#coronavirus 10 | Scene e costumi ai tempi del distanziamento sociale

Dove si anticipano anche le nuove tendenze della moda dopo il lockdown

Pubblicato il 29/03/2020 / di / ateatro n. 172

Ragazzi, allora vi mancavo!
Visto il successo del mio ultimo post [–> Lo spettacolo dal vivo al tempo del distanziamento sociale: antichi dispositivi per il tempo nuovo] ho pensato di approfondire alcuni aspetti che avevo potuto esplorare solo in maniera superficiale nel primo articolo, centrato soprattutto sul rapporto tra la scena e la platea.
Il primo obiettivo è la salvaguardia della “distanza sputazzo” per chi è sulla scena attraverso la creazione di scene e costumi per le nuove circostanze. Le soluzioni adottate possono essere utili anche per convegni, tavole rotonde e talk show.
Il secondo è immaginare l’evoluzione della moda nell’era del distanziamento sociale, a partire dalla storia del costume e dello spettacolo.
I due aspetti sono meno lontani di quanto si potrebbe immaginare.

La scatola

Coma fanno gli attori a rispettare la “distanza sputazzo” quando sono in scena?
Un possibile modello lo ha offerto il Living Theatre nell’esercizio del Tableaux Vivants in Mysteries and Smaller Pieces (1964), uno spettacolo che non a caso si concludeva con un omaggio alla Peste di Artaud.

Living Theatre, Mysteries and Smaller Pieces: i Tableaux Vivants (Ginevra, 1967-Tolosa, 1969)

Durante l’intervallo vengono piazzati gli scomparti.
Gli scomparti: quattro scomparti regolari messi fianco a fianco, alti due metri, larghi un metro, profondi venti centimetri, in legno grezzo, disposti di fronte al pubblico.
Buio.
Luci accese. Flash. Due secondi:
Appaiono quattro interpreti, uno in ciascun scomparto. Sono immobili.
Buio. 4 secondi:
Luci accese. Flash. 2 secondi:
I quattro interpreti hanno cambiato posizione.
Buio. 4 secondi:
Luci accese. Flash. 2 secondi:
I quattro interpreti hanno cambiato posizione.
Dopo dodici cambiamenti, buio più prolungato.
Luci accese. Flash. 2 secondi:
Quattro nuovi interpreti.
Buio. 4 secondi:
Luci accese. Flash. 2 secondi:
I quattro interpreti hanno cambiato posizione.
Dopo dodici cambiamenti, buio più prolungato.
Settantadue tableaux vivants. Sei gruppi di quattro interpreti ciascuno.
(Julian Beck e Judith Malina, Il lavoro del Living Theatre (materiali 1952 – 1969), Ubulibri, Milano, 1982, pp. 112-114)

Il dispositivo è stato ripreso e reinventato anche nel Frankenstein (1965), proiettato in una grande struttura verticale.

Living Theatre, Frankenstein

L’impalcatura è costruita in modo tale da dividere lo spazio in quindici sezioni (…).
L’impalcatura a tre piani è formata da:
Quindici tubi verticali d’acciaio, diametro cm. 5, lunghezza m. 6;
diciotto tubi d’acciaio, diametro cm. 5, lunghezza m. 1,80.
Questi tubi orizzontali hanno funzioni di sostegni trasversali. Sei altri corti tubi per assicurare i Pali-Fuoco ecce; e gli aggeggi necessari per serrate tutto insieme.
La pavimentazione dei soppalchi è formata da piattaforme di legno. Ciascuna piattaforma è larga un metro e mezzo e larga tre. (…)
La Struttura è la struttura sociale, ma altresì il complesso di mezzi che produciamo per combatterla.
(ivi, pp.133-134)

Al tempo stesso quella struttura è anche un gigantesco cranio: il secondo atto dello spettacolo è un viaggio dell’io “dentro la testa della creatura”:

Living Theatre, Frankenstein

“Apre l’occhio. Vede la luce.
Funziona.
Sperimenta miracoli e meraviglie.
Conta.
Dorme. Sogna l’oceano.
Prova il dolore del mondo.
Nasce dalla sua bocca.
Si muove attraverso il mondo.
Parla.
Racconta le sue esperienze dl mondo.
Viene braccata. Incontra Fritz. Lo uccide.
La sua mente è distorta.
Viene braccata.
Le funzioni della sua mente si rivoltano l’una contro l’altra e riempiono il mondo di mostri.
Essi mutano. Appaiono come noi stessi.
(ivi, p. 170)

E’ facile ipotizzare che una struttura di questo genere verrà essere adottata per convegni, dibattiti e tavole rotonde, per garantire comparti sanificati ai relatori. La soluzione è adatta per situazioni scarsamente conflittuali. Ma quando il gioco si fa più duro diventano necessarie soluzioni diversamente distanziatrici.

