Il fotoromanzo del Risorgimento del teatro (secondo atto)

La settima edizione delle Buone Pratiche a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

Pubblicato il 28/03/2011 / di / ateatro n. #BP2011 , 132

Se vuoi leggere (o rileggere) la prima parte, clicca qui

Da Torino all’Europa: parliamo di Festival
coordinano Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino

Sergio Ariotti (Festival delle Colline Torinesi)
La crisi non giustifica i tagli, esordisce Ariotti. Dal punto di vita del bilancio della Stato, il risparmio è irrilevante: i tagli sembrano più frutto di una volontà politica di punire la cultura. Del resto non è vero che tutti i paesi europei stiano tagliando l’investimento in cultura:

· la Germania per la quinta volta consecutiva aumenta la spesa pubblica per la cultura a livello nazionale, anche se le spese dei Länder sono diminuite del 2,8%;
· in Francia, nel 2010, il bilancio dedicato alla cultura e stato aumentato del 2,18%;
· in Inghilterra, dove si vive una pesantissima crisi, abbiamo visto che i tagli sono sostanziali;
· in Spagna la cultura è stata tagliata del 3%.

Per quanto riguarda Torino, la città ha guadagnato in immagine: adesso la gente ci viene viene apposta per visitare il Museo del Cinema, o per Luci d’Artista… Anche per questo, in tempi di crisi bisognerebbe incrementare i fondi alla cultura. Noi però abbiamo Tremonti che dice “Con la cultura non si mangia”. E così mette in crisi i risultati di quindici-vent’anni di politiche culturali a Torino. D’altra parte, visti i pochi voti che raccolgono gli assessori che si occupano di cultura, significa che il settore è davvero poco considerato da politici ed elettori.
Passando alla funzione specifica dei festival, Ariotti spiega che hanno il ruolo di sprovincializzare e di promuovere collaborazioni internazionali. I teatri stabili lo fanno meno. Adesso il Festival delle Colline è in difficoltà.
Noi operatori, conclude Ariotti, abbiamo grandi responsabilità nei confronti delle nuove generazioni e dobbiamo avere il coraggio di affrontare sfide nuove, soprattutto nel nostro rapporto con la politica.

Alessandra Belledi e Lisa Gilardino (Tre per uno: la rete dei festival di Parma)
Il Festival di Parma nasce dopo un anno di dialogo da tre realtà: Teatro Due, Teatro delle Briciole e Lenz Rifrazioni. E’ una fucina di teatro, laboratori, eventi per ogni tipo di pubblico.
Abbiamo anche identificato un luogo comune nel TCafè di Piazza del Duomo, dove avvengono presentazioni, incontri con gli artisti, dialoghi.
Stiamo studiando nuove forme di abbonamento nell’ottica di un maggiore dialogo con il pubblico.
In sé non si tratta di un progetto nuovo, piuttosto di buonsenso. L’iniziativa valorizza i festival storici del territorio di Parma, in un momento storico in cui c’è l’ossessione della ricerca del nuovo. L’obiettivo è cercare di educare il pubblico: ma sappiamo che questo richiede sforzo e tempo.
Il festival si svolge nel mese di novembre, che diventa il mese del teatro, per farlo scoprire al pubblico. Vuole essere un impulso all’informazione e un invito al pubblico a seguire la nuova stagione.
Siamo consapevoli della fine di un’epoca ma, concludono Belledi e Gilardino con uno slogan assai efficace, non distruggiamo la nostra esperienza.

Gigi Cristoforetti (Torinodanza)
Sento forte, dichiara Cristoforetti, in questa sede la necessità di proposte concrete.
I festival sono lo specchio della società, connessi quindi ai suoi problemi. Ritengo debba esserci chiarezza nel definire la nostra identità per essere percepiti: una identità anche di gusto, che non deve nascere da scelte facili o calate dall’alto.
Dobbiamo trovare il dialogo con la società, che si sta trasformando.
Il Festival Torino Danza cerca di rivolgersi a tanti settori di pubblico. Importante è avere un tema intorno a cui articolare la produzione. E’ importante anche il racconto: spesso quando torniamo a vedere un artista, ci chiediamo: “Che cosa avrà di nuovo da raccontare?”.
Torinodanza, nato e organizzato per focus (classico, performativo, di ricerca…), nel 2010 aveva come idea di base “Il gesto del disagio”, ben rappresento dal lavoro di Alain Platel, e carica di speranza. Nel 2011 Torino Danza si incentrerà su aspetti visionari, cercando di dare spessore a un presente che pare non avere visioni.
Cristoforeti conclude: “Ma dobbiamo fare ancora molto per migliorare le relazioni, per creare e condividere istanze collettive.”

