#bp2013 Per l’autogoverno del teatro italiano

L'intervento all'incontro dell'8 aprile

Pubblicato il 23/04/2013 / di / ateatro n. #BP2013_Firenze , 143

Come Teatro Valle Occupato è la terza volta che partecipiamo alle Buone Pratiche, per noi è un momento di condivisione e un’occasione di dibattito.
Oggi avremmo dovuto parlare di teatro pubblico eppure non c’è alcun rappresentante dei diciassette stabili pubblici.
Da anni, a ogni taglio del Fus, assistiamo alle rivendicazioni del Teatro di prosa contro quello lirico, mentre ora assistiamo ad nuovo scontro: quello tra teatro privato e teatro pubblico. Una lotta tutta incentrata su rivendicazioni economiche in rapporto alle funzioni.
Come nell’opposizione teatro di prosa-opera lirica, la rivendicazione sembra essere solo di tipo economico e ci impedisce di entrare nel merito del perché si sia arrivati a questo punto, di fare una critica a chi in questi anni avrebbe potuto e dovuto far sentire la sua voce contro il governo, a chi non ha saputo o non ha voluto prendere posizione contro questa situazione.
Nel frattempo il lavoro e le condizioni contrattuali si sono ridotti a zero a fronte di un continuo autosfruttamento. Questa è una realtà che abbiamo tutti presente, gli artisti come i tecnici. Anche gli stabili pubblici, i suoi amministratori, le associazioni datoriali lo denunciano da anni, ma l’immobilismo che li ha contraddistinti li rende complici di questo sistema – anche se si difenderanno dicendo che è per necessità di sopravvivenza. E così si continuano ad adottare forme contrattuali non conformi alle leggi: pensiamo agli artisti che lavorando negli stabili pubblici sono ancora obbligati a lavorare con le partita iva. Si continuano a ritardare pagamenti chiedendo pazienza e comprensione come nell’ultimo caso del Mercadante e del suo pluridirettore.
Dall’altra parte, nelle produzioni private, assistiamo al proliferare di nuove forme contrattuali: il nostro lavoro viene diviso in due, da una parte utilizzando contratti standard (fino a coprire i minimi di legge) e per l’altra metà utilizzando contratti per lo sfruttamento dei diritti di immagine (contratti che alle imprese vengono detassati al 70%).
Questi sono due esempi che non vogliono distrarre dal tema del dibattito, ma che vogliono ribadire quali sono le conseguenze di questo immobilismo. E la cosa diventa ancora più fastidiosa se si pensa che in questi anni (anche grazie a questi incontri) abbiamo raccolto, ascoltato e condiviso molte proposte utili per una riforma del sistema teatrale. Qualcuno teorizza che il rinnovamento possa nascere dalla fine di questo sistema. Cinicamente dovremmo essere felici perchè non sembra mancare molto, ma non volendoci arrendere a questo pensiero, il Valle Occupato insieme a chi sostiene la lotta per i beni comuni (l’autogoverno dei beni comuni) continua il suo percorso verso la Fondazione teatro valle bene comune come alternativa al sistema. Ed è in questa ottica che portiamo il nostro contributo alla discussione di oggi.
Si parla del Valle Occupato e si cerca di capire cosa sia, cosa stia facendo e dove voglia andare in base alla programmazione. Si guarda alla nostra programmazione, un po’ come le amministrazioni locali puntano sull’appeal dei titoli di un cartellone al fine di giudicare il vincitore di un bando e ancora peggio sull’operato di un teatro e del suo direttore.
La programmazione del Teatro Valle Occupato non è il Valle che vorremmo, ma è lo strumento che, in costante cambiamento, ci permette una riflessione sul senso del fare teatro, non limitato in modo autoreferenziale all’aspetto artistico, ma a quello sociale, ben più importante: alla relazione che un teatro deve avere con la sua città e con i suoi abitanti.
In questo senso lo spettacolo non viene limitato, anzi trae forza e legittimità dalla elaborazione a 360° della comunità che per interesse e percorsi si trova a vivere il teatro in tutte le sue possibilità. Quindi lo spettacolo non è più la scelta di un “titolo” o di una celebrità, ma la continuità di un’attività molto più complessa.

