Il Ministero della Cultura nella manovra: per il 2025 richiesto un taglio del 14%
La politica culturale del governo Meloni
E’ ormai risaputo che il bilancio dello Stato italiano, gravato da un enorme debito pubblico, non gode di ottima salute. Non a caso attendiamo con ansia il verdetto delle agenzie di rating e le richieste dell’Europa. Con un certo preavviso il ministro dell’Economia e delle Finanze, il leghista Giancarlo Giorgetti, aveva spiegato la necessità di una dura manovra finanziaria, per evitare il fallimento.
A conti fatti (salvo errori della calcolatrice della premier Giorgia Meloni), per il triennio 2025-2027 ci saranno tagli per 3 miliardi alle Regioni, 650 milioni ai Comuni e 70 milioni a Province e Città Metropolitane. Ai Ministeri verrà imposta una spending review sotto forma di taglio lineare da 7,7 miliardi.
In realtà i tagli non saranno così lineare e alcuni settori saranno più penalizzati di altri, almeno a quanto risulta dal testo depositato alla Camera negli scorsi giorni.
Il più colpito in termini relativi è il Ministero della Cultura (…). La manovra gli impone minori spese per 490 milioni nel solo 2050 (-14%), di cui 144 di taglio lineare (oltre 500 milioni nel triennio). La più colpita è la missione “Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici”, che vale il 95% della spesa ministeriale e che nel 2027 risulterà “inferiore del 9,6% rispetto al 2024”, segnala il Servizio studi della Camera. Dentro i tagli c’è di tutto: tutela del patromonio (-100 milioni), delle belle arti (-36), dei beni librari e dell’editoria (-18), dei beni archivistici (-13,5); quasi 3 milioni vengono tolti al Cinema e via discorrendo.
(Carlo Di Foggia, “Il Fatto Quotidiano”, 1° novembre 2024).
Un taglio davvero drastico, che non sembra accordarsi alla centralità della cultura per “la Nazione”, più volte ribadita in questi due anni dalla premier Giorgia Meloni:
La nostra Nazione è la Patria del bello ed è nostro dovere proteggere e valorizzare l’immenso patrimonio di cui siamo eredi. Così come è nostro preciso compito rimettere al centro la cultura, in tutte le sue forme, per proiettare l’Italia in un nuovo Rinascimento. Sono impegni che abbiamo assunto con i cittadini e che il Governo è impegnato a portare avanti.
(Giorgia Meloni, Giornate FAI di Primavera, la dichiarazione del Presidente Meloni, 25 marzo 2023)
Tra i ministeri sforbiciati dalla manovra ci sono anche Università e Ricerca (-700 mmilioni di tagli lineari), Trasporti (un miliardo di minori spese nel 2025, 212 milioni nel 2026 e 404 nel 2027, con 900 milioni solo di tagli lineari) e Ambiente (meno 500 milioni di tagli lineari nel triennio, più altri 127 per il solo 2025). Tagli anche al Ministero della Giustizia, e in particolare all’ammninistrazione penitenziaria.
Meno cultura, meno diritto allo studio, meno piste ciclabili, carceri sempre meno vivibili.
In compenso, gli investimenti nei nuovi sistemi d’arma crescono a 7,5 miliardi nel triennio, per un totale di 35 miliardi al 2039.
In Italia non si è mai parlato tanto di cultura come negli scorsi mesi, anche se per le ragioni sbagliate: da un lato l’esplosioni dei gossip (che sono il sintomo delle divisioni nel centrodestra), dall’altro la proclama aspirazione all’egemonia culturale, che vede nel MiC lo snodo strategico di una nuova politica culturale.
Di tutto questo trambusto restano un Ministero indebolito dalle faide interne e svuotato di risorse. E o tagli a un settore strategico per l’economia e il futuro del paese, oltre che per la sua democrazia.
Finora, per quanto riguarda i tagli alla cultura, abbiamo visto solo il cerotto. Prima o poi vedremo quanto è profonda la ferita. Vedremo se il ministro Alessandro Giuli si limiterà a subire le richieste di Giorgetti, per poi gestire una politica culturale regressiva e punitiva, ed emarginando curatori e artisti “di sinistra”). O se recupererà le risorse per rimarginare un taglio davvero profondo. Più profondo di quello che decorava la spaziosa fronte del suo sfortunato predecessore.