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elektraZenSuite di Alessandro Brucini

Pubblicato il 04/05/2008 / di / ateatro n. 116

Seguendo il mito greco degli Atridi, Elettra era figlia di Agamennone e Clitennestra, sorella di Oreste e Ifigenia. A seguito della morte del padre per mano di Egisto e con il contributo della stessa Clitennestra, sua amante, Elettra incita Oreste a vendicare il padre e l’’intera stirpe. La figura di Elettra ha ispirato numerose opere letterarie, da Eschilo che vi dedicò l’Orestèa a Sofocle e Euripide. In tempi recenti poche sono state le rielaborazioni significative sul piano della ricerca e della sperimentazione teatrale, televisiva e cinematografica. Possiamo citare Massimo Castri, con Elettra di Euripide, Spoleto 1993; il Collettivo di Fabbrico con L’impossibilità di recitare Elettra oggi (ideato e diretto da Ròska, Dominique Isserman, Manrico Pavolettoni, Rai 1969 [dall’occupazione di un cinema a Fabbrico, Reggio Emilia, nel 1968 con l’intervento di Godard, del Living, di Volonté e altri]. Ancora, Tonino De Bernardi Elettra di Sofocle, Rai 3, Regione Piemonte 1987, con attori non professionisti. E infine l’ Orestea di Luca Ronconi, 1972. Naturalmente occorre ricordare anche il Pasolini di i>Appunti per un’Orestiade africana, 1975.

Si misura con l’Elettra mettendo insieme un proprio “centone” di riferimenti e citazioni letterarie il giovanissimo e talentuoso Alessandro Brucini, reduce da una lunghissima lista di riconoscimenti, premi e segnalazioni internazionali per il suo video elektraZenSuite. Videomaker e grafico multimediale, nel 2003 ha creato il progetto di produzione audiovisiva indipendente ALE. http://www.alenet.eu Tra i documentari video d’arte: Il Trionfo della Morte [2004]; Parlata con Adriano Sofri [2004]. Tra i lavori sperimentali: treeGreen [2006]; Geisha [2005]; Schätzungsraum [2005]. Fiction: Momento presente [2005]; Essere felici [2004].

elektraZenSuite è una versione emozionante e inquietante, sapientemente distillata, del concetto di revenge play/tragedia della vendetta che vede protagoniste, a discapito della trama originaria e del mito, le due donne, madre e figlia. Un video che già dal titolo racchiude insieme i pezzi di questa trama fatta a pezzi: lo zen, l’arte giapponese delle spade, i film wuxiaopian (genere di cappa e spada cinese), i sumurai del cinema di Kobayashi e Kurosawa e poi anche Silvia Plath, un po’ di Tarantino, un po’ di Lars von Trier (Medea televisiva). E soprattutto Carmelo Bene nel suo “classico del rifacimento” o del tradimento del testo, Hommelette for Hamlet da Laforgue, dove la regola principe era quella del prelievo e dell’innesto.

Il collage testuale di Brucini, che proviene da un ambito di studi legato al teatro e cinema, destruttura decisamente e senza indugi l’ordine originario e il plot per prevedere insert assolutamente spiazzanti dall’Amleto shakespeariano con monologhi “off” riferiti a Elettra, lei che come Amleto si trova al crocicchio della decisione capitale: uccidere o non uccidere? Brucini sembra impostare con Elettra infatti, proprio una trama shakespeariana al femminile, un monodramma, eliminando il superfluo ovvero le comparse, le didascalie e persino il coro greco in un’asciuttezza formale di ambienti in distruzione in cui si intravede già lo spettro della tragedia e in cui gli attori non recitano e non parlano, non vedono e non sentono ma pensano. Pensano all’azione di sangue che verrà immediatamente dopo: “Vorrà sangue, dicono, sangue vuol sangue” (Macbeth).