Riflettere sul contenitore, sulle sue regole, su cosa possa e debba essere la fondazione Teatro Valle bene comune è un atto artistico, forse il più grande.
Un atto che ci sfida in un continuo corpo a corpo tra concetti come potere e potenza, chiusura e apertura.
In questi anni, la peggior crisi è forse quella dell’immaginazione, ingabbiata in una miope visione economicista (Lucio Argano e Alessandro Hinna lo hanno fatto notare nei loro interventi alle Buone Pratiche di Firenze).
Bisogna lavorare sulle finalità, sugli obbiettivi a lunga scadenza e sulle regole che governano il sistema. Forzare i confini e le dinamiche partitiche nella gestione della cultura.
Certamente un teatro pubblico – o la futura fondazione che noi immaginiamo – dovrà rispettare i diritti dei lavoratori, avere un modello economico equo e sostenibile per gli artisti, per le sue maestranze e per il pubblico, la trasparenza dei meccanismi gestionali ed economici. Dovrebbe essere aperto alla partecipazione e condivisione delle scelte e nell’analisi dei risultati raggiunti.
Questi dovrebbero essere punti fermi per ripensare un teatro pubblico inserito nel tessuto sociale e culturale di una città.
Eppure ciò che sembra mancare più di tutto a chi ci rappresenta, (alle organizzazioni datoriali, ai sindacati, ai responsabili della cultura dei vari partiti) è la determinazione di affermare nei fatti il valore di quello che si dice di rappresentare: la cultura come volano economico, sociale e culturale del nostro Paese.
Si pensi al ritiro della serrata dei teatri indetta da Agis e Federculture due anni fa. Dopo anni, e senza pratiche, la formula “cultura volano economico” si è svuotata di significato e chi la pronuncia non ha più molta credibilità. Quello che si vuole è la difesa di uno status quo. Chi ha assistito a quei pochi incontri pubblici che il ministro Ornaghi ha concesso ai rappresentanti della categoria, ha potuto constatare come tutto è terribilmente finto e irritante. L’ultimo incontro, in ordine di tempo, alla Luiss: tutti a chiedere i 10 milioni di euro necessari a far passare la legge quadro. Una legge sbagliata, inadeguata, già vecchia.
Una legge spacciata e sostenuta “in nome e in favore dei giovani”. Purtroppo sono dichiarazioni smentite dal fatto che non c’era un solo giovane invitato a intervenire. Nessuno.
Eppure sono centinaia le realtà che tengono vivo il panorama artistico e continuano a lavorare nonostante tutto(si faccia riferimento ai dati dell’analisi statistica RISPONDI AL FUTURO finanziata da C.re.s.co, Fondazione Fitzcarraldo e Zeropuntotre).
La formazione: se c’è una cosa su cui stiamo puntando al Teatro Valle Occupato, è proprio la formazione. Perché ci piace immaginare un luogo dove la formazione alle arti non è un duro calvario di raccomandazioni ma un percorso che accompagna l’essere umano nella scoperta e nella comprensione del mondo innanzitutto, per poi dargli la possibilità di elaborare criticamente il proprio sentire. Il proprio essere al mondo. Una formazione, quindi, che comincia presto, dalla scuola.
Pensiamo a Tanzzeit, il workshop di danza, per insegnati/artisti e studenti che abbiamo realizzato in collaborazione con la compagnia Tanzzeit di Berlino.
Le classi sono state condotte dagli stessi giovani ragazzi della compagnia berlinese accompagnati da una guida adulta, così che il passaggio di saperi non fosse solo verso i giovani, ma venisse da uno scambio peer to peer con i loro coetanei, ricchi di un’esperienza formativa e professionale, realizzata in un contesto culturale che pensa la formazione come elemento integrante della vita di ognuno.
Pensiamo a Crisi, il laboratorio di drammaturgia che Fausto Paravidino sta tenendo al Valle Occupato e che è arrivato alla 5 tappa, e a quello che sta creando non solo in termini artistici ma soprattutto relazionali tra formatori, formandi , artisti e pubblico. Dove il teatro ridiventa una casa, non solo degli artisti, ma della comunità. Crisi sta sperimentando un nuovo modo di moltiplicare saperi in maniera esponenziale, sta creando uno spazio in cui nuovi drammaturghi possano crescere, sta favorendo inedite combinazioni di collaborazione e scambio. Un co-working applicato alla drammaturgia.
