Il teatro, uno strumento di resistenza fondamentale

Voci dalla Biennale Teatro: Joele Anastasi

Pubblicato il 10/08/2012 / di / ateatro n. 140

Dopo appena tre giorni dall’inizio della Biennale, Venezia si è già trasformata in un campus affollato di giovani artisti che da tutto il mondo si incontrano per fare teatro. Sono gli allievi i veri protagonisti di quest’anno, con le loro aspettative e le loro storie. Investire tempo e denaro per la formazione è forse un modo per rimandare l’impatto crudo con la realtà lavorativa? Abbiamo provato a capirci qualcosa di più, proponendo ad alcuni allievi un format di domande a bruciapelo. Cosa cercano? E perché sono qui a fare teatro in un momento di crisi come quello attuale?

Joele Anastasi. 23 anni. Diplomato alla Link Academy di Roma.

Qual è lo spettacolo che ti ha cambiato la vita?

Acqua santa di Emma Dante. La trilogia degli occhiali rappresenta quello che per me è il teatro, ma in generale amo tutto il lavoro di Emma Dante. Mi piace la sua forza e, nel caso di Acqua santa, mi ha colpito la capacità di questo attore, Carmine Maringola, la sua potenza mi è arrivata dritta alla pancia come una botta fortissima: si dava in scena completamente ed è quello che dovrebbe fare ogni attore e che spero di riuscire a fare anche io.

Costi e ricavi: un bilancio del laboratorio veneziano.

Devo dire che sono stato fortunato perché ho trovato un alloggio a 60 euro grazie a un’amica; poi il volo da Catania l’ho pagato 200 euro andata e ritorno e ovviamente bisogna aggiungere i soldi che sto spendendo qui. Ma i costi non mi pesano e vedo che anche gli altri ragazzi che frequentano il laboratorio di Tolcachir sono tutti soddisfatti e non si lamentano nemmeno. E poi, insomma, siamo a Venezia e credo ne valga la pena. All’interno del nostro corso si respira un’atmosfera stupenda, Tolcachir è un accentratore, ha un’energia positiva contagiosa. Credo che uno dei vantaggi principali di questa esperienza sia quella di avere a che fare con un maestro straniero, per educarci quindi a uno sguardo più internazionale. Molti ragazzi infatti sono spagnoli, francesi e questo continuo scambio di idee ed esperienze è l’arricchimento più grande per me. Quindi i ricavi superano i costi. Forse sono ricavi solo morali, o umani, diciamo così. Non so se questo laboratorio sarà un investimento concreto per il mio futuro, sicuramente spero mi faccia curriculum aver partecipato alla Biennale di Venezia, ma ciò che conta in questo momento è la mia formazione, al di là delle prospettive.

Che senso ha fare teatro in questi tempi di crisi?

Penso che sia una necessità. Per me il teatro è qualcosa che deve risvegliare, è uno strumento di resistenza fondamentale in questi tempi di crisi, non può più essere intrattenimento, questo è ormai un dato acquisito. Bisogna quindi andare a fondo e dare vita a un teatro forte, che spiazzi lo spettatore, che risollevi la società dal torpore. Per me il teatro, in un momento buio come questo, deve essere crudo e andare dritto al cuore delle cose. È ovvio che a livello lavorativo è molto difficile. Ma sono un ottimista: credo che se hai un obiettivo e lo persegui con costanza e tenacia, se ci credi veramente alla fine riuscirai a realizzarlo. E poi al momento non ho ancora un piano B.

Giada_Russo

2012-10-08T00:00:00




Tag: Claudio Tolcachir (6)


Scrivi un commento