Mariano Rigillo in Ezra in gabbia o Il caso Ezra Pound

La gabbia

Una soluzione ancora più radicale per salvaguardare la salute dei performer è la gabbia.
Una gabbia come quella in cui venne rinchiuso Ezra Pound ha ospitato Mariano Rigillo.
Lo spettacolo ripercorreva la vicenda del poeta, imprigionato alla fine della guerra a causa del suo appoggio a Mussolini.
Un’ulteriore ispirazione può arrivare dal Presepe ideato in California per denunciare la politica sull’immigrazione, con i componenti della Sacra Famiglia isolati oltre robuste grate.

California, Natale 2019

Il costume da Grim Reaper si può acquistare online

Una interessante variazione sul tema della gabbia, che possiamo utilmente adottare nel nostro guardaroba, arriva da un costume di Halloween, quello di Grim Reaper, il Triste Mietitore.
Il travestimento incarna il paradosso di ogni barriera.
La vera libertà è quella di chi sta dentro o quella di chi sta fuori?
E’ più sicuro stare chiusi all’interno o vagare liberi all’esterno?
Il costume-gabbia si può acquistare online, ma ne vedremo certamente interessanti variazioni nelle prossime collezioni primavera estate.

Oltre che nei tribunali, per isolare (e umiliare) i detenuti più pericolosi, la gabbia è stata il cuore della scenografia dell’omonima trasmissione televisiva condotta da Gianluigi Paragone su La7 dal 2013 al 2017.
La gabbia voleva dare voce alle posizioni dei politici sovranisti, che stavano emergendo in quella stagione politica.
Prevedendo (o programmando) scontri dialettici piuttosto vivaci, agli autori del talk show era parso opportuno evitare i possibili scontri fisici isolando i contendenti più polemici e aggressivi.
Di recente, la gag della gabbia è stata riproposta da Luca Barbareschi, direttore artistico del Teatro Eliseo, per lamentare lo scarso sostegno pubblico al suo teatro nel corso di un’ospitata a Non è l’arena.
“Voglio essere arrestato se ho fatto qualcosa di male. (…) Dieci anni fa il Teatro Valle è stato occupato ed è stato distrutto, ci vorranno 4000 giorni per riaprirlo. Dieci anni dopo un volontario, Luca Barbareschi, ha deciso di investire 5,6 milioni per rifare l’Eliseo più altri 7 milioni per comprarlo e investire in un polo di bellezza, cultura e innovazione in una città dolente e devastata come Roma”, ha dietro tra le sbarre.”Se ho fatto qualcosa di male, voglio essere arrestato perché continuo a fare traffico di influenze”.

Luca Barbareschi in gabbia a Non è l’arena (2019)

William Shakespeare, Midsummer’s Night Dream, regia di Peter Brook (1970) ph. Donald Cooper small

Il teatro sospeso

La prigionia dietro una grata è un’esperienza orribile, anche se promette la sicurezza.
E se la soluzione fosse l’opposto? Se aggiungessimo al palcoscenico una terza dimensione?
E’ quello che ha fatto Peter Brook in un memorabile allestimento del Sogno di una notte di mezza estate, che ha anticipato di alcuni decenni tutto il nouveax cirque.
Le altalene, debitamente distanziate, evitano contatti ravvicinati e permettono agli attori-acrobati le più straordinarie evoluzioni.

La storia ovvero il grande ritorno della crinolina

La gabbia, con la sua dialettica tra interno ed esterno, trasparente eppure invalicabile, è l’emblema di tutte le strutture sociali.
L’obiettivo di porre dei limiti al corpo, e di inibire il contatto tra i corpi, può essere declinato con insospettabile creatività e leggerezza, – soprattutto quando si tratta di corpi femminili.
Lo dimostra la lunga storia che va dal XVII al XIX secolo, passando da guardinfante al panier per approdare alla crinolina.

La moda dell’età dello sputazzo troverà certamente ispirazione nella storia. Del resto gli stilisti lo fanno da sempre.
In teatro ha fatto di recente un uso creativo e provocatorio della crinolina la regista Giorgina Pi, quando ha allestito Settimo cielo della drammaturga inglese Caryl Churchill.
Si può essere aggressivamente sexy anche quando si indossa un abito (o una sottogonna) d’epoca.

Caryl Churchill, Settimo cielo, regia di Giorgina Pi, 2018

Ancora più radicale Luca Sabatelli, costumista e scenografo per cinema, teatro e televisione, coinvolto da Francesco Vezzoli nella realizzazione della mostra “TV 70” a Fondazione Prada.
Il costume da “Conduttrice” destinato alla giunonica Ela Weber era una crinolina destrutturata.
Il modello consente di mostrare e valorizzare le forme del corpo, mantenendo la distanza di sicurezza dai bavosi ammiratori.

Luca Sabatelli veste Ela Weber ovvero “La conduttrice” per la mostra “TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai”, Fondazione Prada, 2017

Chi non dispone di uno stilista o costumista personale, può sempre far ricorso agli acquisti online: bastano pochi euro per questa eterea sottoveste.
Se la indossassimo tutti, il suo diametro di 50 centimetri imporrebbe all’intero corpo sociale il rispetto della “distanza sputazzo”.

