Le festa per i vent’anni del Teatro dei Venti a Modena
In anteprima la prefazione del volume Utopie nel mezzo. Vent’anni del Teatro dei Venti pensando al futuro
Sabato 5 aprile 2025 a Modena c’è stata una grande festa: si celebravano i vent’anni del Teatro dei Venti, in un Teatro dei Segni rinnovato, con tanto di parquet nuovo e lucine accese.
Nell’occasione è stato presentato il volume Utopie nel mezzo. Vent’anni del Teatro dei Venti pensando al futuro, a cura di Giulia Alonzo, Oliviero Ponte di Pino e Salvatore Sofia, che ne firmano la prefazione.
Se, come dice William Shakespeare nella Tempesta, siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, allora i sogni possono essere fatti della nostra stessa sostanza. Da questa proprietà transitiva ipotetica e fragile nasce il teatro, con la sua capacità di farci sognare mondi diversi, che possiamo immaginare, creare, abitare. Il Teatro dei Venti crea e abita fin dagli esordi questi sogni, che sembrano nascere l’uno dall’altro e intrecciarsi l’uno nell’altro. Laboratori, spettacoli, progetti hanno costruito una geografia insieme immaginaria e reale. Per ripercorrere i vent’anni del Teatro dei Venti abbiamo provato a mappare, in accordo con il gruppo, i diversi luoghi in cui si sono materializzati questi sogni. A volte sono luoghi reali in cui agire: una sala teatrale, il quartiere di una città, un piccolo borgo pressoché disabitato. A volte la mappa è metaforica: la casa, i maestri, il gruppo, il festival. A volte esplora anti-luoghi, ovvero spazi che vengono reinventati per quello che non sono: una discoteca che ospita un laboratorio teatrale, la strada che diventa un palcoscenico, il carcere che diventa paradossale luogo di libertà, boschi che accolgono mitologie millenarie. Spesso illumina le periferie, i margini, che nascondono gli “invisibili”. Seguendo questo percorso, si scopre che i sogni teatrali hanno un potere straordinario: possono trasformare la realtà, reinventare i luoghi, cambiare le persone. È questa la sua forza politica. Soprattutto quando ogni nuova tappa, ogni nuovo sogno, nasce da una sfida e dal bisogno di spostare l’asticella un po’ più in là. Come dice lo striscione che campeggiava sulla facciata del Teatro dei Venti, la regola è “Non abituarsi all’abitudine”. Si tratta di attraversare la realtà di quei luoghi – la realtà dei rapporti sociali e personali, la realtà dei muri e delle porte blindate, la realtà dell’abbandono e della solitudine. Si tratta ogni volta di riconoscerli come “non luoghi” e di rivelare la loro natura più autentica, trasfigurarli in “utopie”, ovvero piccoli ed effimeri frammenti di quel mondo ideale vagheggiato da Tommaso Moro. Ma allo stesso tempo sono parti di un presidio permanente, che agisca una trasformazione. Le sfide scelte dal gruppo intersecano diversi piani: artistico e tecnico, economico, organizzativo, ma anche sociale e dunque politico, provando con il teatro a infrangere tabù e pregiudizi radicati. Forse la sfida più grande è coniugare le pulsioni artistiche e quelle politiche, fare in modo che le une si nutrano delle altre. Producendo inevitabilmente nuove sfide, nuove scommesse che si facciano carico, ogni volta, della possibilità del fallimento, della caduta. In molte occasioni è inevitabile lo scontro, anche in maniera drammatica e imprevedibile, con la realtà nei suoi aspetti più duri. Ci sono le complessità nel rapporto con l’amministrazione pubblica, che nel corso degli anni è sempre più basato sulla comprensione, l’ascolto e il sostegno; e l’affannosa ricerca della sostenibilità economica del progetto complessivo e delle singole iniziative, vedi per esempio le difficoltà nella gestione dell’ostello di Gombola. La gigantesca nevicata di maggio, che fa saltare un intero festival. Le repliche in carcere da annullare all’ultimo minuto per le condizioni instabili dei detenuti. Il vescovo che in Serbia accusa il gruppo di “satanismo” e le conseguenti aggressioni durante gli spettacoli. La terribile strage nel carcere di Modena l’8 marzo 2020, allo scoppio della pandemia. E naturalmente il Covid, con tutte le problematicità che ha comportato.

