Il nuovo teatro lombardo sbarca in Sardegna

Øscena Festival a Cagliari

Pubblicato il 16/10/2012 / di / ateatro n. 141

Cagliari per quattro giorni è stata lo scenario assolato per un incontro tra un Teatro Stabile (il Teatro di Sardegna) e una delle compagnie “storiche” del teatro di ricerca con sede in Sardegna (Cada Die). L’’accordo siglato tra Giancarlo Biffi (che da trent’anni guida con Pierpaolo Piludu il Cada Die e dirige lo spazio della Vetreria di Pirri) e Guido De Monticelli (direttore artistico dello Stabile), mentore l’’infaticabile Mimma Gallina, ha prodotto il Festival Øscena, itinerante tra il centro e la periferia di Cagliari e seguito da un numeroso pubblico “misto” (finalmente).

Øscena è nato con l’idea di proporre in Sardegna una “vetrina” di alcune delle compagnie giovani legate alle residenze lombarde affiliate alla rete Être e sostenute dalla Fondazione Cariplo. Le compagnie invitate per ØSCENA erano Anima nera, Dionisi, Aia Taumastica, Nudoecrudo Teatro, Teatro Inverso e Sanpapiè.
Due spettacoli al giorno e due momenti di dibattito e confronto pubblico sono stati l’occasione per capire se il modello “lombardo” di residenze delle compagnie, potesse essere esportabile e proponibile per un territorio come quello sardo che in pochi anni, ha costruito e/o ristrutturato qualcosa come sessanta teatri in tutta la Regione. Tra questi anche il teatro di Serrenti, un piccolo gioiello a una quarantina di chilometri da Cagliari, ancora in attesa, come altri, di definizione di un progetto artistico o di una direzione gestionale.
Durante i giorni della manifestazione, ma indipendentemente da questa, l’assessorato alla Cultura del Comune (diretto da Enrica Puggioni, giovanissima esponente della nuova amministrazione Sel di Massimo Zedda) ha levato le orrende impalcature metalliche dall’anfiteatro romano sito nel cuore della città che da tempo impedivano di visitarlo e di entrarci. Ci sembra un segnale significativo da parte di una amministrazione che vuole restituire alla gente la ricchezza storica e culturale della città, partendo simbolicamente dal “liberare” un teatro. E’ proprio l’assessore nell’incontro al Teatro Massimo a illustrare le linee programmatiche della cultura che intende perseguire, in cui la parola “residenza” legata alle arti, ritorna con grande frequenza. Cagliari oltre agli spazi deputati per il teatro, offre straordinari luoghi e “non luoghi” culturali che avranno da questo momento, in poi, grazie anche all’accordo con le associazioni cittadine, una funzione specifica (il Lazzaretto, l’Exma, il Ghetto, il Castello di San Michele).
Un incontro alla Vetreria di Pirri riconvertita da alcuni anni a spazio teatrale, è stato dedicato a presentare le poetiche, i linguaggi, le prospettive e i rapporti (e i non rapporti..) delle compagnie con le direzioni artistiche dei festival italiani coordinato dagli organizzatori insieme con Renzo Francabandera (sardo d’adozione) e la sottoscritta (sarda nativa).
Ne è emerso un quadro piuttosto interessante di esperienze residenziali “resistenti” (come Aia Taumastica e la loro “l’intrepida avventura” di ristrutturazione e residenza nella Torre dell’Acquedotto di Cusano Milanino raccontata da Massimiliano Cividati), di nuova drammaturgia (la scrittura di Magdalena Barile per Anima Nera), di sperimentazioni drammaturgiche in stretta connessione con i media (Renata Ciaravino/Dionisi), di linguaggi della parola ma anche del corpo (teatro-danza e phisical theatre per i Sanpapié), con il contorno sempre presente delle difficoltà autoproduttive e delle gestioni quotidiane degli spazi affidati.
Le proposte, pur diseguali nella qualità, hanno affrontato in maniera diversa, il tema della realtà “oscena” in cui tutti siamo immersi e coinvolti, in un racconto teatrale di una società – alienata e alienante -, talvolta paradossale o surreale, grottesco o farsesco, purtroppo non sempre chiaro e diretto, compiuto e maturo (drammaturgicamente e scenicamente).


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Il nulla di Aia Taumastica.

La realtà svuotata di ideali e di speranze – ma riempita di oggetti del consumismo di massa, Joy di Teatro Inverso – si materializza nell’incubo dello straniero (l’immigrato clandestino ne L’Isola. Una storia di immigrazione, Nudo e Crudo Teatro), nell’incomunicabilità dentro la famiglia (tenuta insieme da una cucina con forno in Fine famiglia), nell’incapacità di accettarsi e di elaborare le proprie debolezze e crisi (Il nulla di Aia Taumastica), nella vacuità della tv e dei suoi miti e codici (Serate bastarde 2, Compagnia Dionisi). Tutto questo porta alla necessità, come rimedio, di una maschera da indossare che possa cancellare il fallimento – beckettianamente parlando – del personaggio, maschera che altro non è che un tentativo di rimozione delle proprie paure (ma con l’eterno ritorno di ciò che si reprime), oppure un auto convincimento della possibilità di fuga (la porta di casa come speranza di nuova vita che però è murata, in Fine famiglia). E’ infine, la maschera sociale rappresentata dalle nostre innumerevoli identità via web con cui fingiamo un successo che non si ha, una ricchezza che non si ha, un talento che non si ha, e che diventa l’àncora di salvezza dall’anonimato (Serate bastarde 2).

Rodata ed esilarante appare la scena di Anima Nera in Fine famiglia, che fa della sacra famiglia raccolta attorno alla “torta natalizia”, il nucleo del disastro da cui scappare per salvarsi; asettica e perfetta quella de Il nulla di Aia Taumastica dove i personaggi sono seppelliti in un gorgo di sensi di colpa, angosce e crisi in bianco e nero, in cui poche immagini dense di significato simbolico, raccontano il tema del rimosso. Confusa e disarticolata appare invece, la proposta della Compagnia Dionisi che in Serate bastarde 2 si disperde nei rivoli delle molte cose da dire (che poi però, si riducono a una critica del trash televisivo e dell’ironia dell’auto-rappresentazione via web ovvero del sociale virtualizzato) e colpisce più per la ferocia e la volgarità di certi passaggi che hanno un corrispettivo nei reality show, che per la chiarezza del discorso in sé. Alcuni momenti, hanno però, una grande forza espressiva come il monologo del personaggio con il Bancomat svuotato o il buco nella quarta parete a prendere in giro certi spettacoli degli anni Sessanta del Living.
Il tema della rappresentazione di una realtà intollerabile e conflittuale, banale e monocroma era curiosamente presente anche in molti spettacoli dei festival estivi (l’impressionante elenco di oggetti di una vita da casalinga in Reality di Daria De Florian e Antonio Tagliarini, al glaciale L’origine del mondo, ancora della De Florian fino al duro proclama di Pater Familias di Kronoteatro di Albenga) a sottolineare l’urgenza di cercare un punto di vista da cui ridefinire i confini tra dramma interiore e mondo esterno, tra realtà e finzione, a metà tra proclami di cambiamento (Codice Ivan, Give me money) e accettazione drammatica della realtà stessa (Leonardo Capuano, La sofferenza inutile).

Anna_Maria_Monteverdi

2012-10-16T00:00:00




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