Fornai, mercatanti, pompieri e attori

Una antologia preliminare per le Buone Pratiche

Pubblicato il 07/11/2005 / di / ateatro n. 090

Gustavo Modena (1836)
Perché al teatro sì e al fornaio no?
“E teatro qual è, il teatro perpetuo, di tutte le sere: il teatro distrazione, dopo la fatica diurna, ritrovo dei mercanti e degli sfaccendati, è un raduno di gente a veglia, che vale il bigliardo, il caffè, la birreria, il gioco, e nulla più. Tutti sanno rimestare la vecchia diceria, che i Governi debbono incoraggiare, sovvenire di denaro il teatro. Finoché resta quel che è, un commercio, una speculazione di mercatanti, anche quel po’ di dote che alcuni governi gli fanno è un’ingiustizia. Perché al teatro sì ed al fornaio no? Il teatro bottega deve andar del par coi mestieri che pagano patente. Il povero oggi n’è escluso; il povero che non ha il tempo e i denari d’apprendere sui libri doveri d’uomo e di cittadino. – E dovria il teatro tenergli luogo di scuola. – A chi consacrasi dunque la dote dei teatri? ai ricchi. – Quel locale meschino, quella povera luce di candela; quelle nicchie, ritiri di famiglia in uno adunamento della città; quelle separazioni di caste; quell’interesse privato che vegli alla porta e regola il morale dello spettacolo, ne sperdono la magìa: tutto sente di bottega; tutto rimpiccolisce gli animi; niente è solenne; niente è consentaneo allo scopo di formare un popolo. Quella lusca attrappita prudenza che crede riformare andando intorno colle force, ritagliando, puntellando, rincrostando il vecchio edifizio, non farà mai che il teatro non sia un insulso non so che tra la bottega e il bordello. – Per correggerlo bisogna bruciarlo. Bruciar le tavole, bruciarne il morale, bruciarne l’idea.” Gustavo Modena, Il teatro educatore, pubblicato su “l’Italiano”, foglio letterario edito a Parigi, il 31 ottobre 1836. Cfr. Discorsi e scritti di Gustavo Modena, Op. cit.

Paolo Grassi (1946)
Un servizio pubblico, alla stregia della metropolitana e dei vigili del fuoco
“…il teatro, per la sua intrinseca sostanza, è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività, … il teatro è il miglior strumento di elevazione spirituale e di educazione culturale a disposizione della società. Noi vorremmo che autorità e giunte comunali, partiti e artisti si formassero questa precisa coscienza del teatro, considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio, alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco, e che per questo preziosissimo pubblico servizio nato per la collettività, la collettività attuasse quei provvedimenti atti a strappare il teatro all’attuale disagio economico e al presente monopolio di un pubblico ristretto…”
Paolo Grassi, “Avanti!”, 25 aprile 1946

Luca Ronconi (2002)
Pensare all’esperienza scenica come ad un valore
“Se la nozione politico-sociale di teatro come servizio si è ormai fatta anacronistica e se ciononostante al palcoscenico compete il ruolo culturale e metaforico – mi ostino a credere nel nostro presente sempre più necessario ed insostituibile – di essere luogo di una conoscenza complessa e maturata attraverso l’esperienza, non si dovrebbe allora cominiciare a pensare all’esperienza scenica come ad un ‘valore’, e che proprio in quanto ‘valore’ il teatro andrebbe tutelato e sostenuto?”
Luca Ronconi, “la Repubblica”, marzo 2002

Stefano Rodotà (2005)
Non affidare tutto al mercato
“Sono convinto che una politica culturale serva, perché i poteri pubblici non si possono ritirare dal terreno della cultura. Spero che, indipendentemente dalle parti, tutti siano disposti a riflettere di più su questo punto. Altrimenti, andremo incontro a difficoltà notevoli. (…) Affidare tutto al mercato significherebbe condizionare e distorcere le scelte di chi opera professionalmente nella cultura. Credo, pertanto, nell’assoluta necessità di un’attenzione pubblica che accompagni l’opera dal momento in cui viene pensata fino a quello in cui viene distribuita ai suoi naturali fruitori”.
Stefano Rodotà, “Giornale dello spettacolo”, supplemento 2 al n. 654 25 maggio 2005

Alberto Arbasino (2005)
Ma poi chi tirerà fuori i soldi?
“Almeno a Roma, però, non sembra di attraversare un’attuale crisi economica, effettiva e pesante. Ogni mattina arrivano pacchi di inviti a un gran numero di ‘eventi’ che evidentemente forniscono redditi a un gran numero di addetti non a ‘lavori’, ma a ‘iniziative’ dietro cui operano parecchie persone. Mecenati? Parassiti? Volontari? Mercenari? Dilettanti? Addestratori di ‘clientes’ per millenari ‘circenses’ gratuiti dei romani estivi da tenere ‘boni, boni’? Ma chi tirerà poi fuori i soldi? Vespasiano? Domiziano? Massenzio? Prudenzio? La Divina Provvidenza? La propaganda Fide? Le agenzie? Le pizzerie? I volti noti testimonial? I fiduciari dei milionari? I battaglioni di cellulari? I cantanti per le ‘cause’? I passanti, gli utenti dei marciapiedi, gli acquirenti sui tappetini senza scontrini?”
Alberto Arbasino, “l’Espresso”, 25 agosto 2005

Pierluigi Battista (2005)
La libertà artistica e lo Stato erogatore
“Eppure, nessuno che si interroghi sui destini della libertà artistica in una cornice in cui l’arte e la cultura siano costrette a dipendere dal mecenatismo di Stato, stavota non più condizionato dai principeschi gusti di un sovrano o di un signore, ma dalla mutevole combinazione umorale di maggioranze politiche variabili e capricciose. Ignari dei richiami del Marc Fumaroli critico delle degenerazioni dello ‘Stato culturale’, gli artisti, i registi, i musicisti che spingono agli sportelli sempre più affollati dello Stato erogatore, in fondo sono sempre più disposti a riconoscere a Giuseppe Bottai il merito di aver approntato mirabili strumenti e leggi per la tutela dei beni culturali (compresa la munifica generosità di regime con cui venivano foraggiati gli artisti e gli intellettuali del tempo). Tendono tuttavia a sorvolare sulla non secondaria circostanza che la sensibilità per le cose del’arte e della cultura di matrice bottaiana traesse forza nel quadro di uno Stato autoritario che proprio della magnificenza delle arti faceva motivo di supremazia sulle altre nazioni aduse ad abbandonare artisti e poeti alla stretta tentacolare di un mercato senz’anima. Niente è gratuito, e lo Stato erogatore che fissa l’entità delle protezioni in denaro, al contempo esige un prezzo (di libertà) da parte di chi usufruisce dei suoi benefici.”
(Pierluigi Battista, “Corriere della Sera”, 17 ottobre 2005)

Redazione_ateatro

2005-11-07T00:00:00




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