Silvia Bottiroli (Festival di Santarcangelo)
Il Festival di Santarcangelo, ricorda Silvia Bottiroli, è stato fondato nel 1971. Dal 2009 è nato un progetto triennale affidato a tre artisti, Chiara Guidi (Socìetas Raffaello Sanzio), Enrico Casagrande (Motus) ed Ermanna Montanari (Teatro delle Albe); e a tre critici osservatori: Silvia Bottiroli, Rodolfo Sacchettini e Cristina Ventrucci. L’idea è quella di coralità, di collettivo di lavoro con un orizzonte comune.
Artisti e critici sono tra loro felicemente inconciliabili. I critici si assumono responsabilità, si sporcano le mani, e si costruisce insieme.
Vogliamo che il nodo non sia teorizzato, ma vissuto nella pratica: è un’avventura!
Partendo dal presupposto che l’artista è dismisura, stiamo cercando di unire due potenze: quella visionaria e quella riflessiva.
Non è una situazione facile. ll budget è di 400.000 euro di budget all’anno, ma va tenuto presente che a Santarcangelo non esiste di fatto un vero teatro.
Il punto di criticità è la collettività: non c’è un direttore. Questo crea ovviamente discussione su tutto. Vogliamo che le responsabilità siano condivise. Lavorare con poca gerarchia è difficile, ma davvero molto fertile.
L’orizzonte di questo trienno? La ricerca di un rapporto forte con la città, con la comunità, permettendo l’incontro con gli stranieri (in questo caso gli artisti), creando l’emozione dell’incontro tra loro e il pubblico.
Il festival vuole essere un’idea forte di democrazia nata da sei persone.
Ora il triennio sta per finire. In futuro, cercheremo di portare avanti questa idea mirando a migliorare l’apertura e i rapporti con altre realtà.

Beppe Navello (Fondazione Teatro Piemonte Europa)
Navello parte da una consapevolezza: la situazione sta cambiando in peggio. E chiede agli assessori: Torino e il Piemonte devono continuare nella loro trasformazione?
Le ultime politiche hanno creato grosse ferite e le risposte per ora sono inadeguate. Le realtà culturali continuano a collaborare tra loro ma questo non è sufficiente.
In rimo luogo, è un problema di obiettivi. Le politiche della cultura dovrebbero essere condivise da tutte le forze politiche, come accade in Francia o Germania.

Andrea Nanni (Armunia)
In autunno ha ricevuto il passaggio di testimone in Armunia da Massimo Paganelli.
Armunia, spiega Nanni, è un’associazione fra diversi comuni. Nel corso di questo passaggio istituzionale, c’è la volontà di aprire ai privati, per rilanciare l’associazione. Armunia è inoltre legata al sistema delle residenze in tutto il territorio italiano. Gestisce attività tutto l’anno, fra cui il festival In Equilibrio, d’estate, di solito a inizio luglio, che è il momento di maggiore visibilità, ma c’è l’appuntamento dedicato alla poesia a giugno, da quattro anni. Inoltre è un punto di riferimento per le realtà associative locali e riveste un ruolo di mediazione culturale sul territorio con vocazione nazionale e internazionale. Stamani, prosegue Nanni, si parlava della frattura fra il mondo della cultura e il resto del paese. Ne individua alcune cause:

1. una strategia politico-mediatica efficace nel rendere il paese ignorante e manovrabile;
2. la responsabilità del mondo dello spettacolo, di artisti e organizzatori, che non sono riusciti ad avvicinarsi al pubblico. Ciò non significa abbassare il livello, fare para-tv, ma al contrario alzarlo, fare attività che parlino a più livelli e non si limitino a un pubblico di addetti ai lavori, ma capace di entrare in rapporto col territorio.

