Fuori dalle istituzioni, fuori dall’Italia, fuori dai teatri

Il metodo Xing

Pubblicato il 07/11/2004 / di / ateatro n. 076

Non esistono ricette e metodologie quando si profila il vuoto (di interlocuzione e di risorse), Anche gli ultimi fatti (tagli, comunicazioni a posteriori, blanda definizione di criteri qualitativi ecc da parte del Ministero dei Beni e Attività Culturali alle compagnie) mi/ci spingono lontano e lontano da questo sistema Italia in cui dobbiamo vivere. Sarà un dato orma inscritto nella pratica che da più di 15 anni porto avanti con le formazioni a cui ho dato vita assieme ad altri (da Damsterdamned a Link Project a Xing), ma nelle istituzioni non credo e non faccio affidamento. Possono essere sì dei clienti, ma non dei datori di lavoro (non si è mai verificato un caso pregevole nella mia esperienza, probabilmente per mancanza di intelligenze a livello dirigenziale del sistema pubblico culturale) né devono essere foraggiatrici di quelle presenze del sistema forti di soli diritti assistenzialistici.

Insomma non riesco a intravedere nessuna riforma se non la pulizia e il rigore di chi alimenta e realizza il proprio disegno con forze autonome (e non significa senza sostegni finanziari). Qui si sta parlando di progettualità, non di economia. Progettualità non è solo curatela e buono o cattivo gusto ma invenzione di strumenti adatti al proprio oggetto. Costruzione di questi, verifica, riarticolazione ecc.

Uno dei più importanti documenti che ho incrociato quest’anno è il testo di Romeo Castellucci pubblicato nel catalogo del festival di Santarcangelo (vi chiederei di metterlo a disposizione, Romeo permettendo) che ribadisce la forza delle energie progettuali che si autodeterminano. Isole di pluralità, e non circuiti come spesso si parla nel documento di introduzione a questo incontro (anche se si lascia spazio a un’idea di circuitazione underground, di alterità/marginalità, che invece in Italia non esiste: mi riferisco alla demagogia del centro sociale, oggi: 2004).

Per lavorare sulla contemporaneità ci sono altri luoghi (dalla sala teatrale, dalla scuola per l’attore) altri formati (dallo spettacolo, in una scatola teatrale, su un palcoscenico), altre relazioni (con lo spettatore o visitatore, al di là della mistificazione del vero/finto), altri tempi nei rapporti di esposizione della propria ricerca (dalla ‘messa in scena’), altre durate (dai circa 60 minuti, seduti in poltrona), altri contesti (dal festival di ‘teatro’ o di ‘danza’ o dalla stagione teatrale), altri interlocutori (dal pubblico teatrale, in favore di un pubblico trasversale e non di settore), altri luoghi di espressione (dalla rivista di settore).

Purtroppo per realizzare tutto questo, con agio, siamo costretti a uscire dall’Italia. A trovare interlocutori in altri paesi (ci sono comunità internazionali, la cui base è una vicinanza di linguaggi e interessi, ma anche in questi casi di sintonia, sul versante economico è pressochè impossibile coprire disparità finanziarie tra organizzazioni, nel caso si voglia far partire partnership produttive).

Riprendendo il discorso di una nuova configurazione per praticare i linguaggi della contemporaneità, non condivido la linea di insistere per stare in delle griglie di lettura dell’esistente come ad esempio quelle ministeriali o nei disegni di circuitazioni da rivendicare (i teatri di innovazione che ‘devono’ aprire le porte alla nuova generazione teatrale, procurando poi delusioni perché ci si trova di fronte a un pubblico … del teatro e non della contemporaneità).
Parlo alle compagnie nostre compagne di percorso anche. Si è persa quella qualità rifondativa, che forse avevano dieci, otto anni fa? Penso che si debba mantenere, per essere soggetti attivi nel panorama culturale italiano, la forza di creare nuovi contesti. Anche temporanei. Progetti unici da valorizzare e su cui costruire complicità progettuale e supporti economici, con chi più è vicino (istituzioni locali, soggetti privati più flessibili, organismi esteri come gli istituti di cultura, ecc).

Una base progettuale variabile e modulabile, per dare uno spaccato mobile dell’evoluzione della produzione culturale, in uno scenario internazionale.
Costruzione di budget e ricerca di fondi su singole proposte. Modulazione progettuale che purtroppo so già essere incomunicabile a chi gestisce le borse della cultura in Italia. Ma se l’alternativa è rientrare nelle dinamiche di compagnia di giro ottocenteca, personalmente e professionalmente prendo le distanze… Prendo l’aereo e non torno più….

Ultima parola in questo intervento meterologico: il Teatro come ci viene presentato è oggetto morto, passato. Son convinta esista un’altra forma per esprimerlo, sicuramente FUORI.

5 nov 04

Silvia_Fanti

2004-11-07T00:00:00




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