Le recensioni di “ateatro”: La peste la pestE

di Edgarluve

Pubblicato il 10/04/2003 / di / ateatro n. 051

La “provincia” teatrale italiana riserva gradite sorprese. “Provincia” solo per la scarsa visibilità nazionale, non certo per la mancanza di idee, di creatività a tutto campo, di capacità di coinvolgere il pubblico nei modi giusti e nei luoghi giusti, fuori da quei circuiti ufficiali di teatri-festival-istituzioni che appunto non rischiano di “andare con gli sconosciuti”. Marginalità come condizione ideale per la ricerca di una comunicazione teatrale sinceramente autentica.
Edgarluve è un gruppo teatrale che nasce nel 2000 a Livorno, città ricca di teatri e di sotterranei fermenti artistici; Alessio Traversi ne è fondatore, animatore e regista e ci parla del tema portante e comune del loro lavoro: teatro come spazio di “autopsia” e di “rianimazione,” una sorta di operazione archeologica e chirurgica che scava dentro il dramma dell’uomo, in un “estremo tentativo di ricostruzione”. Marginalità, conflittualità, degradazione e deformazione le parole chiave del loro teatro.
Nel 2001 Edgarluve inizia il progetto teatrale su Camus con Ambalaze (da Lo straniero) che è proseguito quest’anno con La peste la pestE. Inaugurato a Livorno, presso i Bottini dell’olio il 9 aprile lo spettacolo ricava, nella semplicità dell’allestimento, alcune soluzioni decisamente felici e degne di nota. Il testo di partenza della drammaturgia curata da Alessio Traversi, oltre a La peste di Camus è il meno conosciuto La peste a Urana di Raoul Maria De Angelis, e indirettamente le descrizioni topiche degli effetti della peste che trovano spazio nella letteratura e nella saggistica. Distruzione sociale, peste come piaga collettiva che fa crollare le istituzioni, le leggi, ma che innesca anche processi di tragica solidarietà. (Stefano Tommasini ha dedicato un approfondito saggio sulla topica storica della peste: Un orage organique. Tópoi della peste e teatro della crudeltà in “Scena“, anno I, n.1-2, 1998).
Immediato il riferimento a Mysteries and smaller pieces del Living Theatre, spettacolo nel quale il gruppo americano metteva in scena nel 1964 (ma si tratta di uno spettacolo che ripropongono ancora oggi) la descrizione artaudiana della peste facendo scivolare i corpi morenti e ammorbati tra il pubblico, letteralmente contagiandolo. Per Artaud il senso liberatorio, estremo e insieme rigenerante del teatro risiedeva nella visione del male per scatenare l’energia di riscatto; il teatro-peste equivaleva al farmakos greco, veleno e antidoto insieme.
Nello spettacolo la prigione autoindotta del protagonista per sottrarsi all’epidemia dilagante, la cui follia e il cui male cresce tra suoni di campane, rumori elettrici, voci che sembrano uscire dalla sua mente, cantilene da incubo e grida da girone dantesco, parole ripetute ossessivamente nel buio, è una gabbia, un’uccelliera che contemporaneamente lo rinchiude e lo protegge dagli eventi esterni e da cui non vuole più uscire anche quando il male è sconfitto. Il ciclo di assedio e reclusione e di annessa paura così non finisce ed è destinato a ripetersi all’infinito, perché il male è sempre in agguato.
Pian piano il volto e la voce del protagonista – da lui stesso registrata in un magnetofono – si distorcono trasformandolo in un essere disumano, alienato, topo che vive al buio privato della socialità e del vivere comune. Le cuffie appese ad un cavo che indossa sono simbolo del suo volontario isolamento. Un esilio dall’uomo che porta ad una inesorabile pazzia, ovvero “quando si finisce per stare bene a parlare con un muro”. L’attore Valerio Michelucci insinua abilmente con il corpo e con la voce nel pubblico “prigioniero con lui,” la paura del male, in un crescendo convincente e terrifico.
Lo spazio scelto dal gruppo per la rappresentazione è davvero straordinario: i Bottini dell’olio, edificio costruito alla fine del 1600 nel quartiere Venezia a fianco dell’omonimo scalo erano gli antichi magazzini di deposito dell’olio sbarcato dalle navi. Lo spettacolo dentro questo spazio umido e semibuio, sotto le volte basse e scrostate, ha così la sua ambientazione ideale, claustrofobica e anche un po’ tetra. Serpeggia nel corso dello spettacolo l’idea che quel male che fa putrefare gli organi interni e distrugge l’ordine sociale sia stato volontariamente introdotto dall’uomo, e che si possa anche chiamare guerra di liberazione. Potere dei media: la descrizione dei morti ammassati e dell’amministrazione che isola la città dalle orde di uomini che tentano di fuggire tratta da Camus, richiama le immagini di guerra dal telegiornale del giorno: in una Baghdad assediata, saccheggiata e allo sbando dove mucchi di cadaveri vengono rinchiusi in container per essere sepolti dentro fosse comuni scavate direttamente all’interno dell’ospedale, dottori con mascherina e armati di kalashnikov proteggono medicinali e autoambulanze dalle incursioni di uomini disperati.

La peste la pestE
Ideazione e regia: edgarluve
Drammaturgia: Alessio Traversi
Con Valerio Michelucci
Musiche Marco Lenzi
Scene e luci: Valerio Michelucci
Scenotecnica: Davide Mazzanti.
Info www.edgarluve.it
edgarluve@yahoo.it

Anna_Maria_Monteverdi




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