L’ETI oggi: un ente inutile?

da Retroscena: il sistema teatrale italiano nell'era Berlusconi in "Hystrio" 1/2004

Pubblicato il 13/01/2004 / di / ateatro n. 062

Tutti sapete che, ma non guasta ricordare, nel 1942 viene costituito l’Ente Teatrale Italiano per la cultura popolare, con lo scopo di promuovere ´l’incremento delle attività teatrali e di pubblico spettacolo nel quadro delle direttive fissate dal Ministero della Cultura Popolareª. Dal dopoguerra e fino ai primi anni Settanta arriva a gestire fino a 180 sale, acquisisce la proprietà dei teatri della Pergola a Firenze, e del Valle di Roma, dove opera con gestione diretta anche al Teatro Quirino, come a Bologna, al Duse. Significativa la sua presenza anche a Napoli, con il San Ferdinando e a Bari, con il Piccinni. Le trasformazioni del sistema teatrale italiano negli anni Settanta danno uno scossone anche all’ente: l’azione crescente e congiunta di compagnie, soprattutto cooperative e enti locali (che spesso riprendono la gestione diretta delle sale), la nascita dei circuiti teatrali territoriali, le prime decise politiche regionali a sostegno del settore, determinano una crescita vertiginosa dell’attività, mettendo in crisi la stessa funzione dell’Eti, che rischia di finire fra i cosiddetti “enti inutili”. Ma, mentre tutto il teatro italiano si aspettava una legge organica per il settore (prevista entro il 1979 con decreto), ´nel 1978 il legislatore – citiamo dal sito ufficiale dell’Eti – prendendo atto del radicale cambiamento del teatro italiano, con la Legge n. 836 del 14.12.1978 riforma l’Ente, con lo scopo di “promuovere nel quadro delle direttive emanate dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo, l’incremento e la diffusione delle attività teatrali e di pubblico spettacolo nel territorio nazionale e all’estero”‘. Cosa cambia? Non si chiede più all’Eti di gestire direttamente i teatri (fatta eccezione per quelli di proprietà e in uso), ma di svolgere una funzione di “coordinamento” della distribuzione e soprattutto di operare in collaborazione con i circuiti regionali; inoltre di ´svolgere attività di promozione, programmazione e, ove occorra, gestione diretta dei teatri nel Mezzogiorno e nelle isole’; e ancora scambi con l’estero e documentazione. Le forze nuove del teatro italiano sono consapevoli che i compiti individuati sono quanto meno vaghi, ma prevale la convinzione che si definiranno in corso d’opera, anche perché la riforma prevede ´un consiglio di amministrazione composto da 21 membri nominati dal Ministro del Turismo e dello Spettacolo e si configura come un vero “parlamento del teatro nazionale”, in cui siedono rappresentati degli enti fondatori, delle categorie teatrali, dei sindacati, delle regioni’. Insomma si pensa di praticare con successo quello che allora si chiamava “entrismo”, e pochi anni dopo “pratica consociativa”. L’Ente opererà adeguando un po’ i metodi, l’attività distributiva resterà di fatto prevalente, ma attuata attraverso forme di convenzione con enti locali e circuiti, e la scelta delle compagnie si adeguerà quel tanto necessario. Ma è proprio l’impostazione “rappresentativa” che porterà al commissariamento.

