L’ENPALS: da ente di previdenza a polo del welfare del settore dello spettacolo?

Quattro domande a Titti Di Salvo, Presidente del Consiglio Indirizzo e vigilanza dell'’Enpals

Pubblicato il 17/10/2011 / di / ateatro n. 135

Abbiamo chiesto a Titti Di Salvo, dal 2009 Presidente Consiglio Indirizzo e vigilanza dell’’Enpals (già segretaria confederale Cgil nazionale dal 2002 al 2006 e parlamentare del 2006 al 2008), di affrontare con noi alcuni dei temi nodali dell’emergenza lavoro nel settore teatrale e precisare la funzione dell’’ENPALS. L’’intervista delinea con chiarezza la questione della “disoccupazione” (unica via d’uscita quella legislativa), e le origini dell’’avanzo di amministrazione dell’’Ente. Ma soprattutto mette a fuoco la necessità e le possibili linee di una riforma che trasformi l’ENPALS in una vera e propria centrale di sostegno e promozione del settore dello spettacolo, un polo del welfare. Un obiettivo ambizioso, ma una battaglia che vale la pena di combattere, a maggior ragione con la minaccia all’orizzonte di un accorpamento degli Enti previdenziali (Super Inps).

1) DISOCCUPAZIONE
Non possiamo che partire che da questo punto, che ha provocato un senso diffuso di ingiustizia presso gli attori di tutte le generazioni, petizioni, assemblee, azioni giuridiche… per la prima volta sembra che la categoria stia esplodendo, anche perché, a fronte del calo occupazionale l’indennità (se pure riconosciuta a macchia di leopardo, aveva rappresentato negli ultimi anni una boccata di ossigeno per molti. Lo conosci di certo meglio di me ma sintetizzo il tema riprendendo da petizioni on line: “…l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti respinta dall’INPS sulla base dall’art. 4, comma 5 del regio decreto n.1827 del 1935 che afferma: “Non sono soggetti all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria: (…) 5) il personale artistico, teatrale e cinematografico” e discrimina gli artisti, attori , ballerini , professori d’orchestra e tutti coloro che (secondo l’art.7 regolamento 7 dicembre 1924 n 2270 a cui si collega il comma 5 dell’art. 40) prestano opera la quale si richieda una preparazione tecnica, culturale o artistica. A seguito di una recente sentenza della Corte di Cassazione la n 12355 del 20 maggio 2010, l’INPS nega l’indennità”).
Come pensi si possa uscire da questa situazione? Credi sia possibile e come (sul piano giuridico e amministrativo) ribaltare la scelta di escludere dall’indennità di disoccupazione le categorie artistiche? Il tema riguarda solo l’INPS o l’ENPALS (cui si riconduce la classificazione dei lavoratori), è in qualche modo coinvolta?