Per questo con In Equilibrio, sempre orientato alla nuova scena, Nanni cercherà di fare non solo spettacoli nel Castello Pasquini, all’interno di una struttura, come finora, ma di sfruttare anche il parco intorno al castello con attività rivolte a bimbi e genitori. Cercherà anche di entrare nel disco urbano con spettacoli in strada, negozi, case, progetti che coinvolgano anziani, bambini eccetera.
Per rispondere alla domanda sulla funzione dei festival, la divide in due parti, quella che era in passato e quella che è oggi. Il festival era e dovrebbe ancora essere l’eccezionalità della festività. Di fatto, vista la mancanza di comunicazione fra i compartimenti che compongono il sistema teatrale italiano, i festival hanno svolto una funzione di supplenza, dando sostegno ai giovani artisti senza che poi trovassero sbocco negli stabili – salvo eccezioni, ma si sa che le eccezioni sono la conferma della regola. I festival necessitano di novità: tuttavia, se i giovani non trovano sbocco nel sistema, i festival diventano un incentivo a proporre novità senza feedback: insomma, si tratta di un meccanismo rischioso.
Il mercato è il mondo degli scambi: quando si parla di marketing, si parla di scambio e di comunicazione. Internet è una forma di intrattenimento più forte della televisione, ma quest’ultima è l’unica che viene accusata di sottrarre attenzione al teatro. Il mondo dei social media, con l’avvento di internet, ha creato quello dei consumers. La vita è cambiata rispetto a dieci anni fa, e dunque è riduttivo parlare solo di marketing come se avessimo di fronte un sistema monolitico.
Nani conclude il suo intervento con due annotazioni. Primo: la crisi, che non è sempre negativa, ci impone di cambiare i paradigmi e trovare nuove soluzioni. In secondo luogo, i social media non sono così economici come si è detto. La Regione Toscana per esempio spende 12.000 euro per promuovere la parola “Toscana” su Google.

Natalia Casorati (Mosaico), Due networkper la giovane danza d’autore
Il direttore artistico del festival Interplay spiega che la manifestazione che dirige è rivolta a giovani danzatori, che è da sempre un festival di nicchia, per artisti emergenti, sempre molto selettivo, a livello sia nazionale sia internazionale.
Non è facile riempire un teatro con la danza giovane: certe scelte artistiche hanno premiato il festival, che ha iniziato portando la danza fuori dai teatri, strade, negozi, gallerie d’arte – location non convenzionali, contaminazioni di danza urbana: è una sezione forte per avvicinare nuovo pubblico. Non per forza è necessario il palco, che richiede anche tutta un’altra struttura.
Interplay è il frutto di tre network, sono vere vetrine per la danza giovane in Francia. Così Mosaico ha potuto sostenere giovani realtà in condivisione.
La principale vetrina è a settembre, e offre ai giovani un’opportunità conoscere (e farsi conoscere da) organizzatori e addetti ai lavori.

Mimma Gallina coglie l’occasione per ricordare che la danza è la Cenerentola dei finanziamenti, ma anche un settore che esprime forse la creatività più vivace.

Velia Papa (Inteatro)
All’estero l’anzianità e l’esperienza sono considerati un fattore negativo, perché generano immobilità: ci si chiede perché alcune persone siano ancora allo stesso posto dopo tanti anni. In Italia l’immobilità è causata da una necessità di sopravvivenza.
Il festival è un luogo di confronto e di incontro, dove far dialogare le persone, pubblico e artisti. Armunia non è più un festival, nemmeno Santarcangelo, perché hanno raggiunto una dimensione temporale e produttiva diversa. Non hanno più bisogno della forma del festival, che si esaurisce in un breve arco di tempo, ma sono diventati luoghi di produzione e di creatività permanente, dove si sostengono gli artisti al fine di escogitare nuove soluzioni per il teatro. Sono la sede ideale per un lavoro di ricerca, poiché sono opportunamente attrezzati.
A breve, annuncia Vela Papa, a Inteatro partirà un uovo progetto, Legàmi, che vedrà la collaborazione e l’incontro di artisti da tutto il mondo, che produrranno alcuni lavori da poter mostrare in sede di festival. L’obiettivo è quello di aiutare la ricerca.
Il perfezionamento professionale ha senso se sfocia in un progetto e non se è fine a sé stesso. Per questo è necessario un luogo dove è possibile sperimentare, grazie a uno spazio adeguato e al confronto con il pubblico.
Un nodo critico, specifica Velia Papa, è la difficoltà di “fare rete” in Italia. Certo, si sono fatti alcuni tentativi con i festival, oppure cercando l’appoggio di enti stranieri. Ma in generale siamo così presi dalla necessità di andare avanti, dalla fatica di sopravvivere, che la rete diventa un lusso. La creazione di una rete è possibile solo tra gruppi che non hanno la preoccupazione immediata della sopravvivenza, e quindi possono pensare di andare oltre: in altri paesi ci si accorpa anche tra settori diversi, proprio per andare avanti. In Italia mancano invece gli strumenti per approfondire il ruolo del teatro all’interno delle cosiddette “industrie creative”, per inserirlo in progetti culturali e politici.

