Eppur si muove

In margine all'’incontro di Scandicci

Pubblicato il 02/04/2002 / di / ateatro n. 032

Con l’incontro del 2 marzo a Scandicci mi pare che ci sia qualcosa di nuovo sotto il sole. Il dibattito su alcuni nodi essenziali della ricerca teatrale, che si era frammentato o isterilito, si è rimesso in movimento. Mi sembra un’’occasione da non perdere.
Faccio, per quel che mi riguarda, qualche considerazione più generale.
1) La prima è che lo sviluppo della ricerca, della sperimentazione ha dato origine più recentemente a una serie di forme nuove, più ricche e più aperte sul fronte dei vari linguaggi. La fenomenologia dell’’esperienza artistica si sta dispiegando con opportunità nuove, rompendo cristallizzazioni organizzative, classificazioni di generi, modelli professionali di artisti, statuti della rappresentazione e comportamenti del pubblico. Cambiano i luoghi, i tempi e le forme delle convocazioni e i rituali tradizionali diventano stereotipi improduttivi. Sappiamo da tempo che è caduto l’orizzonte delle comunità come insieme articolato e organico di relazioni in un sistema umano. E’’ emerso da tempo un continente differenziato, multipolare, che si sfrangia dentro un universo che si pretende pluralistico ed è invece monistico, chiuso, inevitabilmente direttivo. Il diversificarsi delle culture artistiche è funzione del diversificarsi delle microculture anche in senso antropologico.
2) Il secondo problema da affrontare riguarda questo scambio tra i due livelli, tenendo presente che le istituzioni culturali si sono bloccate perché fondate su meccanismi inerziali che tendono a perpetuare i vecchi apparati come espressione di culture storicamente consolidate, ma che adesso operano in posizione per lo più difensiva, spesso presidiando assetti antropologici che non esistono più o sono minacciati nella loro costituzione. Gli apparati dello spettacolo tendono a garantire la funzionalità di un sistema che necessita invece di una comprensione e di una tolleranza capace di far crescere il nuovo. Ciò che è in crisi nelle istituzioni culturali è la capacità di ascolto e di mediazione, la forza maieutica atta a far crescere domande e risposte nuove. Inoltre si sta determinando da anni un corto circuito fra istituzioni politiche e istituzioni culturali che minaccia l’autonomia della cultura e l’affermarsi di nuove identità. Mi domando cosa bisogna fare per liberare risorse umane, artistiche e finanziarie in grado di assecondare i nuovi processi.
3) Un’’altra constatazione è che questa ondata di esperienze ha la caratteristica di un processo carsico dentro il quale si coglie una diversificazione di pratiche, di grammatiche espressive e di condotte empiriche, che spesso non costituisce una vicenda “statu nascenti” portatrice di una discontinuità forte rispetto agli assetti esistenti, perché in realtà questi assetti nel migliore dei casi trattano il nuovo non come fosse nuovo, ma una variante del vecchio. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un fenomeno classico: la divaricazione tra architettura istituzionale, rete di produzione e di distribuzione ed esperienze emergenti. Il cambiamento rischia così di essere il modo nuovo del vecchio. Sembra un gioco di parole. Ma in realtà la questione di fondo riguarda il senso di questa congiuntura. Essa investe la struttura stessa della rappresentazione, dei suoi agenti e referenti, dei produttori e consumatori, la concezione del loisir che essa sottende. Il rischio, questa volta, è ancora una volta si riproponga un processo di integrazione capace di assorbire e neutralizzare le spinte al cambiamento, facendo prevalere logiche di stabilizzazione quando invece occorre elaborare politiche “de jure condendo”, riplasmando la strategia dell’’intervento pubblico, organizzando un sistema di servizi e dando vita a opportunità mai prima immaginate. Tutto questo non può ancora esser visto e fondato con chiarezza. Occorre che l’emulsione in parte si faccia più ricca e in parte si sedimenti per lasciar intravedere non solo le nuove forme dell’esperienza artistica, ma anche le condizioni reali, le possibilità empiriche, i modi e i luoghi per recepire queste forme e garantirne lo sviluppo. Penso ai nuovi generi che si affermano, interni alla drammaturgia performativa, al sistema delle forme aperte, alle ibridazioni di linguaggi, alle pratiche delle installazioni e così via. In parte siamo a un livello spontaneistico che non consente di immaginare una risposta pubblica capace di raccordo reale con le nuove domande di pubblici settoriali. In questa fase bisogna probabilmente non fare troppi errori: battaglie di retroguardia o fughe in avanti, che sbilancino il processo di crescita di tutto il sistema. Forse sarebbe bene trovare dei saldi punti di riferimento; che agiscano come volani di nuove esperienze, traghettando il nuovo.