Dal commissario straordinario a un “golpe” legalizzato
´Nel 1993 – leggiamo ancora nel sito Eti – a seguito dell’abrogazione, attraverso referendum, della legge istitutiva del Ministero del Turismo e dello Spettacolo (Decreto Presidenziale n. 175 del 5.6.1993) le funzioni del soppresso Ministero vengono trasferite in parte alle Regioni, in parte alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. (…) Vengono sciolti gli organi statutari dell’Ente e nominato un commissario straordinario’. Il Decreto n. 394, infatti, considera incompatibile l’appartenenza agli organi dell’Ente un’attività professionale che pregiudichi l’imparzialità. L’Eti commissariato, paradossalmente, riesce in qualche misura a voltare pagina, naturalmente sempre come braccio esecutivo del ministero. Con la presidenza di Renzo Tian e la direzione di Giovanna Marinelli l’attività, che già negli anni a cavallo fra la fine degli anni Ottanta e primi Novanta aveva dimostrato segni di una sensibilità nuova, si sposta più decisamente verso la promozione, ovvero il sostegno della aree “deboli” (ricerca, ragazzi, drammaturgia), progetti speciali per il Sud, rapporti internazionali, progetti speciali di formazione, protocolli di intesa e altro. La programmazione delle sale resta tuttavia l’impegno prevalente in termini di bilancio, anche se innovazioni sostanziali possono essere colte nella gestione della Pergola e del Valle, ad esempio. » certo che l’Eti torna a essere un punto di riferimento del sistema e della sua evoluzione. Negli anni del centro sinistra (cioè dal 1996 alla primavera del 2001) il mondo teatrale nel suo complesso, a partire dalla necessità di chiudere una gestione “commissariata” che durava ormai da troppi anni, si aspettava una riforma generale dell’Eti, in collegamento con la revisione delle competenze fra Stato e Regioni e i nuovi assetti normativi attesi per il settore. Sull’Eti del resto avevano puntato molto i ministri Veltroni e Melandri, tanto che il progetto legge di ispirazione governativa sul teatro di prosa (approvato nel ‘99 dalla Camera), ne prevedeva (contro il parere negativo di quasi tutto il teatro italiano, e forse anche contro il buon senso), l’autorevole trasformazione in un organismo cardine dell’ordinamento ipotizzato: il Centro Nazionale per il Teatro. Ma le cose sono andate in modo molto diverso. Il primo atto del governo Berlusconi è la nomina a commissario di un “mito” del teatro italiano, l’impresario Lucio Ardenzi (scomparso dopo pochi mesi): l’autorevolezza del personaggio è fuori discussione, ma la scelta rappresenta una presa di distanza molto forte rispetto alle linee degli ultimi anni. Ma soprattutto, l’istituzione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, che esercita vigilanza sull’ente, consente per decreto l’approvazione di un nuovo statuto, che si verificherà nel marzo 2002. Il nuovo governo esercita una facoltà cui il precedente aveva rinunciato in previsione della futura legge. Un po’ come nel ‘78, la storia si ripete: quando ci si aspetta un disegno normativo organico, che guarda caso dovrebbe rafforzare il ruolo delle regioni, l’Eti viene riformato (e tutto il resto può attendere). E questa volta cosa resta e cosa cambia? L’unica sostanziale novità sembrerebbe l’allargamento al settore della danza, nella definizione delle funzioni; appare però anche il termine “tradizione”, e con toni un po’ troppo espliciti per un articolo generale, l’indicazione di accordi con le emittenti televisive. Resta naturalmente confermata la funzione di braccio esecutivo del ministero, anzi, è rafforzata. Le innovazioni più significative riguardano infatti le modalità operative e la composizione del consiglio di amministrazione, tutto scelto dal Ministero, che dura in carica tre anni, è composto dal presidente e quattro membri, ´individuati tra personalità di elevata professionalità, con particolare riguardo ai settori di attività dell’Ente e con comprovate capacità organizzative e amministrative’ e ´eventuali interessi personali e diretti relativi allo svolgimento di attività imprenditoriali ed artistiche nell’ambito del teatro e della danza costituiscono elemento di incompatibilità con le funzioni di consigliere’ (art. 11 dello statuto). Forse perché il passaggio da 21 a 4 oltre al presidente (e tutti nominati dal Ministero) è davvero repentino, si sente la necessità di affiancare due organismi allargati consultivi: una Consulta territoriale e una Consulta tecnico-artistica (art. 13). Da un lato si conferma l’esclusione della gestione “attiva” dei settori interessati, dall’altro se ne prevede la consultazione anche ´per supportare l’attività di osservatorio dell’ente stesso’. Questi organismi sono impossibili da comporre se non in termini verticistici. Potremmo sbagliarci, ma su questo punto crediamo che la nuova gestione dell’Eti sia (forzatamente ma comunque) inadempiente: sul sito non troviamo traccia della formazione e composizione di queste “consulte”, se non con riferimento a una “commissione danza”, intesa come parte di quella “tecnico artistica” (che ha in effetti collaborato a progettare i primi passi dell’Ente a favore di questa disciplina). Sappiamo che anche al teatro “di innovazione” è stato chiesto di mandare propri rappresentanti per collaborare a gestire i primi interventi concreti per il settore, e che l’associazione ha optato per indicare degli esperti (che hanno in effetti collaborato a dividere una torta molto magra). E’ ormai passato un anno e mezzo dalla “riforma” e dovremmo essere in grado di dare le prime informazioni e valutazioni dell’operato dell’Ente, presieduto da Domenico Galdieri (operatore di vasta esperienza e competenza, attivo in particolare nell’area dell’impresariato privato, come il suo predecessore), affiancato da 4 consiglieri e da un direttore generale, Angela Spocci, precedentemente del tutto estranea agli ambienti operativi del teatro di prosa. Difficile però cogliere vere e proprie linee programmatiche (solo convinte perorazioni sulla funzione delle “belle arti” nel mondo). Del resto non potrebbe forse essere diversamente, visto che l’ente si trova di fronte ai brillanti ossimori del ministro Urbani: ´valorizzare la tutela delle tradizioni teatrali nazionali, popolari e locali, promuovendo il rinnovamento dei linguaggi artistici, la valorizzazione delle lingue dialettali e l’interdisciplinarietà delle arti’).

