BP2011 MATERIALI Postop

L'intervento alle BP e le linee programmatiche

Pubblicato il 22/02/2011 / di / ateatro n. #BP2011 , 132

L’intervento di Alessio Bergamo alle Buone Pratiche

Vi presento la mia pratica. Un anno e mezzo fa ho fondato con due ex mie allieve della Paolo Grassi, POSTOP che piuttosto che compagnia forse sarebbe più corretto definire “area”, un’area di artisti e organizzatori che condivide un determinato approccio produttivo e artistico. Il ragionamento dal quale siamo partiti è stato questo: non esiste più una produzione pubblica o privata alla quale si possa bussare alla porta. L’autoproduzione costringe chi la fa ad operare con criteri antieconomici, costringe a perdite consistenti o a risparmi indiscriminati, soprattutto sul lavoro e porta a risultati artistici per lo più di scarso valore. Inoltre anche quando si riesce nell’impresa, in genere, e a prescindere dalla qualità, il lavoro dell’indipendente non trova circuitazione si sfalda e muore dopo brevissima vita creando una terribile frustrazione. Stando così le cose ci siamo detti che si era arrivati ad un limite ultimo. Che fare a prezzi di enormi sacrifici uno spettacolo scarso per cercare invano di farlo girare era inutile. E abbiamo deciso di lavorare in maniera diversa.
Abbiamo individuato un aspetto per noi prioritario da un punto di vista artistico. Questo aspetto, per noi che veniamo da un’impostazione stanislavskiana, era il lavoro dell’attore, nella misura in cui è vivo, creativo, centrale, comunicativo; nella misura in cui passa dal ripetere, al ri-vivere; in cui la sua performance supera la riproduzione e diventa un avvenimento. Abbiamo quindi deciso di cercare delle condizioni in cui almeno questo aspetto del lavoro creativo potesse essere garantito. Così abbiamo rinunciato al concetto di spettacolo che si riproduce spostandosi uguale in posti diversi e ci siamo inventati la formula della POSTOP e cioè della POST-OPERA: un momento performativo in cui l’attore crea in improvvisazione davanti al pubblico senza eseguire una messa-in-scena preordinata. Ovviamente questa scelta, lo ripeto, l’abbiamo potuta fare sulla base di una determinata scuola, di un determinato approccio che ci permette di improvvisare rimanendo in rapporto di fedeltà con un progetto scenico alto, coerenti con un testo letterario, e che fa della mutevolezza della performance dell’attore un punto di forza e non un problema…. In termini produttivi abbiamo deciso di agire nella maniera seguente: insediarci per un periodo x su un territorio, lì vivere e lavorare e lì, in quello spazio e per quello spazio (spazio fisico e sociale, culturale) creare e mostrare il nostro lavoro. Quando il periodo di lavoro finisce l’esperienza deve considerarsi conclusa. Durante il periodo di lavoro ci comportiamo come una compagnia stabile (come pensiamo debba comportarsi una compagnia stabile), cioè non solo smerciando uno spettacolo, ma fornendo servizi culturali per il territorio. E cioè, in genere, viste le diverse competenze che riuniamo e vista la vocazione pedagogica della nostra scuola, facciamo corsi e laboratori per la gente del territorio, interagiamo con scuole, associazioni, ecc. Il primo anno c’è andata bene, abbiamo ricevuto 32.000 euro con un bando della provincia di Roma e abbiamo fatto un mese e mezzo di residenza nella valle del Tevere mostrando in spazi urbani di diversi paesi 12 POSTOP in improvvisazione tutte differenti l’una dall’altra, spesso incontrando spettatori che non avevano mai visto uno spettacolo teatrale – incontri meravigliosi, questi, e molto gratificanti -. La prima POSTOP l’abbiamo fatta dopo 11 giorni , le altre a seguire ogni due tre giorni. Ogni volta ci siamo rapportati all’incontro col pubblico come ad un momento di prova, di verifica del percorso in atto, momento che ovviamente incideva sullo stesso percorso. Abbiamo anche sviluppato un piccolissimo pubblico di spettatori itineranti che seguivano l’evolversi del progetto di paese in paese. Sull’esperienza abbiamo fatto un ipertesto che si può consultare cliccando su www.postop.altervista.org/book . Adesso siamo partiti con un nuovo progetto.
Ora, non so se questa la si possa definire una buona pratica, so che è l’unica che abbiamo potuto escogitare per non tradire noi stessi da un punto di vista artistico. Da un punto di vista economico è estremamente poco redditizia e, per me che ne sono l’animatore, lavorativamente molto onerosa. Ma ripeto, per il momento non volendo/potendo emigrare e non volendo smettere di far teatro questa è l’unica che mi sono potuto inventare e che salvaguarda la mia dignità e la mia fede artistica, e non mi sembra poco.
A conclusione di questo intervento voglio però dire una cosa su aspetti più complessivi. Il teatro italiano è in coma profondo. I teatranti sono per lo più impossibilitati a lavorare dignitosamente. Il sistema degli stabili si è trasformato in un’enclave che difende i suoi sempre più limitati privilegi. Attorno a questa enclave non esiste lavoro, non esistono garanzie sociali, mutualistiche, non esistono circuiti, quasi non esistono economie, quasi non esiste produzione. Permettetemi di rivolgere la vostra attenzione ad un semplice dato personale: contate mentalmente quanti sono gli attori o registi di vostra conoscenza che hanno figli. L’esiguità del loro numero è la conferma di una totale assenza di sistema lavoro. In questa situazione catastrofica la qualità artistica media dei lavori è spesso, amatoriale. Vorrei dire chiaramente ai dirigenti degli stabili (concordando con quanto detto da molti, oggi) che la difesa delle istituzioni che rappresentano ha senso solo se presentata all’interno della salvaguardia di un sistema, eventualmente in quanto difesa dell’eccellenza di un sistema (eccellenza che va comunque dimostrata e tutelata, anche in termini di virtuosità amministrativa). Ma perché l’eccellenza sia tale devono preoccuparsi che dietro di loro il sistema rispetto al quale eccellere esista, ci sia. In caso contrario la loro risulta essere la difesa vergognosa di privilegi inaccettabili, vista la condizione della maggior parte degli operatori teatrali. In questo caso si troveranno isolati e sempre più in balia dei ricatti dei politici, con l’anima venduta per un pugno di riso… che è sempre passibile di trasformarsi in un pugno di mosche, come sta regolarmente accadendo.
Dico in 30 secondi e con l’inevitabile rozzezza la cosa a cui più tengo. Per risollevare la situazione bisogna rifondare ex novo un sistema che deprecarizzi le istanze produttive e dia fiato all’iniziativa artistica di quelli che ora sono gli indipendenti. Queste figure sono schiacciate dal peso del continuo e caotico cercare finanziamenti sempre insufficienti tra mille fonti diverse (bandi, sponsorizzazioni, finanziamenti locali, centrali, europei, ecc.) . Questo sarà possibile solo cambiando maggioranza al governo del paese e indirizzo al governo della cultura. Peraltro la Di Biasi-Carlucci, spiace dirlo, va in una direzione errata e già sconfitta dalla realtà, oltre che da Tremonti, che è quella di rianimare il sistema attuale, cercando di garantire la ricchezza artistica con la complessità organizzativa e la molteplicità di istanze decisionali. Penso si debba andare nella direzione opposta. Penso che chiunque di noi si imbarcherebbe con molto più piacere in un avventura produttiva cercando di investire e crescere artisticamente ed economicamente su un territorio se gli fosse garantito uno spazio e un finanziamento parziale e un salario di sussistenza minimo, in cambio ovviamente di determinate prestazioni. Credo che bisognerebbe orientarsi verso la creazione di una rete di micro teatri stabili che affianchino quelli attuali: ciò garantirebbe investimenti e crescita artistica e culturale. L’effimero ha fatto il suo tempo, nella cultura, e ormai si delinea come principio, come forza definitivamente alternativa ad essa.