Anello sottoveste tre cerchi (in vendita online)

Non ci nascondiamo gli inconvenienti pratici di un attrezzo per certi aspetti ingombrante. Anche in questo caso, le nostre bis-tris-bisnonne possono esserci d’aiuto. L’uso della crinolina implicava un calibrato galateo, che consentiva alle signore di assumere una posizione seduta, nonostante l’impalcatura.

Come sedersi con la crinolina

Come sedersi con la crinolina

Alfred Jarry, Ubu Roi

La panza ovvero Re Ubu

Molti maschi disdegneranno un accessorio tipicamente femminile come la crinolina.
Per loro è possibile adottare un piano B.
L’ispirazione arriva da uno dei testi chiave della drammaturgia del Novecento, Ubu Re.
Alfred Jarry aveva dotato il suo eroe di una panza gigantesca, in grado di tenere a debita distanza qualunque interlocutore.
Il ritratto di Ubu ha ispirato una infinità di messinscene, che a volte hanno concretizzato l’intuizione grafica di Jarry con costumi in grado di imporre un adeguato distanziamento sociale.

Alfred , Ubu Roi, regia di Michael Mesckhe, 1965

L’avanguardia ovvero il Bauhaus

Forse qualche esteta si sente infastidito dalla deformazione grottesca dello stupido e crudele antieroe di Jarry.
Preferirà il geometrico razionalismo del Bauhaus.

I costumi di Oskar Schlemmer per il Balletto triadico

Tra i costumi ideati per il suo Balletto Triadico (1922), Oskar Schlemmer ha concepito alcune soluzioni che consentono un opportuno distanziamento sociale.
Alcune ricostruzioni moderne dei costumi di quello spettacolo epocale illustrano diverse alternative per maschietti e femminucce, rilanciando in chiave geometrica l’effetto crinolina. Notevole La Sfera d’Oro, che riduce le possibilità di contagio evitando ogni stretta di mano e una inutile e pericolosa gestualità.

Mummenschanz

Cosa possiamo fare, dopo esserci privati del contatto tra i corpi, della sensazione morbida e avvolgente di un abbraccio, del brivido di una carezza sulla pelle?
L’inventiva dei Mummenschanz ha creato una serie di poetiche alternative alla stretta di mano, alla carezza, allo schiaffo, al bacio, che preservano dal contagio offrendo la sensazione del contatto fisico.

Giuliano Scabia e il cavallo Belengheli sulle pendici dell’Etna

Giuliano Scabia e il cavallo Belengheli

Giuliano Scabia è un eroe e un poeta.
La sua vita s’intreccia con le sue opere, con sapore epico.
Dal repertorio dei miti e delle sue fantasie, ha estratto una cavallo dai poteri straordinari, lo ha battezzato Belengheli.
In groppa al suo destriero, compie imprese straordinarie: per esempio, ha salito le pendici dell’Etna.
Opportunamente addestrato, Belengheli consente di tenere gli interlocutori (e il virus) a distanza di sicurezza, come un magico talismano.

Il distanziamento sociale come opera d’arte: Gilbert & George e Wes Anderson

Al distanziamento sociale dovremo in qualche modo educarci. Per nostra fortuna alcuni artisti hanno anticipato la situazione in cui ci ha sprofondato l’epidemia di COVID-19.
Esemplare la Red Sculpture dove i due artisti britannici Gilbert & George esplorano una possibile prossemica dei rapporti interpersonali debitamente distanziati, in un efficace tutorial.

Gilbert & George, The Red Sculpture, 1975

Anche Wes Anderson nei suoi film regala una serie di utili indicazioni sulla distanza di sicurezza da adittare sia in interni che in esterni.
Quella che appariva una figura retorica per concretizzare la sensazione di isolamento dei suoi personaggi si rivela una geografia di corpi nello spazio che ben si adatta alle circostanze presenti, come ha rilevato Joe Berkovitz sul sito fastcompany.com.

AstroGabbani

Ma forse il vero profeta del distanziamento è stato Francesco Gabbani, nell’ultima edizione del Festival di Sanremo, quando il Coronavirus già serpeggiava indisturbato nella Padania.
Per rendere omaggio a Luca Panormitano, in orbita intorno al nostro pianeta (e dunque al sicuro da ogni contagio…), si è presentato sul palco del Teatro Ariston travestito da astronauta. Almeno lui non ha dovuto procurarsi camice e mascherine chirurgiche al mercato nero: la tuta spaziale basta e avanza.
Sui social network Gabbani ha spiegato il motivo della sua scelta: “Siamo tutti italiani, anche sulla Luna”. Tutti uguali. Tutti a cantare sui balconi e a sventolare il tricolore… Anche se, come vediamo in questi giorni, qualcuno resta sempre più uguale degli altri…

AstroGabbani al Festival di Sanremo 2020 nella serata delle cover canta L’Italiano

 

 

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