Le parti del testo che non sono rappresentate però non eliminano il tema: è un procedimento di sottrazione e di assemblaggio che emana da un nucleo nascosto, quel testo-sorgente da cui sgorgano liberamente visioni, parole, istantanee e corrispondono alla parte nascosta della psiche dei personaggi. Questi sono per lo più ripresi in primo o primissimo piano con velocissimi campi e controcampi ma anche attraverso continui ed lentissimi movimenti di macchina che li avvolgono imprigionandoli nei loro pensieri muti a sottolineare momenti di massima tensione. Belle quelle inquadrature con tagli davvero insoliti che accentuano l’espressività di ogni singolo gesto quasi rituale e il simbolismo dei pochi oggetti scenografici, di quel paesaggio-stato d’animo virato in rosso. Niente spazio per gli effetti speciali digitali che permetterebbero ai duellanti di volteggiare in aria. Il video è incorniciato con luminescenti bordi bianchi come una graphic novel d’artista di gusto giapponese; in questi momenti il passaggio dal video al libro illustrato produce ulteriori suggestioni e sollecitazioni.
La storia diventa un susseguirsi di duelli, di sguardi, di corpi che colpiscono e corpi che cadono; volti ricoperti di biacca che sanno di un teatro antico, di un teatro orientale (“Oriente culla del teatro”, diceva Artaud), un accavallarsi di nero, rosso e bianco elettronico (quello che troneggia anche nell’Amleto televisivo di Bene) che cancella (o sospende) l’azione ultima, il gesto omicida, un gesto forse non ineluttabile. L’irrappresentabilità dell’evento genera qua un togliere di scena, perché il teatro non è ripetizione della storia o del mito; il teatro attraverso il suo alter ego, il video – come Oreste ed Elettra – inverte la storia. Così lo studioso di teatro greco Fernando Mastropasqua:
“Se ripetere il gesto è ciò che avviene nell’ambito contiguo del rituale, in teatro il significato si rovescia: il gesto non viene compiuto per essere nuovamente confermato, ma per essere messo sotto giudizio, viene compiuto per essere negato. Il teatro è il luogo dove il gesto viene compiuto per essere rimosso”.

Qual è il punto di partenza per questo video, data la lontananza dalla trama eschilea e euripidea?

M’interessava porre in primo piano la figura femminile, i guerrieri-maschi fanno quello che le donne dicono loro di fare. E lo stesso Oreste, dopo aver eliminato l’usurpatore Egisto, non è in grado di portare a termine la vendetta sulla propria madre. È allora Elettra che prende con le proprie mani la spada e materializza lo scontro figlia/madre nel duello finale con katana. Questa è la vera eversione che ho immesso nella mia visione del mito d’Elettra, quasi a dispetto dell’attenzione che ho posto nel creare un collage [nel senso più nobile del termine] di testi di epoche e tradizioni differenti, che rispettasse il senso profondo della tragedia. La chiave di lettura zen, che si è calata, nel modo più naturale, su qualsiasi aspetto formale, e ha dato significato estetico alle vicende narrate, è stata un’intuizione progressiva. Voglio dire che, se le tinte fosche, elettroniche, e post-industriali del film, erano già nelle mie prime intenzioni, mano a mano che, in quel periodo, penetravo nella conoscenza [in vero ancora oggi alquanto superficiale…] della filosofia zen, restavo sempre più affascinato dall’essenzialità rigorosa di essa; allora instaurare un parallelo con la necessità che impera sul mito greco è stato semplice e consonante.

Come hanno risposto i Festival a un video sperimentale che non va nella direzione di un video-verità ma che si mantiene saldo nel binario della suggestione, dell’astrazione, dell’onirico senza alcun effetto speciale?

La mia sfida personale si è concretizzata nella volontà di confrontarsi con i festival per cinema breve e indipendente, dove in genere altri tipi di lavoro vengono proiettati. Ovvero parlare di tragedia greca antica, di filosofia zen, farlo con modi del cinema di sperimentazione, in un film senza dialoghi, e cercare di portare tutto ciò al pubblico più vasto possibile. Se i numeri mi danno ragione [a distanza di neanche due anni, circa 50 sono le selezioni ufficiali, una menzione, e sei premi vinti], è stata l’’opportunità di viaggiare, conoscere in prima persona tutta quella vitale realtà del cinema underground europeo, che mi rende felice d’aver realizzato elektraZenSuite.

Chi vuoi ricordare tra gli autori e tra le opere che citi direttamente e indirettamente?

Oltre all’Amleto di Carmelo Bene, L’intendente Sansho di Mizoguchi, i film di Kurosawa, e per i colori Sayat Nova di Paradzanov. Poi Silvia Plath, di lei mi sono innamorato a prima vista, l’ho scoperta in fase di sceneggiatura mentre cercavo le diverse “varianti” dell’Elettra. In particolare ho scelto quella poesia, anche in questo caso, per l’adiacenza cromatica [rosso che ri-emerge…], e perché molto funzionale per quello che narra, al fine della ri-costruzione del racconto.

Anna_Maria_Monteverdi

2008-05-04T00:00:00




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