tutti gli effetti interattivo e che ha infinite possibilità di sviluppo.
La protagonista porta in scena una storia di pregiudizi, invidie, influenze e pressioni della società.
Non sembra che questa donna abbia libertà di scelta, una situazione rappresentata al meglio dalla continua votazione e influenza del pubblico nello sviluppo della storia.
In scena pochi oggetti, alcuni non utilizzati perché le scelte del pubblico non portano a farlo. Chiara Lagani indossa una tuta nera, neutra. La scenografia e i costumi non sono centrali per lo spettacolo, il punto focale è il pubblico e la sua decisione.
La storia prosegue con una serie di incontri con amiche che stanno per partorire, discussioni con il partner, veggenti e altri personaggi che la aiutano a capire se stessa e se le decisioni che ha preso sono davvero state sue o se è stata influenzata da chi le stava intorno e dalle circostanze.
Alla fine, una volta uscita di scena l’attrice, segue un piccolo sondaggio su temi caldi legati alla maternità, con le stesse modalità di creazione dello spettacolo.
Sei favorevole all’adozione per coppie omosessuali?
Alla maternità surrogata?
All’adozione?
All’aborto?
Queste sono alcune delle domande rivolte al pubblico in conclusione dello spettacolo. Domande interessanti, perché aiutano a far riflettere, non solo su se stessi ma anche sul pensiero degli altri spettatori presenti, che rappresentano uno spaccato della società.
Segue un breve talk con Chiara Lagani, che abbandona i panni della protagonista Sheila. Espone le sue opinioni sull’argomento e spiega che ogni replica è differente dalla precedente, in base a una serie di fattori: area geografica, madri e padri tra il pubblico, età, vissuti influenzano i risultati e quindi le azioni che si susseguono sul palco. Alla fine del tour farà una piccola ricerca sulle risposte ottenute dal quiz che la porterà a ulteriori riflessioni in merito al pensiero collettivo intorno alla maternità.
Alcune cose da mettere in ordine (produzione di Rubidori Manshaft | Officina Orsi, di Rubidori Manshaft e Angela Dematté, con Roberta Bosetti e Giacomo Toccaceli) parla dello scorrere degli anni e delle emozioni che ne derivano. Inizialmente viene utilizzato il video, con un filmato di qualche minuto dove la protagonista, una donna sulla sessantina, in stato confusionale, prepara una valigia mentre tenta di telefonare a una sua cara amica. Frasi a metà, conversazioni confuse, argomenti e domande ripetute a distanza di pochissimo tempo, discorsi ricominciati da capo. Quello che vediamo dal video anticipa ciò che la storia vuole raccontare: una donna che, mettendo in ordine alcuni oggetti, cerca di riordinare in qualche modo anche la sua vita.
Dopo il filmato, le luci si accendono e appaiono alcuni oggetti: un baule, alcuni libri, fogli e poltrone. Entra la protagonista e un ragazzo, che scopriamo solo successivamente essere parte del personale di una struttura per anziani dove la donna viene presa in cura.
Alcuni momenti di vita della donna vengono raccontati, ma la maggior parte di essi restano sospesi. Quando vengono ripresi successivamente viene aggiunto qualche particolare in più, ma quasi mai completati. Il ragazzo aiuta la donna nelle piccole azioni che compie èer “mettere in ordine alcune cose”, l’azione che viene ripresa nel titolo. Il ragazzo non viene riconosciuto dalla protagonista e viene scambiato più volte con il figlio dell’amica che aveva tentato di chiamare inizialmente.
Nella scena finale, capiamo che questo suo riordinare le cose e metterle nella valigia, un oggetto presente già nel filmato iniziano, servono per il suo ingresso in una struttura di cura per anziani. Il ragazzo le sottopone una serie di domande semplici:
Come ti chiami?
Hai figli?
Chi è il tuo contatto d’emergenza?
Domande solo in apparenza chiare, ma la paziente fatica a rispondere in modo diretto: divaga, ripescando ogni volta nella sua memoria ricordi di vita.
Dopo le due serate, ripercorrendo la strada segnalata dalle lucine e osservando lo spazio intorno a me, un senso di gratitudine mi ha pervasa. Sono grata a chi, come Olinda, tratta argomenti così delicati in maniera accattivante e non convenzionale. Un festival è da sempre associato a divertimento e festa: ma qui, oltre a questo, si affianca il tema come quello della salute mentale. La struttura del festival può avvicinare più persone a questo argomento e viceversa, persone interessate all’argomento possono essere avvicinate alla cultura.
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