Mi spiego meglio: poiché credo che sia in atto una divaricazione rispetto all’eredità, e che il sistema non sia in grado di aderire a una processualità nuova, l’errore da evitare è di riadattare i modelli esistenti. Questo errore può essere compiuto anche da artisti e operatori che assumono come punto di riferimento gli assetti storici dello spettacolo così come si sono dati storicamente: produzione, distribuzione, recite, giornate lavorative, giornate recitative, area pubblica e area provata, profit no profit, scena all’italiana, sbigliettamenti, borderò e così via. In realtà i cambiamenti della comunicazione vanno in ben altre direzioni da quelle previste dai tracciati storici e la contaminazione dei linguaggi è tutt’altro che una sommatoria di generi. I linguaggi si mescolano perché le sensibilità sono cambiate e non si incontrano più nelle forme e nei luoghi abitati dalla convenzione, secondo la classica distinzione dei generi, teatro, musica, danza, video, cinema. A ben guardare siamo di fronte a una cultura polimorfa cui risponde un sistema a canne d’organo che nell’atto di recepire, trasforma, deforma, tradisce le esperienze.
4) Un quarto problema è come rimodellare l’essere delle nuove forme, dei nuovi gesti creativi, delle nuove occasioni di incontro e di relazione tra operatori, artisti e pubblico in termini che garantiscano realmente la crescita del nuovo: altri tempi, altri luoghi per la rappresentazione, altre modalità di convocazione, per invasione di interstizi liberi, per saldatura e circolazione di esperienze, aggregando in ambiti e forme imprevedibili forze non riconducibili alle strutture operative di sempre: gallerie d’arte, teatri, fabbriche dismesse, tanto per dire, pongono in essere intersezioni e contatti tra le arti rispetto a cui bisogna cambiare i modi e i luoghi della organizzazione. L’organizzazione è un linguaggio; è un sistema che disciplina, orienta, promuove la nascita e la crescita di esperienze diverse. Da sistema empirico si fa sistema ideologico di controllo dell’esperienza.
In questo senso la prima cosa da fare è che all’immaginazione creativa si accompagni l’immaginazione attuativa con codici operativi e organizzativi in grado di assecondare questa emersione prima che sia spinta ai margini e neutralizzata.
In questa prospettiva credo vadano pensati appunto gli strumenti per sostenere le diversità e le istanze divergenti della creatività.
5) A di là dei sistemi più o meno spontanei di autoregolazione e di mediazione occorre dunque:
a) riprogettare la rete complessiva delle arti e dello spettacolo a livello empirico e a livello di politiche culturali, tenendo presente che le istituzioni dello spettacolo si sono irrigidite nella difesa dell’esistente, nella tutela delle forme storiche.
b) Ripensare a una strategia di lungo periodo tenendo presente che l’evoluzione complessiva del sistema lascia intravedere una contrazione delle risorse a sostegno delle politiche di welfare. Bene o male lo stato postmoderno non è in grado di accogliere tutte le domande emergenti dal dilatarsi dei nuovi mondi vitali, dai modelli che restituiscono una diversa qualità della vita, dalle pulsioni sotterranee della creatività, dal bisogno di estendere la rete delle comunicazioni umane.
La divaricazione tra welfare e domande soggiacenti con ogni probabilità si accentuerà perché le domande nel mondo della sanità, dell’istruzione, del loisir non possono essere saturate in termini di efficacia e di distribuzione equitativa delle risorse ed esigono nuovi rapporti tra pubblico e privato. Se non un arretramento dello Stato, occorre un recupero di responsabilità attive nell’ambito della società civile.
L’evoluzione dei sistemi politici sembra infatti sospingere le aree in questione verso il mercato, verso nuove forme di volontariato e di semiprofessionismo, dando sostegno alle reti di sussidiarietà e di solidarietà. Io credo che anche lo spettacolo sarà interessato da queste dinamiche, che speriamo colpiscano i centri di spesa fuori controllo.
6) Per concludere di fronte alle politiche restrittive che si delineano occorre agire per la decostruzione dei sistemi che assorbono un carico esorbitante di risorse, agendo per una loro diversa ridistribuzione in grado di soddisfare le nuove culture.
Questa battaglia nei confronti dei grandi apparati dello spettacolo è la prima delle battaglie da fare, mettendo in questione le logiche culturali, economiche e corporative che li alimentano, in un sistema di alleanze dove tout se tient: star system, lottizzazioni, controllo politico, sostegno dei media. In questo orizzonte non astratto si pone il problema della autonomia e della libertà della cultura, intercettando ogni pretesa, venga da destra o da sinistra, di controllare dal di dentro le istituzioni culturali. Ma questo comporta il riesame dei modi attraverso cui si è concretato l’intervento dello Stato. Lo spettacolo cui assistiamo di liquidazione delle identità storiche dei teatri pubblici e dei teatri di ricerca mostra la crisi di un sistema ideologico che si è perpetuato non solo in termini di mediazioni culturali ma purtroppo anche secondo modeste logiche di potere. Le culture emergenti devono darsi, io credo, un progetto politico capace di far valere le istanze di aggregazione e di socializzazione, la necessità di rispondere a categorie artistiche e tensioni comunicative nuove. Per questo occorre attrezzarsi, ricostruire un sistema di elaborazione delle nuove domande, prepararsi a fare sistema, predisporre regole nuove di convivenza, di relazione, forse persino modelli che proteggano dalla dispersività delle risorse umane i nuovi soggetti sociali, singoli o gruppi che siano, per evitare una sconfitta storica.

Sisto_Dalla_Palma




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