Teatro e ricerca 2024 | Trovare il senso del teatro fuori dal teatro

L'esperienza di Jubilo tra Italia e Polonia

Pubblicato il 19/12/2024 / di / ateatro n. 196 | teatro e ricerca 2024

Cari Raul ed Oliviero,

Diego Pileggi

Diego Pileggi

prima di tutto vi voglio ringraziare per avermi coinvolto in questo scambio di punti di vista e visioni rispetto al tema della ricerca in teatro. Reputo assolutamente necessario per problematizzare il tema, stimolare delle riflessioni che possano aprire prospettive diverse. La vostra sollecitazione permette inoltre di costruire una piattaforma di scambio di idee, l’apertura di un dialogo, seppure in forma scritta che articola ed espone le sfide quotidiane che ci troviamo ad affrontare relazionandoci al nostro lavoro.
Il mio percorso artistico mi ha portato per tredici anni all’estero (precisamente a Wroclaw, in Polonia) dandomi la possibilità di confrontarmi con un sistema teatrale diverso rispetto a quello italiano e di relazionarmi in modo diretto a quell’area di teatro chiamato “di ricerca” incontrando e collaborando con diverse compagnie e registi internazionali (dall’Odin Teatret a Gardzienice, incontrando maestri del calibro di Peter Brook, Terzopoulos, Suzuki).

Demonstration Stories of Tarante and knives Songs dances and rituals from Southern Italy 2014

Dimostrazione di lavoro: Storie di Taranta e di coltelli (Wrloclaw, 2014)

Solamente nel 2015, sviluppando il lavoro con Jubilo, la nostra compagnia, in ambienti considerati “lontani dal teatro” come un campo profughi o con persone con disabilità fisiche e mentali, incontriamo il mondo del carcere. In quel momento con la compagnia stavamo sviluppando uno spettacolo sul tema della migrazione. L’incontro con questa realtà ci ha cambiato profondamente.
Ha cambiato le priorità del nostro lavoro e il nostro punto di vista. Passo dopo passo siamo riusciti a costruire con i partecipanti del progetto una relazione professionale intensa e stabile. Uno dei temi che mi ha convinto più degli altri ad approfondire sempre di più il lavoro con questo gruppo specifico è stato il tema della loro “necessità”, cosa che non trovavo più nel mondo cosiddetto professionale.

Jubilo di fronte al carcere di Świdnica, Polonia (2024)

Jubilo di fronte al carcere di Świdnica, Polonia (2024)

Il perché fare questo lavoro. E parlo di un perché non meramente intellettuale ma ben più profondo, che scorre sotto la pelle ed ogni giorno ci obbliga in qualche modo a continuare a scegliere di combattere per costruire l’incontro con l’altro. Se dovessi isolare una ragione che mi ha convinto a restare in Polonia così tanto in pianta stabile (13 anni, dal 2009 al 2022), è proprio questa. Mi sono sentito obbligato a nobilitare la scelta fatta da questi ragazzi, a sviluppare questo incontro, a fare in modo di approfondire dove questo nucleo di vita e questa scelta comune ci avrebbe portato.

“Non è per fare discorsi che lavoro, ma per allargare l’isola di libertà che porto; il mio obbligo non è
fare dichiarazioni politiche, ma aprire buchi nel muro.”
(Jerzy Grotowski, Tu es le fils de quelqu’un, in Testi 1954-1998 – IV, Casa Usher, 2016)

In questi anni in carcere con il progetto “Unlocking” abbiamo combattuto diverse ingerenze da parte del governo polacco e dell’amministrazione penitenziaria che hanno cercato in diversi modi di limitare oltremodo i diritti acquisiti dei nostri ragazzi; un mettere i bastoni fra le ruote a un’esperienza che ha continuamente cercato di aprire fessure nel muro che divide la comunità carceraria con la società attraverso l’azione del Teatro. Ed è proprio questo riscoperto ruolo del mezzo teatrale che apre il tema connesso alla ricerca. Il tema dell’etica del lavoro.
Siamo ancora nelle condizioni di costruire dei processi artistici che facciano domande? Che si distacchino in modo netto dalla semplice rappresentazione, dall’immagine violenta (nella sua bellezza o tragicità) e ci riportino ad un’indagine personale e in relazione con l’altro? Come possiamo, in tempi di fondi sempre più soggetti a bandi che quantificano invece di qualificare, prenderci cura del processo artistico svincolandoci da logiche meramente produttive?