Da sinistra, Laura Mariani e Mimma Gallina (foto © Marco Sasia).

Ouverture
Laura Mariani Un Risorgimento teatrale

Il periodo storico che ha preceduto l’unificazione ha visto la partecipazione di attori detti appunto “risorgimentali“: Gustavo Modena e Giacinta Pezzana erano mazziniani, ma anche Ernesto Rossi e Tommaso Salvini erano in prima linea nel 1848.
Anche nel primo Ottocento emergono alcuni momenti di crisi del teatro, ma Laura Mariani sceglie di soffermarsi sulla seconda metà del secolo, individuando alcuni nodi problematici:

1. Il tema della patria, la creazione di un teatro della nazione. Gustavo Modena è considerato il padre degli attori combattenti, impegnato non per un teatro alternativo, ma nazionale.
2. Nazione non come culla, ma come rete. Francia e Inghilterra erano da tempo stati unitari, a differenza dell’Italia non era ancora uno stato unito: quindi il nomadismo degli attori italiani non riguardava solo il nostro paese, ma tutto il mondo.
3. Modena veniva soprannominato il “mattaccio”. Egli era animato dall’utopia e dall’idea di un teatro fortemente politicizzato: lo dimostra il fatto che era disponibile non a fare teatro, ma a fare il suo teatro. Adelaide Ristori era invece l’attrice “marchesana”, portavoce di Cavour in Francia e Russia. Questi due attori combattono con presupposti diversi per un teatro comune, nazionale, rivolto al grande pubblico e rappresentano un unico modello.
4. L’ultimo problema è quello della cittadinanza: non si trattava più di sudditi, ma di cittadini. Il nodo è dunque quello della autonomia, della rappresentanza politica, e della battaglia per la cittadinanza femminile, ottenuta molto più tardi. La Ristori in quegli anni ebbe un ruolo importante grazie alla sua individualità e alle proprietà che gestiva autonomamente. La Ristori – madre, attrice, cittadina – combatte la cattiva fama della donna attrice. In quegli anni si pone il problema della rappresentazione delle donne fuori dagli stereotipi: bisogna rappresentare il femminile come soggetto vero.

Il migliore dei bandi possibili
a cura di Giovanna Marinelli

Giovanna Marinelli illustra brevemente l’importanza dei bandi, in particolare per la pubblica amministrazione, e la necessità di individuare metodi e criteri per renderli efficaci, trasparenti e coerenti rispetto agli scopi. E’ proprio partecipando assieme alla giuria di un bando che alla stessa Marinelli e a Mimma Gallina è venuta l’idea di approfondire il tema nel quadro di Buone Pratiche e di realizzare una ricerca preparatoria.
L’analisi del contesto, gli scopi, i termini organizzativi ed economici, i tempi, la formazione dei funzionari incaricati a formulare i bandi e scegliere: sono tutti aspetti analizzati nell’intervento pubblicato sul sito e affrontati dalla ricerca, affidata ad Alessandra Narcisi e Sabrina Gilio, due allieve della Scuola Paolo Grassi di Milano, residenti a Roma.
Si è inoltre pensato di raccogliere due testimonianze critiche da parte di compagnie giovani: sulla funzione che hanno eventualmente avuto per la loro crescita e il rapporto con i bandi.

