Raccontare non è recitare

Un mail durante le prove di Storie mandaliche

Pubblicato il 18/08/2003 / di / ateatro n. 056

ciao Andrea e ciao a tutti
Ultimamente ho assistito a diverse «narrazioni» che mi hanno dato molto da riflettere su come affrontare la nostra Narrazione. Ho visto Giuliano Scabia, Massimo Schuster che raccontava il Mahabarata (si scrive così?), Paolo Panaro che raccontava il Cunto Napoletano, Judith e Hanon del Living che raccontavano la loro storia e leggevano poesie, e poi Assemblea Teatro a Torino che raccontava Il deserto dei Tartari in una antica rocca e ci metterei anche Cesar Brie che raccontava la vita e la morte di un suo amico. E poi mi tornano in mente tutte le diverse fasi di Marco Paolini che ho visto nascere e crescere quando ancora non era nessuno.
Bene… di tutte queste narrazioni quelle che funzionano di più, che riescono a toccare il cuore e il cervello degli spettatori, sono quelle meno teatrali, oppure i momenti meno «costruiti» degli spettacoli teatrali (ad eccezione di Vajont che meriterebbe un discorso a parte).
Mi ha molto colpito una riflessione di Giuliano Scabia sul silenzio e sulla necessità di riascoltare la voce naturale: che in effetti ha molto funzionato in tutti i suddetti spettacoli che erano tutti senza microfono (anche in condizioni che sembravano impossibili come la Rocca di Fenestrelle).
Infatti vorrei davvero capire come usare il meno possibile (o meglio: con reale motivazione) il microfono. Mi ha molto colpito una affermazione della Judith-Living che diceva più o meno che «il teatro è una particolare situazione di incontro tra persone che non può essere sprecata: a teatro bisogna dire cose importanti e urgenti». E allora cosa ho di così importante e urgente da dire con le nostre Storie mandaliche?
E’ stata interessante anche una piccola chiacchierata che ho fatto con Massimo Schuster mentre cercava di «fare memoria» del testo riscritto del Mahabarata… e certe parole non c’era verso di farle entrare… certe frasi così buone sulla carta che non giravano nella sua testa… E poi quando l’ho visto raccontare ho notato che in effetti era più incisivo quando esitava, come quando si cercano le parole giuste per dire, o quando usava un ritmo (il vecchio trucco dei contastorie siciliani)… quando era meno teatrale.
Come è stato utile vedere Paolo Panaro che solo grazie al napoletano è riuscito a passare la cortina del racconto-scritto pur portandosi dietro il problema di dover rispettare “uno stile teatrale” che secondo me non ha fatto esplodere tutta la ricchezza contenuta in quel racconto (nonostante la sua bravura di attore).
Ma come spesso dico: raccontare non è recitare. Spesso gli attori non sono buoni narratori. Io confido nel fatto di NON voler fare l’attore. Non ho mai voluto farlo e meno che mai dopo averne apprese le tecniche da attori importanti come Marisa Fabbri, Jerzy Stuhr, Ciezlack (è sicuramente scritto sbagliato) ecc ecc
Confido nel fatto di riuscire a trovare delle motivazioni «sincere e urgenti» che vanno oltre e nascono prima del fare «un bel tecno-spettacolo». Confido nel fatto di NON riuscire ad avere una buona memoria del testo: il che mi mette in una condizione di rischio molto vitale. Penso che saranno solo le parole davvero necessarie che mi rimarranno in testa e «nel corpo».
Inoltre mi faccio forza delle mie esperienze passate. Quando nell’agosto del 1977 mi rinchiusi per una settimana in una casa di campagna e feci il Cantastorie di Il Prigioniero triste da cui in seguito nacque tutta la mia vicenda di «professionista» del teatro. E poi ancora l’esperienza di Hansel e Gretel: nato in tre giorni, seguendo esigenze sostanzialmente ignorate da tutti i teatranti e proprio in un momento di totale rifiuto del teatro, e che poi è cresciuto in ormai centinaia di repliche ed evoluto in diverse esperienze. E per ultima l’esperienza con Renzo Boldrini per fare dgHamelin.com. Una continua «battaglia» per eliminare qualsiasi «trucco teatrale o attoriale» dalla narrazione di Renzo. Una battaglia alla fine vinta e che permette a Renzo di guardare gli spettatori negli occhi, di seguirne gli umori e anche di poter improvvisare.
… Questi i pensieri con cui mi accingo a fare Storie mandaliche… tutto il resto sarà lavoro con «divertimento»… sarà alla fine solo quello che riesco a «fare con naturalezza e sincerità» quello che resterà… tutto il resto sarà per un’altra volta…
salutoni
giac

Giacomo_Verde

2003-08-18T00:00:00




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