Oltre l’inverosimile della finzione
Medea’s Children di Milo Rau a Fog Festival
E se i figli di Medea sopravvivessero per raccontare e interpretare la solitudine degli adulti?
Milo Rau si spinge oltre l’inverosimile nella sua ultima trilogia ispirata alla tragedia greca. Dopo Oreste a Mosul e Antigone in Amazzonia, il regista riprende il mito di Euripide dando voce a chi solitamente non ce l’ha: i bambini. Spesso trascurati o resi capri espiatori per compensare una disperazione radicata fin dall’antica Grecia, Milo Rau li pone al centro della scena. Ma a che prezzo?

Milo Rau, Medea’s Children
Come nel precedente Five Easy Pieces (2016), in cui il regista ha messo in scena la storia degli stupri di Marc Dutroux, anche in questo lavoro i protagonisti sono sette bambini tra gli otto e i quattordici anni. Il tutto prende avvio con un finto post-spettacolo, una sorta di prologo leggero e informale, dove i bambini interpretano sé stessi e si svelano, seduti in proscenio, all’unico adulto in scena, Peter Seynaeve, acting coach nella finzione e alter ego di Milo Rau. Fin dall’inizio lo stesso coach si interroga sull’impatto della tragedia sulla psicologia dei giovani interpreti come a voler dimostrare che, per quanto realistico e ambiguo, il loro rimane pur sempre un gioco di finzione. In questo spazio iniziale, i bambini sono liberi di esprimere le proprie opinioni sugli adulti, sulla vita, sulla morte e sulla tragedia stessa. Ma questo momento conviviale, che verrà reiterato alla fine dello spettacolo, pur creando un contrasto straniante di matrice brechtiana, genera una tensione sottile, prefigurando l’orrore imminente.

Milo Rau, Medea’s Children
Il sipario si apre su un grande schermo dove inizialmente appaiono scene ispirate alla tragedia di Euripide, interpretate da attori adulti in costumi volutamente kitsch, quasi da recita scolastica: iconica la scena dell’uccisione del drago, resa con un’estetica volutamente grottesca (mentre nel video è lo stesso Milo Rau travestito da drago).

Milo Rau, Medea’s Children
Poi, i piccoli protagonisti entrano progressivamente nei ruoli di Medea, Giasone, Creonte, Amandine Moreau (nella realtà Geneviève Lhermitte), sua madre e suo marito. Nel frattempo, il coach assume il ruolo di regista, riprendendo dalla scena ciò che accade e proiettando le immagini in diretta sul grande schermo.
L’allestimento scenico è essenziale: una casetta versatile (che evoca al pubblico italiano lo chalet di Cogne), nelle cui stanze si alternano interviste agli attori, momenti di introspezione e scene cruciali, come gli omicidi. Il dispositivo scenico è invece complesso: il grande schermo alterna sequenze pre-registrate e riprese live, giocando sulla distanza/vicinanza, asincronia/simultaneità tra evento e rappresentazione.

Milo Rau, Medea’s Children
Gli omicidi avvengono all’interno della casetta ma sono mostrati in tempo reale sullo schermo, generando un effetto contrastante. Lo sguardo dello spettatore, pur essendo distolto dal luogo dell’azione, viene intrappolato nei dettagli più macabri, senza possibilità di fuga: da una parte il filtro visivo attenua la brutalità dell’atto, rendendolo quasi irreale, dall’altro il grande schermo costringe a osservare un crescendo di violenza che mette duramente alla prova il suo limite di tolleranza e di sopportazione, fino all’ultimo respiro del quinto bambino. Infatti, anche se l’uso dello schermo sembra quasi legittimare l’eccesso di sangue e violenza evocando l’estetica del cinema splatter, la presenza fisica dei personaggi sulla scena ci ricorda che siamo a teatro, immersi nel qui ed ora della rappresentazione. La ripetizione dell’atto omicida diventa un rituale crudele e ipnotico, che costringe a interrogarsi sulla percezione del dolore e della violenza, soprattutto quando inflitta ai più vulnerabili.

Milo Rau, Medea’s Children
La provocazione di Milo Rau raggiunge il parossismo, imponendo al pubblico un ruolo ambiguo tra voyeurismo e responsabilità morale, poiché l’adulto contemporaneo non può che constatare il fallimento del suo ruolo.
La stratificazione drammaturgica alimenta il rapporto tra realtà e finzione, ma questa relazione è ancora più profonda e ambigua poiché si tratta di fatti realmente accaduti. Infatti, il confine tra rappresentazione e verità sembra dissolversi attraverso tre diversi livelli di realtà e nella ripetizione ossessiva dell’atto omicida: per cinque volte assistiamo all’aggressione, al soffocamento e allo sgozzamento, seguiti dal dissanguamento. La reiterazione ossessiva trasforma la tragedia in una sorta di esperimento sociale sul pubblico e sui bambini: fino a che punto possiamo sopportare la rappresentazione della violenza?
In nome dell’inverosimile della finzione, Milo Rau infrange anche il mito greco. Numerose sono le differenze con il testo di Euripide: non c’è traccia in Amandine Moreau della passione di Medea, del suo isolamento come straniera, né del conflitto tra amore materno e sete di vendetta. La volontà di evitare qualsiasi retorica elimina il lato demoniaco e barbarico della Medea/Amandine, escludendo anche il discorso proto-femminista che la critica attribuisce al mito euripideo. Ma sono i bambini stessi a colmare questo vuoto quando, una volta abbandonati i personaggi, tornano a essere sé stessi e si spingono in dichiarazioni non solo sul mito e su Euripide, ma anche sulla società contemporanea. Con lucidità disarmante, pongono domande che gli adulti spesso evitano.
La scelta di mettere i bambini al centro della scena – dentro e fuori la finzione – rafforza il distacco emotivo e al contempo rivendica la loro forza e umanità, in opposizione alla disumanità degli adulti. Se la trama è semplificata, la complessità risiede nella tensione lirica del racconto per immagini, nello sdoppiamento scenico che invita alla riflessione metateatrale e, soprattutto, nella narrazione dell’ossessione artistica di un regista che da quasi vent’anni ci ha abituati alla crudezza della realtà, nella finzione.

Milo Rau, Medea’s Children
Ma questa volta l’interrogativo che ci si pone uscendo dal teatro è collettivo: quale sarà l’impatto di un’esperienza simile sui piccoli interpreti? Se lo spettatore trova sollievo nel distanziamento brechtiano che attenua l’orrore, possono i bambini prendere le distanze dai loro personaggi, siano essi vittime o carnefici? La loro capacità di elaborare quanto vissuto in scena diventa il vero nodo irrisolto dello spettacolo, nonostante un esordio ed una conclusione dal tono decisamente più lieve.
Medea’s Children
con Peter Seynaeve / Lien Wildemeersch, Jade Versluys / Bernice Van Walleghem, Gabriël El Houari / Aiko Benaouisse, Emma Van de Casteele / Helena Van de Casteele, Sanne De Waele / Ella Brennan, Anna Matthys / Juliette Debackere, Vik Neirinck / Elias Maes.
Direction Milo Rau; Dramaturgy Kaatje De Geest; Video design Moritz von Dungern; Light design Dennis Diels; Costume design Jo De Visscher; Stage design ruimtevaarders
Tag: MiloRau (2), tragedia (26)