Alessandra Narcisi e Sabrina Gilio I bandi per il teatro: una ricerca per le Buone Pratiche
La ricerca sulla situazione dei bandi in Italia si è svolta esclusivamente sul web, a partire da siti istituzionali degli assessorati alla cultura delle varie regioni (non esiste un sito unico che raccolga tutti i bandi affini) e da siti di enti privati, e si è in pate scontrata con il problema della trasparenza. Dal 2008 al 2010 sono stati presi in considerazione oltre 300 bandi e, tra questi,160 sono stati analizzati nello specifico.
Pochissimi sono i siti di riferimento, poche le fasce di consultazione ed inoltre manca un’area suddivisa per catalogazione dei diversi bandi. Tutto ciò ha reso la ricerca difficoltosa.
Le due ricercatrici hanno raccolto i dati e li hanno inseriti in un foglio Excel. Dai risultati si evince una prevalenza numerica di bandi nel nord del paese. La regione con il maggior numero di bandi è l il Lazio, a seguire la Lombardia, ma si fa notare che i bandi sono di indirizzo privato. Infine è da considerare rilevante la domanda crescente di finanziamenti da parte delle regioni Puglia e Sardegna.
Per quanto riguarda i finanziamenti, “almeno 50%” di autofinanziamento è la formula preferita dalla maggior parte dei comuni, che tentano di accontentare così tutte le realtà. In genere vengono assegnati circa 30.000 euro; nella sostanza si tratta di contributi contenuti e assegnati “a pioggia”.
Gli obiettivi generali sono quelli di incentivare l’aggregazione tra progetti e associazioni diverse, ma le finalità spesso non risultano chiare. I criteri di valutazione avvengono in base a un punteggio, che non di rado è in contraddizione con gli obiettivi generali del bando (esempio: si dice di voler sostenere i giovani, poi il puneggio reativo a questo punto è basso).
Dai bandi analizzati, si potrebbe partire dalle carenze per ipotizzare “il migliore dei bandi possibili”.
I criteri sono:

· l’individuazione dei fabbisogni secondo un’analisi del territorio (la Basilicata non ha lo stesso fabbisogno della Lombardia, per esempio);
· la valutazione dell’impatto del progetto nel territorio a breve e a lungo termine: ogni provincia incanala i fondi in cassetti diversi. Un intervento mirato andrebbe chiarito e differenziato per regione.
· vi è una mancanza di monitoraggio degli interventi realizzati. Manca lo scambio di informazione, nei progetti realizzati, tra finanziamenti e risultati ottenuti.

Matteo Pessione (Fondazione CRT) Le fondazioni bancarie e i bandi: l’esperienza della Fondazione CRT
Il migliore bando possibile è quello in evoluzione, secondo i bisogni del territorio e che sostiene attività che supportino il territorio. E’ necessario cercare di attrarre nuove risorse dall’Europa, anche se la situazione in questo caso è molto diversa perché i paletti sono più stretti. Si cerca allora di finanziare realtà che abbiamo davvero la possibilità di svilupparsi a livello europeo. CRT tenta di affiancare i bandi ad una serie di attività di supporto. Per esempio il bando Sipario di CRT si pone i seguenti obiettivi:
· cerca di sostenere le compagnie giovani, per questo dà subito finanziamenti sopra gli 11.000 euro, invece che con fondi a consuntivo;
· cerca di capire la capacità di crescita, cioè ciò che succede dopo il finanziamento;
· cerca di valutare la capacità di comunicazione attraverso mezzi innovativi che abbattano le spese come per esempio i social network;
· offre supporto alla comunicazione (mancano figure manageriali);
· nei prossimi mesi si procederà alla creazione di una Onlus che si occuperà di agevolazione fiscale del territorio.
· Capacità di crescere. Dall’anno scorso alcune persone lavorano per effettuare delle valutazioni sul luogo. I social media sono strumenti utili.

Note e Sipari.

Sapere Donare.

per il sostegno alla progettazione europea, particolarmnete orientata al sociale .

Paolo De Santis (Tecnologia Filosofica) e Marco Maria Linzi (Teatro della Contraddizione) I bandi, pro e contro

Paolo De Santis (Tecnologia Filosofica)
Il bando è uno strumento che esste. E’ migliorabile o no, ma non si toglie. Tecnologia Filosofica è una compagnia complessa e sfaccettata, che guarda ai bandi come a un’opportunità. Per la compagnia il bando è un termometro per misurare la propria creatività e anche l’urgenza delle necessità (economiche). Può essere un aiuto per aprirsi all’esterno e verificare la propria credibilità. Ha una funzione maieutica.
Per molti anni la compagnia è sopravvissuta per vie trasversali, senza usufruire dei bandi. Buon elemento è il confronto con l’estero.