Per rispondere alla domanda conviene partire dalla normativa generale per cogliere meglio l’asimmetria tra quella normativa e le regole applicate nel mondo dello spettacolo:un’asimmetria figlia – non solo ma anche – di una definizione dei rapporti nel mondo dello spettacolo di settanta anni fa.
Sul piano generale, la normativa prevede che lavoratrici e lavoratori con rapporto di lavoro subordinato abbiano diritto – di fronte alla disoccupazione involontaria – a un trattamento economico sostitutivo di quello retributivo. (Si tratta di due diverse tipologie di indennità di disoccupazione: la prima, ordinaria, si matura con un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione e prevede l’erogazione di un trattamento economico cha va dal 60% al 40% della retribuzione media degli ultimi tre mesi di attività lavorativa per un periodo massimo di 8 mesi, 12 mesi per i lavoratori con più di 50 anni; la seconda, a requisiti ridotti, si matura con almeno 78 giornate lavorate nell’anno solare precedente l’inizio del periodo di disoccupazione e prevede l’erogazione di un trattamento economico che va dal 35% al 45% della retribuzione media giornaliera percepita nell’anno solare di riferimento per un periodo massimo pari alle giornate lavorate nell’anno solare precedente l’inizio del periodo di disoccupazione con un limite massimo predefinito. L’erogazione cessa all’atto della riattivazione di un rapporto di lavoro ed è finanziata con un contributo calcolato sulla retribuzione lorda dei lavoratori che possono beneficiare del trattamento medesimo in misura variabile dall’1,31% all’1,61% a seconda dei settori produttivi.)
E’ evidente che si tratta di regole totalmente inadeguate al settore dello spettacolo in cui il periodo medio di occupazione è molto più breve rispetto ai settori industriali e del commercio. In questo settore in sostanza l’indennità di disoccupazione riguarda solo lavoratrici e lavoratori con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (imprese radio televisive, fondazioni lirico-sinfoniche, ecc.) e quelli a tempo determinato con contratto di lunga durata nel corso dell’anno solare. In più esistono spesso rapporti di lavoro subordinati che hanno una durata limitata nel tempo (3-4 giorni), il cui svolgimento determina, per i lavoratori in stato di disoccupazione, la cessazione dell’erogazione del trattamento economico di disoccupazione con due effetti: spesso il lavoratore non prende neppure in considerazione la prestazione lavorativa, oppure opera senza la regolarizzazione del rapporto di lavoro.
Poi l’articolo che citavi, l’art. 4, comma 5, Regio decreto legge n. 1827 del 1935, opera una vera e propria discriminazione grave fra lavoratori subordinati la cui prestazione è connotata da un contenuto “artistico” rispetto agli altri perché stabilisce – come ricordavi – che il trattamento di disoccupazione non spetta al “personale artistico, teatrale e cinematografico”.
La motivazione dell’incongruità probabilmente va fatta risalire all’idea dell’epoca che si trattasse di persone dotate di quel potere contrattuale che nell’immaginario collettivo esprimono i grandi artisti. Nel tempo non è cambiato il pregiudizio secondo il quale il lavoro nello spettacolo non è un vero e proprio lavoro, e ancora oggi quel pregiudizio spinge ad assimilare nel senso comune le decine di migliaia di lavoratori del settore con rapporti di lavoro discontinui e mal retribuiti al ristretto novero dei pochi grandi artisti di fama.
Ora, dal 1935 fino all’anno scorso, l’INPS ha applicato la normativa in modo disomogeneo sul territorio, per cui è capitato che più che alla natura del rapporto di lavoro, l’ammissione al trattamento di disoccupazione sia stata subordinata alla verifica del regolare assolvimento dei relativi obblighi contributivi da parte del datore di lavoro. Ma in relazione al contenzioso instaurato da un artista, il 20 maggio 2010 si è espressa su questo punto la Corte di Cassazione (sentenza n. 12355). Nella sentenza la Corte ha ribadito il contenuto e l’applicabilità della legge del 1935, e cioè il personale la cui prestazione lavorativa (di natura subordinata) richieda una preparazione artistica e culturale non è soggetto all’assicurazione generale per la disoccupazione involontaria.
Si è chiarita dunque irrigidendola l’interpretazione della norma.
L’INPS poi, sentendo l’ENPALS e le Organizzazioni sindacali, ha ridefinito, basandosi sulle declaratorie valide per la pensione, l’elenco delle figure professionali del settore che, per la connotazione “artistica”, sono escluse dal trattamento di disoccupazione involontaria (circolare INPS n. 105 del 5 agosto 2011).
Questo dunque lo stato dell’arte di una situazione paradossale sul piano generale e sicuramente discriminatoria. Ma la modifica dell’attuale stato di cose può essere fatta solo con il cambiamento delle leggi attuali. Per quanto ci riguarda abbiamo lavorato in questa direzione con iniziative pubbliche di denuncia del problema e audizioni parlamentari. In questa direzione per la verità va il disegno di legge recente “Disposizione per la tutela dei lavoratori dello spettacolo dell’intrattenimento e dello svago” (A.C. n.762 ed altri), firmatari gli on.li Bellanova, Ceccacci Rubino e altri, sostenuto dalle forze politiche di governo e di opposizione che prevede l’abrogazione della norma del 1935 e l’estensione dell’assicurazione per la disoccupazione involontaria a tutto il personale dello spettacolo con rapporto di lavoro autonomo.

2) L’UTILE DELL’ENPALS

Ti sottopongo un passaggio del documento conclusivo del Convegno di Prato sul tema della “Stabilità” (marzo 2011): “Per quanto riguarda questi ultimi due punti – formazione e ammortizzatori sociali – come per possibili incentivi alla continuità occupazionale, un sostegno concreto non dovrebbe competere soltanto al Ministero e gravare sul FUS, quanto all’ ENPALS. L’equilibrio gestionale (e la dispersione contributiva), ha portato l’ENPALS ad accantonare un utile che qualcuno stima in un miliardo e mezzo di euro (o, da altre fonti, un miliardo e trecentomila euro). Come ha sostenuto anche il presidente dell’AGIS, Protti al convegno “ENPALS, LE TRE FACCE DELLA MEDAGLIA” (ROMA, CNEL, 18 FEBBRAIO 2011), è giusto oggi che queste risorse tornino almeno in parte nelle disponibilità dei lavoratori e delle imprese. E’importante che nelle trattative che le associazioni di categoria avvieranno con l’ENPALS, la promozione del lavoro sia al primo posto. Suggerimenti precisi – da verificare sul piano delle modalità – possono consistere nell’abbassamento progressivo di oneri contributivi rapportato alla durata del contratto (o in premi che “restituiscano” risorse a chi pratica contratti di lunga durata), e nel sostegno ai progetti di formazione interna ai teatri stabili e alle compagnie (per esempio nella concessione di borse di studio ai lavoratori – come avviene in Francia e in altri paesi europei – e in contributi finalizzati alle imprese). Va inoltre messo a punto un pacchetto di incentivi fiscali e previdenziali, e vanno definiti criteri certi nel decreto ministeriale, finalizzati all’occupazione e a progetti di accompagnamento al lavoro di elementi giovani.” Considerazioni forse un po’ingenue? La domanda principale è (anche dopo il convegno di Milano): c’è la possibilità, e come, che l’utile dell’ENPALS torni nella disponibilità dei lavoratori e delle imprese?