Contributi ordinari davvero straordinari
E’ d’obbligo riferire di una situazione finanziaria molto grave che sarebbe dovuta ad un errore nelle scritture di bilancio delle precedenti gestioni (gli abbonamenti dei teatri sarebbero stati imputati secondo criteri “di cassa”, anziché “di competenza”) e all’incidenza del costo del personale. Non entriamo nel merito se non ricordando che l’Eti ha percepito i seguenti contributi: 2001 – Contributi ordinari: 9.037.995,73 euro. 2002 – Contributi ordinari: 10.296.224,00 euro (con un incremento pari al 13,9%), oltre a contributi “extra Fus” (finalizzati) di 2.817.211,00 euro. 2003 – Contributi ordinari 9.474.000,00 euro (questo non significa che i contributi siano stati ridotti, perché non si può ancora risalire agli straordinari Fus e extra Fus per l’anno in corso). A nostro parere questa dotazione è molto alta rispetto all’attività che l’Ente sviluppa, e che sta anzi riducendo; il problema contabile sollevato dovrebbe essere noto da un po’ (perlomeno dalla chiusura di bilancio dell’esercizio 2001), e la soluzione non può passare attraverso eventuali incrementi contributivi, ma da una revisione generale della gestione (come farebbe doverosamente qualunque privato), se non si vuole rischiare di tamponare la falla per ripresentarla al prossimo cambio di governo, o di direzione. Dal punto di vista dei teatri direttamente gestiti, si è potenziata ´la permanenza di alcune fra le più importanti compagnie di tradizione (al Quirino si è ottenuto un incremento del pubblico e degli incassi del 27%)’ (Galdieri sul “Giornale dello Spettacolo” del 14/11/2003). Il Valle non ha visto confermata la linea fortemente innovativa impressa da Tian-Marinelli e non ha trovato una sua strada (anche se si sottolinea l’importanza delle presenze internazionali): forse per questo il Teatro di Roma vorrebbe gestirlo (dichiarazioni di Albertazzi e Forlenza). ´L’attenzione alle compagnie di ricerca’ ha portato a una convenzione con il Teatro Vascello (stabile di innovazione): dove in effetti c’è di tutto di più, con, pare, risultati piuttosto soddisfacenti. Il sostegno alla danza è partito lentamente e in scala ridotta (programmazione in 9 località con 11 compagnie, che verranno alternate nei prossimi anni, oltre a gala inaugurale, presenze all’estero e ospitalità internazionali, sostegno a poche manifestazioni già esistenti). Gli interventi nel campo della formazione si sono spostati (come da indicazioni ministeriali), verso l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” (ma ci sembra di capire che risentono molto delle difficoltà finanziarie). Per quanto riguarda il sostegno all’innovazione, al teatro ragazzi, all’attività dei circuiti e ai diversi ambiti compatibili con le funzioni dell’ente, l’Eti ha emanato un documento Criteri per la concessione di contributi (anno 2003). I contenuti e i metodi illustrati nella prima parte (incluso il criterio del “bando”), potrebbero essere interessanti, in quanto orientati a una valutazione di specifici progetti. La seconda parte però, annulla i presupposti, indicando requisiti di ammissione che riproducono quasi alla lettera quello che già chiede il ministero ai soggetti in questione e configurando nella sostanza queste collaborazioni come finanziamenti aggiuntivi a quelli già assegnati.
In effetti riteniamo che, senza una propria progettualità autonoma, l’Eti non potrà recuperare una funzione originale e “utile” al sistema. Anche per quanto riguarda il Sud, non siamo stati in grado di individuare linee precise (da quando si è chiusa l’esperienza delle aree disagiate). Ma il vero problema è che l’entità del finanziamento che l’Eti destina a questi contributi è irrisoria e temiamo che non ci sia da stare allegri per il futuro (sempre che l’impostazione venga confermata). Non ci resta in conclusione che dare atto di una “voce” partita dall’interrogazione di un consigliere regionale della Toscana e che occupa molto i quotidiani fiorentini: le difficoltà finanziarie porterebbero a mettere in vendita il gioiello di famiglia, la Pergola. Per quanto smentita, la voce desta autentiche preoccupazioni perché, forse non a caso, una delle novità dello statuto riguarda proprio questa materia. Articolo 3, “Teatri di proprietà o in gestione dell’Ente”: ´I teatri attualmente di proprietà o in gestione dell’Ente potranno essere dal consiglio di amministrazione dell’Ente progressivamente dismessi (…)’. Non sappiamo se augurarci un intervento del Comune di Firenze e della Regione Toscana, o se questo vorrebbe solo dire scaricare sugli enti locali i costi dell’immobile, e di una gestione troppo costosa. Oppure se auspicare un passo indietro deciso, di 25 anni, e chiedersi se non sia il caso di valutare una per una con obbiettività le funzioni dell’Ente, come le assolve e quanto costano, se sono nazionali o locali, se altri potrebbero assumerle e così via, e, forse, arrivare alle conclusioni che è meglio rimettere in circolo mezzi e energie e sciogliere, con cinque lustri di ritardo, un ente “inutile” e forse anche dannoso.

Mimma_Gallina

2004-01-13T00:00:00




Tag: Ente Teatrale Italiano (38), ETI (40)


Scrivi un commento