Marco Maria Linzi (Teatro della Contraddizione) Bandi? No grazie
Teatro della Contraddizione vorrebbe essere un’associazione anarchica. Anche per questo trende a tenere le distanze dai bandi: il rischio è quello di cambiare la propria arte per adattarla alle clausole del bando e quindi limitare l’immaginazione. I bandi si assomigliano troppo, a volte marginalizzano i bisogni primari, oppure reinventano la storia.
L’alternativa è faticosa: bisogna partire e spesso arrivare senza fondi. Questo è possibile attraverso la fratellanza tra progetti, e protagonisti.
Bisognerebbe azzerare tutti i finanziamenti (è una provocazione ovviamente, se arrivano li usano) perché spingono il teatro verso una direzione aziendale. Milano è un cimitero di iniziative nate e poi cancellate, andrebbe data la possibilità al pubblico di esprimersi.

In conclusione Giovanna Marinelli sottolinea la necessità che la politica e la pubblica amministrazione prendano posizioni precise e approfondiscano lo strumento dei bandi. E’ importante che i bandi siano garantisti per le espressioni artistiche, non per chi li emette (come rischia di avvenire) e che gestirli ci siano funzionari preparati. E’ importante il prima, cioè tutto ciò che si deve fare perché il bando sia efficiente e reale. Quindi l’individuazione del dove.quando e perché.
Ma la correttezza e l’efficiacia del bando si misurano dopo: nella valutazione del percorso e dei risultati, importantI quanto la trasparenza del bando.

Intermezzo. Il burlesque come Buona Pratica dell’autofinanziamento? starring Federica Fracassi

Federica Fracassi alias Ginger Noisy: se questa non è una buona pratica… E su BP Channel l’arrapantissimo video!!! (foto © Rosy Battaglia)

Per sostenere il Teatro i, Federica Fracassi aveva pensato e realizzato diverse iniziative:
· “Adotta uno spettacolo”: lo spettatore può adottare lo spettacolo (o un attore) per 150 euro: purtroppo nessuno ha pagato;
· “Dai un peso alla cultura”: lo spettatore può sostenere lo spettacolo con un’offerta, a seconda delle proprie possibilità;

Fracassi parte dalla definizione di ciò che non è: “Non sono una ragazza tra i quindici e i vent’anni, non sono una gatta morta, non sono fidanzata con uno potente, non sono un’attrice mediocre, sono un’attrice brava, e quindi con pochi soldi! Allora ho pensato a Monica Vitti in Polvere di Stelle, oppure al burlesque, visto anche il mio fisico burroso, e l’ho studiato, per offrire qualcosa in cambio al pubblico. Ha funzionato, anche se il pubblico del Teatro i non è ricco… Se vi sono piaciuta, pagate!!!”.
Anche il burlesque per una sera ha avuto successo, e con ironia afferma che è un genere con una sua drammaturgia.
Riproporre questi appuntamenti ha un costo, ma un attore spera di poter fare il suo lavoro.

Le Buone Pratiche della crisi
Costi di produzione in crescita, finanziamenti tagliati, investitori latitanti, critica marginalizzata, pubblico disorientato: come reagire?

coordinano Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino, commenta Giulio Stumpo

Oliviero Ponte di Pino: il teatro ha in sé un valore che tutte le altre forme mediatiche non hanno, quello della liveness. Anche il prezzo è un fattore chiave, soprattutto in un’epoca in cui, grazie o per colpa del web, pare dominare l’ideologia dei contenuti gratis. La salvezza del teatro è che accade dal vivo e non ha alle spalle solo un mondo virtuale.

(foto © Marco Sasia)

Marco Geronimi Stoll Introduzione: lo smarketing applicato al teatro
Con il termine “smarketing”, Marco Geronimi Stoll non intende tanto il contrario del marketing, piuttosto una integrazione, ma anche un modo per “difendersi” dal marketing.
Il vero problema sono le competenze (purtroppo drammaticamente scarse) extra-teatrali delle compagnie. Se si chiedono locandine, siti, una foto o un comunicato stampa, mancano competenze – si vede! È micidiale per la comunicazione del teatro. La soluzione non è farsi pubblicità col marketing commerciale. Tutti i prodotti ormai sono associati a un immaginario. Il primo problema è che il teatro deve competere con la tv per conquistare pubblico. Bisogna riuscire a far uscire la gente di casa. Quello che vedono sul divano non è la tv, è marketing.
Il primo sforzo da fare è far alzare lo spettatore dal divano, ovvero convincerlo a spegnere la televisione. Il teatro può offrire qualcosa che non passa dai media digitali. Abbiamo bisogno di vedere persone in carne e ossa. In Italia si trovano scrittori, poeti che girano a leggere le proprie cose, scienziati che vanno a fare conferenze: scelte sempre più teatrali. Fanno, ahimè, molti errori, ma si tratta di nuovi alfabeti, e rispetto ai nuovi alfabeti siamo tutti analfabeti. Abbiamo bisogno di altre forme di provocazione, di istituire la filiera corta fra noi e un pubblico che ha bisogno di cibo per l’anima.