Le ragioni che hanno portato l’ENPALS ad accumulare un notevole avanzo di amministrazione (al 31.12.2010 pari a circa due miliardi di euro riferiti alle due gestioni speciali: lavoratori dello spettacolo e sportivi professionisti) sono di carattere normativo (le riforme della previdenza avviate dal 1997) e gestionale (lotta all’evasione e elusione contributiva).
Un avanzo di tutto rispetto ricordando che, alla fine degli anni ’90, l’ENPALS era in una condizione economica e finanziaria molto critica.
Naturalmente è buona cosa avere certezza della stabilità di un Ente previdenziale e preservare le risorse per il pagamento delle pensioni future. Ma è la stessa congruità dell’avanzo che interroga tutti sulla scarsa generosità e adeguatezza dei criteri per il calcolo e la misura della pensione e consiglia di agire in modo da rendere quei criteri maggiormente coerenti con le specificità del settore.
Poi non v’è dubbio che una parte della contribuzione potrebbe essere destinata a creare quella rete di protezione sociale di cui il settore è privo, per equità e per sostenere un settore di straordinaria importanza per lo sviluppo economico e culturale del paese. Per esempio si potrebbe:

– finanziare una rete di ammortizzatori sociali, oggi pressoché inesistente nel settore (gli istituti della cassa integrazione guadagni, fatta eccezione per le industrie di noleggio e sviluppo cinematografico, non si applicano al settore dello spettacolo!);
– Introdurre forme di intervento volte a salvaguardare i livelli occupazionali e ridurre gli oneri sociali delle imprese in stato di crisi;
– Introdurre agevolazioni contributive per favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro.

Si tratta di favorire cioè la trasformazione dell’ENPALS da Ente di previdenza a polo del welfare del settore dello spettacolo. A questo obiettivo stiamo lavorando da tempo cercando di far emergere il tema pubblicamente, chiamando a confronto sull’argomento tutti i soggetti interessati. Ma sappiamo che le novità normative necessarie per realizzarlo richiedono non solo la condivisione di tutti coloro che operano nel settore ma anche una situazione politica e parlamentare meno fibrillata di quella attuale. Alla fibrillazione generale si è aggiunta di recente anche l’annuncio dell’ultima manovra finanziaria dell’ipotesi di un accorpamento degli Enti previdenziali (Super Inps) che naturalmente introduce ulteriori elementi di incertezza.

3) PREMIARE LA CONTINUITA e IL RICAMBIO

Attualmente il parametro ministeriale fondamentale per l’assegnazione dei contributi è dato dalle giornate lavorative, ma con questo il Ministero valuta, secondo me, la quantità/non la qualità dell’occupazione (incentivando paradossalmente l’occupazione a singhiozzo: un’iperproduzione che non favorisce l’occupazione reale).
E’ possibile, che l’ENPALS trovi il modo di premiare/incentivare la continuità, la formazione permanente, il ricambio? per esempio con variazioni (abbassamento) delle aliquote, forme di sostegno/premi all’accompagnamento o altro?

In base agli attuali compiti istituzionali dell’ENPALS, non ci sono spazi per interventi di premialità per le imprese che sviluppano progetti di qualità fondati sulla continuità e stabilità dei rapporti di lavoro e quindi anche sulla formazione permanente. Una riforma legislativa dei compiti istituzionali dell’ENPALS versus il polo del welfare del settore dello spettacolo potrebbe invece consentirlo.

4) FORMAZIONE PERMANENTE

In altri paesi – e in particolare in Francia – gli enti previdenziali e il Ministero del lavoro sostengono i costi della formazione permanente degli attori e dei lavoratori dello spettacolo soprattutto in fase di disoccupazione. Questa scelta ha fatto si da un lato che le forme di sostegno dello stato francese allo spettacolo si attuino in due direzioni, direttamente a favore delle imprese (ma sulla base di regole e missioni molto precise: la responsabilità sociale) e a sostegno del lavoro. Ha anche creato una consapevolezza alla necessità della formazione permanente da noi ignota e fatto emergere la figura del formatore nella sua specificità (da noi molto sfumata), e le problematiche connesse alla formazione dei formatori. Un lavoratore dello spettacolo italiano è oggi incredibilmente svantaggiato rispetto ai colleghi europei. Cosa pensi di questa situazione e di questa sperequazione. E’ possibile pensare che interventi simili vengano attuati da noi? come e anche a carico/da parte dell’ENPALS?

Non v’è dubbio che un efficace sistema di formazione potrebbe costituire un volano formidabile di sviluppo per il settore.
Ma anche in questo caso, l’ENPALS potrebbe svolgere una funzione in questo senso, per esempio nella selezione e nel finanziamento dei progetti formativi elaborati dagli enti bilaterali o dalle Regioni (alle quali pure la Costituzione attribuisce un’importante competenza legislativa in questo campo), solo dopo uno specifico intervento legislativo che ne ridefinisca i compiti.

Mimma_Gallina

2011-10-17T00:00:00




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