Laboratori come questo non devono più essere fortunate occasioni frutto di contingenze speciali, ma devono diventare pratiche costanti. Bisogna coltivarle, curarle, investirci con fiducia.
Crisi è inoltre un laboratorio aperto agli uditori: è un esempio di possibile formazione del pubblico, volta a far sentire e a trattare lo spettatore non come un cliente, ma attenta a dargli gli strumenti per creare una connessione forte con il teatro e la sua vita. A farlo diventare parte di un progetto.
Bisogna aprire nuove porte di ingresso, fare buchi nei muri se necessario, nella struttura del “Teatro” e delle nostre costruzioni mentali, permettere che ci sia uno scambio alt(r)o.
E’ sicuramente più proficuo stare in ascolto di quelle che sono le necessità e la realtà del luogo in cui si opera che far di conto per una tabella ministeriale ormai vecchia e obsoleta.
Per ragionare su questo al Valle occupato, insieme ai curatori S. Bottiroli, N.Giuliani e M. Mele abbiamo dato vita quattro mesi fa, ad una tre giorni di lavoro “3 cose impossibili prima di colazione” coinvolgendo venti organizzatori/operatori culturali di altre città, che lavorano in spazi culturali diversi da un teatro del ‘700. Una tre giorni dove fosse possibile lanciare alcune indicazioni/riflessioni, proposte di direzione per chi porta avanti la lotta per i beni comuni. E abbiamo avuto la complicità di persone che da anni lavorano in settori non strettamente teatrali ma culturali: editoria, musica, cinema, italiani ed esteri. “Meticciare-integrare-ricombinare” direbbe Argano, per noi è la modalità attraverso la quale le differenze diventano ricchezza.
Certo questo noi lo possiamo fare, perché partiamo da zero… perché siamo occupanti da quasi due anni. Ma questa è una semplificazione.
Partiamo da zero come lo era il nostro bilancio il 14 giugno 2011.
Il fatto è che riteniamo importante iniziare dal Teatro e non da un bilancio di numeri e consuetudini: questo ci dà la possibilità di svincolarci da una visione economicistica, e ci fa riflettere sul rapporto tra la gestione reale di un teatro e la sua capacità di inclusione ideale
Il nostro esperimento si situa nello spazio che si viene creare tra la concretezza di un budget e lo slancio di un progetto di più ampio respiro.
Lì abbiamo capito che quando si parla di bilancio, di rendicontazione, è necessario pensare al suo impatto “sociale”.
La rendicontazione sociale deve essere un momento di inclusione della comunità stessa. Nella discussione sullo statuto del Teatro Valle occupato, statuto che stiamo per riaprire, in un nuovo momento di discussione pubblica, questo aspetto è fondamentale.
Come fondamentali sono le linee di trasparenza nei criteri di selezione della direzione artistica a chiamata, criteri che sarebbe bene vedere finalmente applicati in un teatro pubblico.
Tre anni fa a Torino, avevamo lanciato un appello alla categoria nel tentativo di dare un segnale forte alla politica e al governo contro i ripetuti tagli alla cultura.
Ora non ha più molto senso parlare di Fus, di scioperi del nostro settore, ma oggi come allora cogliamo l’occasione per un invito alla categoria.
Il 13 Aprile al Teatro Valle Occupato, un’inedita alleanza tra studiosi/giuristi e le lotte che tutti i giorni praticano forme nuove di autogoverno, aprirà uno spazio politico nuovo che parta dal riconoscimento giuridico dei beni comuni e lanci una prospettiva di cambiamento radicale del sistema economico/politico/sociale del paese.

Questo cambiamento riguarda anche il sistema cultura,
Riconquistiamo come artisti, lavoratori dello spettacolo e della conoscenza il diritto e il dovere di mettere al centro la cultura.

Alessandro_Riceci_(Teatro_Valle_Occupato)

2013-04-23T00:00:00




Tag: BPoccupy (8)


Scrivi un commento