Daniele Biacchessi Un business model per il teatro civile
Bianchessi intrattiene un rapporto irregolare con il teatro. Si definisce un “giornalista della memoria” e dell’identità italiana. Ha letto e raccontato tante storie (di mafia, di politica, eccetera), storie ormai dimenticate che celavano altre storie. Il suo lavoro è stato un recupero di informazioni occultate.
Il dovere del cittadino, prima che del giornalista, è quello di raccontare storie per salvarle dall’oblio. Devono essere storie vive nel presente, che possono essere ulteriormente tramandate. Ha incontrato lungo la strada alcuni gruppi che si ponevano gli stessi problemi e obiettivi da altri punti di vista, per esempio in campo musicale (come i Modena City Ramblers).
Biachessi descrive il suo metodo per distribuire i suoi spettacoli, coprire i costi, organizzarsi in modo indipendente. Anche per ciò che riguarda la comunicazione, come nella distribuzione, è importante il contatto diretto, i comunicati devono essere corti e sintetici. Per pubblicizzare un evento, usa la rete e i social network, la diffusione di estratti di spettacoli su Youtube…

Elena Cometti La rete dei teatri di Resilienza
Costituita per ora da sei realtà sul territorio nazionale, la rete si pone come obiettivo combattere la crisi. Il teatro offre modelli in questo: le ristrettezze non sono una novità, le pratiche teatrali sono modellate dall’abitudine a resistere. Si individuano alcuni metodi/obiettivi:
– la ricerca di un paradigma culturale diverso rispetto a quello dell’economia, basato sul piacere di incontrarsi e di creare relazioni;
– costruire gli spettacoli come progetti, produrre materiali dalle esperienze teatrali e trasferirli alle comunità (obiettivi estetici e sociali si intrecciano nel coinvolgimento della comunità);
– il rapporto con le istituzioni e il territorio non deve essere finalizzato a ottenere finanziamenti ma a costruire una progettualità comune;
– si privilegiano spazi non deputati al teatro: agire in luoghi dove sorprendere, incontrare, quindi stimolare un nuovo pubblico.

Claudia Cannella Per una carta dei diritti e dei doveri del critico
Claudia Cannella, direttore di “Hystrio”, presenta il decalogo del critico che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista.
A spingere alla redazione del documento, spiega, è il degrado della situazione generale, basato sul principio: “Se lo fa lui, allora posso farlo anch’io”. Per regire al decadimento morale e alla marginalizzazione della figura del critico è fondamentale sviluppare lo spirito critico, e restare consapevoli delle dfferenze, perché, dice, “non siamo tutti sulla stessa barca, e non vogliamo esserlo”. Ricrodando in goni caso che “gli artisti nonappartengono a nessuno”.

Valeria Ottolenghi Un premio alla critica?
Riferendosi all’attacco portato da Gabirele Vacis in mattinata contro il crtico di “Repubblica”, e ricollegandosi al galateo del critico appena presentato, Valeria Ottolenghi precisa e rilancia: “Se il critico dev’essere educato, allora deve esserlo anche l’artista”.
Presenta la nuova edizione del “Premio alla critica”, che segnalare quei critici che hanno saputo riconoscere il valore di una compagnia, seguire artisti alle prime armi, in poche parole che hanno aiutato il teatro.
A fianco al premio ai critici viene stato assegnato anche quello al maestro, ovveroa una personalità che si è distinta per generosità nel concere spazi, dare consigli e offfire opportunità. L’anno scorso il premio è stato vinto da Alessandro Benvenuti.

Renato Palazzi La scena critica: Goethe schiatta!
Palazzi spiega che per lui, critico teatrale, salire in scena è stato un punto di

Paola_Maria_Di_Martino,_Silvia_Limone,_Sara_Giurissa,_Alessandra_Di_Nunno,_Laura_Pecci

2011-03-18T00:00:00




Scrivi un commento