Teatro di guerra: che sta facendo di noi il terrorismo?

Terrorism dei Fratelli Presnyakov al Royal Court di Londra

Pubblicato il 10/04/2003 / di / ateatro n. 051

Gli spettatori che entrano nella sala superiore del Royal Court di Londra non possono sedersi in platea: la zona è recintata e controllata da due soldati in mimetica. Siamo in un aeroporto. Su una pista hanno trovato una valigia sospetta, forse contiene una bomba, tutti i voli sono bloccati, tre passeggeri commentano questa scena di normale anormalità. Ne lasciano in giro sempre più spesso, di quella valigie vuote. Ormai il terrorismo e la sua paura sono ovunque, ci stiamo abituando. Sappiamo che da un momento all’altro possiamo morire. I nostri cari possono morire, all’improvviso. Un attentato. Un colpo di fucile. Una bomba. E’ normale.

SECONDO PASSEGGERO A soffrire sono sempre gli innocenti…
PRIMO PASSEGGERO E’ vero. A soffrire sono sempre gli innocenti…

Annuiscono con enfasi teatrale.

SECONDO PASSEGGERO Anche se in un modo o nell’altro ciascuno di noi è colpevole di qualche cosa.
PRIMO PASSEGGERO Tuttavia questa non è una buona ragione per cominciare a bombardaci tutti quanti.

Il terrorismo e lo stato di guerra permanente ci stanno cambiando, ci hanno già cambiato. Perché ormai, se ci pensiamo bene, siamo diventati tutti terroristi. Lo suggeriscono i fratelli Presnyakov (giovani drammaturghi siberiani di Sverdlosk, ora Ekaterinenburg), autori di Terrorism, pièce scritta su commissione per il Royal Court di Londra e presentata in versione originale al Teatro d’Arte di Mosca nel dicembre scorso e nella capitale inglese nel marzo 2003.
Al prologo aeroportuale segue una serie di scene di vita quotidiana, raccontate con un umorismo di stampo gogoliano, che con il terrorismo in senso stretto non hanno nulla a che vedere, e che tuttavia ci fanno capire come il terrorismo trasformi il nostro modo di guardare la realtà – e dunque la nostra identità. Ecco la coppia di amanti, lei che gioca a farsi legare al letto e lui che dopo lo scetticismo iniziale comincia davvero a credere nel suo ruolo sadico. Ecco il capufficio vessatore che accoglie la notizia del suicidio di una sua dipendente come un fastidioso inconveniente. Ecco due donne anziane che si scoprono omicide (e “naturalmente” razziste): la prima ha avvelenato il marito, la seconda vorrebbe fare lo stesso con il genero. Infine la caserma dei pompieri, con il nonnismo nei confronti del più giovane e il vigile del fuoco che colleziona fotografie delle vittime sventrate e smembrate. E alla fine scopriremo come il marito cornuto abbia riempito di gas l’appartamento dove stavano la moglie e il suo amante.
Tutto raccontato sempre con il brio e la leggerezza di una commedia brillante, con il tono di uno sketch televisivo. Ma quella di Terrorism è sempre un’ironia con duplici risvolti: da un lato sancisce la banalità dell’orrore, la sua inevitabile presenza; dall’altro lo sdrammatizza e lo relativizza, producendo l’unico anticorpo possibile: la consapevolezza che la violenza è un virus contagioso e pericoloso. Penetra nelle nostre relazioni sessuali, sentimentali, famigliari, lavorative… Può trasformare ciascuno di noi in un assassino, in un omicida. Devasta i nostri criteri estetici. Anche perché il male ha una sua bellezza, come spiega ai suoi giovani colleghi l’ufficiale dei vigili dei fuoco – il personaggio che per età ed esperienza è più consapevole dei meccanismi della violenza.

QUINTO UOMO Sì! Guarda che bella! (prende la foto dal PRIMO UOMO) Eh? Se non fosse stata così bella, non l’avresti fotografata. Chi guarda queste immagini, ci vede la bellezza, non ci vede l’orrore. E così ce ne andiamo tutti quanti in giro per il mondo a trasformare questa bellezza in realtà. In questo modo veniamo tutti infettati. Perché, dopo tutto, il problema non è quante persone muoiono, in questa violenza – le esplosioni, gli omicidi, il terrorismo… E’ qualcosa di diverso, che fa ancora più paura – è l’inizio di una reazione a catena. Siamo stati tutti infettati. Tutti. Gli innocenti vengono ammazzati – così anche gli innocenti vengono infettati e i pacificatori si occupano di distribuire altra violenza con lo zelo dei neofiti. E nessuno vuole fermarsi. Nessuno! Ma tutti questi piccoli pensieri, non stanno né qui né là. E’ persino buffo, sono talmente banali… Però, la tua idea è pericolosa, quelle foto… una mostra… sono come le valigie vuote sulla pista dell’aeroporto. Tutti le studiano, le analizzano – ma non esplodono subito, qui, esplodono dopo, in ciascuno di noi, nelle nostre vite, e in maniere sempre diverse. Come?… Perché oggi è così facile – un mio amico mi ha raccontato una storia, che una notte ha buttato il suo vecchio cane giù dal balcone… così è più semplice, la mattina dopo gli spazzini puliranno, nessuna scocciatura, l’hanno già buttato via, è solo un vecchio cane. Orribile, vero? Ve lo sto raccontando perché è l’esempio di qualcosa di terribile… Insomma, non so se mi capite, adesso ve ne andate chissà dove e raccontate agli amici che c’è questo colonnello che ha un amico sadico, e gli spiegate quello che ha fatto al cane, e loro lo raccontano ai loro amici, e finalmente qualcuno capisce, insomma, è una soluzione pratica – non si paga una lira per eliminarlo – giù dal balcone e basta! E se nessuno gliel’avesse detto, ci sarebbe arrivato da solo? O magari pensa, beh, c’è già qualcuno che l’ha fatto, allora perché non posso farlo anch’io…

Terrorism
di Vladimir e Oleg Presnyakov
Traduzione di Sasha Dugdale
Regia di Ramin Gray
Scene di Hildegard Bechtler
Londra, Royal Court Theatre

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