Moby Dick, Lecce, giugno 2019 (ph. foto di Ilenia Tesoro)
Abbiamo scelto di non raccontare nel dettaglio tutti questi e altri momenti che rappresentano il lato oscuro del viaggio, Quegli episodi, che spesso restano terribili e insopportabilmente dolorosi, hanno nutrito e continueranno a nutrire la continua riflessione sui limiti, sulle ragioni e sulle modalità dell’azione e hanno dettato le scelte del gruppo. Cadere e rialzarsi, insieme… Sono state queste difficoltà i veri maestri del gruppo. Non a caso l’attrezzo che più caratterizza il Teatro dei Venti – da Malaparata a Don Chisciotte – sono i trampoli, con la loro spinta verticale e la continua sfida alle leggi della gravità e dell’equilibrio. Nel ripercorrere questi vent’anni, abbiamo dunque privilegiato la direzione del percorso, con le sue mille svolte. Le indispensabili precisazioni e le discussioni sui crolli e le faticose risalite rischiavano di trasformarsi in trappole, facendoci perdere la prospettiva. Tuttavia il fallimento resta l’ombra che accompagna l’avventura e nutre il racconto. Queste crisi, a volte terribili, sono il cuore poetico e politico del lavoro di Stefano Tè e del suo equipaggio. Non è un caso che nel corso della loro strada abbiano scelto come ambigui protagonisti Ubu, Lancillotto, Pentesilea, il Capitano Achab, Don Chisciotte, che in preda alla loro visione – o alla loro follia – rifiutano di adeguarsi alla dittatura del reale: sognatori spesso terribili, figure tragiche, come alcuni degli eroi incontrati in carcere, Ulisse, Amleto, Antigone… Molti di questi spettacoli sono anche viaggi, metaforici e reali: la Camminata Utopica non è solo un format di spettacolo-evento itinerante, ma diventa la metafora del percorso esistenziale del gruppo. Questi viaggi paralleli e intrecciati, in apparenza dispersivi, hanno un fulcro: più che un luogo fisico – la sede del teatro, il quartiere che lo ospita – è il sogno del viaggio, l’utopia del cambiamento. Quella che abbiamo provato a tracciare in queste pagine è una mappa che il Teatro dei Venti ha costruito, esplorato e vissuto. Per restare fedeli all’etimologia del termine coniato da Tommaso Moro a partire da due parole greche – oủ (‘non’) e tópos (‘luogo’) – questa è dunque una guida a “luogo che non esiste”. A partire dal materiale recuperato dall’archivio del Teatro dei Venti, abbiamo costruito un percorso in cui i testi dialogano costantemente con le immagini: non un album fotografico in ordine cronologico, ma un arcipelago dei temi che compongono la poetica del gruppo. Per aiutare l’esploratore-lettore a orientarsi in questo arcipelago, ogni isola è preceduta da una breve scheda che sintetizza alcuni elementi essenziali, poi approfonditi nelle pagine successive. È possibile passare da un’isola all’altra, senza bisogno di continuità, o esplorarle in sequenza, pagina dopo pagina, per scoprire come nasce e si sviluppa un’utopia. L’intero percorso è stato condiviso e discusso più volte con l’équipe del Teatro dei Venti, replicando il processo condiviso che caratterizza i suoi processi decisionali. Il teatro, si sa, vive solo nella memoria delle sensazioni, delle emozioni, dei pensieri che genera, di quella fusione empatica e comunitaria che si sperimenta non solo nei laboratori e nei festival. Abbiamo provato in queste pagine a restituirne almeno l’eco, cercando di restare fedeli ai sapori e ai profumi, e a volte anche ai semi, che i Venti portano con sé nel loro viaggio.

Polifemo nell’Odissea, Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, luglio 2021.
Il Teatro dei Venti diretto da Stefano Tè è una realtà teatrale, ma non solo: crea spettacoli apprezzati a livello internazionale (Il Draaaago, Pentesilea, Moby Dick, Don Chisciotte), ma è anche attivo nelle carceri, nelle scuole, tra gli anziani, in progetti di rigenerazione territoriale a base culturale, nelle periferia di Modena e nel piccolo borgo appenninico di Gombola. A ispirare e dare senso a queste progettualità, spesso basate sulla partecipazione dei cittadini, soprattutto giovani e anziani, è la spinta utopica che anima la compagnia. Nel ripercorrere questi vent’anni, gli autori esplorano le diverse utopie sperimentate dal Teatro dei Venti: la creazione del gruppo, il lavoro nel quartiere, la scoperta della strada, l’atmosfera del festival, le esperienze nei margini, la reinvenzione di un borgo abbandonato… Utopie nel mezzo. Vent’anni del Teatro dei Venti pensando al futuro è una “camminata utopica”, il racconto di un’esperienza insieme eccezionale ed esemplare, corredato da centinaia di immagini e frammenti visionari, che ci fa scoprire nuove modalità di attivazione culturale e poetica.
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