Un esercizio di Jubilo

Un esercizio di Jubilo

A mio parere il teatro deve in modo più ampio riscoprirsi, ritrovarsi nel suo ruolo originario. Ritornare a essere atto politico, atto di costruzione della comunità e della realtà che ci circonda. Troppo spesso ho incontrato e visto gruppi, colleghi, barricati nel proprio lavoro, proteggere quello che hanno faticosamente conquistato nel tempo, quando sarebbe invece necessario condividere, moltiplicare e contribuire a nutrire il teatro tutto. Sono convinto che si debba necessariamente ricostruire, da una parte, la relazione dell’attore/performer con il proprio mestiere, verso il sé, riaprendo domande, riaprendo orizzonti di studio e approfondimento personali sull’arte dell’attore che troppo spesso vengono abbandonati dopo gli anni di accademia per poi ritrovarsi negli anni a venire a “fare il mestiere”.
Dall’altro lato ritengo necessario ritornare a costruire delle relazioni reali con l’esterno, con la società. Essere elementi di cambiamento reale della coscienza dei nostri concittadini e non meri intrattenitori di un circo che si sta sempre più svuotando del suo ruolo contenutistico e sempre più diventando iconografia raccontata, che sia attraverso un gesto ballato, non danzato o un testo recitato e non agito.
La pedagogia e l’incontro con le nuove generazioni, fin dai più piccoli ma anche gli allievi attori, sono cardine di questo cambiamento. E’ necessario farli andare a teatro, costruire relazione e coinvolgerli in un percorso che abbia l’etica, la qualità e l’onestà al suo centro. Incontro spesso giovani attori che, in dimensioni seminariali sono già professionisti nella dialettica del mestiere ma svuotati di esperienze quando confrontati con la scena. Non credo sia colpa loro. Credo che sia il naturale percorso di un giovane che, approcciandosi per le prime volte al mondo teatrale, risponda alle richieste esterne e ai modi che le condizioni esterne suggeriscono. Sempre più spesso noto che per recuperare un provino, un incontro con un regista, l’ipotesi di una produzione, venga richiesto in primo luogo un circuito di conoscenze, una sorta di lasciapassare connesso a come si sia arrivati a quel colloquio e sempre meno mi pare cruciale l’effettiva qualità dei soggetti all’interno di questa situazione. Per non menzionare l’età media dei registi e dei direttori artistici del sistema teatrale italiano.

Jubilo, Il corpo collettivo, Teatro di Documenti (Roma, 2023)

Un atto di onestà da parte delle generazioni più in avanti con l’età è necessario. Un lasciare spazio al nuovo, un accompagnare nuove proposte e allontanarsi dalle dinamiche familistiche di quell’Italietta figlia di clientelarismi e amicizie. Un ritorno al fatto teatrale in sé, agorà, incontro. Mi piacerebbe vivere in un’Italia dove i teatri fossero aperti, dove vi si possa passare giorni interi a Teatro passando da spettacoli a incontri a prove aperte a occasioni di dialogo. L’agorà delle culture.
Luogo inclusivo che accolga, inviti, apra domande e non suggerisca risposte. Questo credo sia il ruolo del Teatro. E tutti i teatranti, attori, tecnici, registi, critici, curatori, macchinisti, direttori artistici, costumisti credono abbiano la responsabilità di lavorare in tale direzione. Se solo vogliono avere un futuro.
Continuando sempre a porsi domande.
La prima fra tutte, perché faccio teatro?