Le linee programmatiche di Postop

Postop, diretta da Alessio Bergamo, raccoglie artisti di teatro professionisti che, avendo preso atto di una serie di mutamenti mai enunciati ma ormai già in essere nel sistema produttivo teatrale italiano , intendono proporre una modalità di creazione che ha importanti elementi di novità, sia da un punto di vista artistico che organizzativo.

Postop organizza performance in continua evoluzione. Questo dato è inevitabile per il teatro eppure, curiosamente, il sistema produttivo si ostina a negarlo. Oggi più che mai, però, quest’ostinazione è insensata. Un regista che produce una partitura fatta per essere ripetuta e attori e tecnici che vanno a ripeterla in spazi e città diversi e davanti a pubblici differenti, sono un lascito di un sistema produttivo che prevedeva un pubblico orientato dalla critica e la possibilità di replicare lo spettacolo per molte volte e senza intervalli di tempo troppo lunghi. Questo mondo, di fatto, non esiste più. Postop considera controproducente e dannoso (per chi fa teatro, per chi ci va e per il lavoro che il teatro comporta) continuare a fingere di non accorgersene e ha deciso di abolire nelle sue produzioni lo spettacolo teatrale come oggi comunemente lo si intende. Postop, che si pone lo scopo di coltivare la compresenza viva e interconnessa di pubblico e artisti, assume quindi come dato programmatico che ogni sua performance sia differente dalla precedente.

Coerentemente con quest’impostazione Postop usa il tempo delle prove non per acquisire una partitura data che possa essere ripetuta, ma come un allenamento per abituare i suoi artisti a compiere azioni vive che si pongano in una relazione davvero presente con gli spettatori: pronti al racconto collettivo di una storia, ma ancorati a una relazione viva (e quindi mobile) col pubblico in sala.

In nome di questa poetica Postop predilige la musica dal vivo, costruisce un lighting variabile, mobile, non programmato per successione di quadri, e ha un rapporto con lo spazio che rifiuta la concezione tradizionale della scenografia in base alla quale si impianta uno proprio spazio precostruito in quello in cui si va a lavorare.

Postop, al contrario, parte dal dato (morfologico, ma anche storico) del luogo in cui viene ospitata e lo mette al servizio della performance. Usa il dato reale come trampolino di lancio per l’immaginazione.

Questo principio comporta che Postop lavori obbligatoriamente in luoghi che può “abitare” per il periodo delle prove e delle performance. Luoghi peraltro che non devono di necessità essere specificatamente destinati a teatro.

Postop produce per ogni periodo di prove una serie di performance originali: create e mostrate in e per quel luogo.

Questo nuovo tipo di “stanzialità temporanea” permette a Postop di instaurare un rapporto con la gente del quartiere, della cittadina, del paese, dell’istituzione ospite che si differenzia notevolmente da quello che può instaurare una compagnia tradizionale, che si limita a portarci uno spettacolo per una o anche più serate. Crea i presupposti per l’articolazione di un ventaglio di iniziative (formative, performative, ludiche…) che possono configurare una funzione culturale più ricca e complessa della presenza della compagnia in un luogo e dell’atto teatrale in sé.

Postop è viva dal 14 luglio 2009. L’hanno fatta nascere Alessio Bergamo, Francesca Cavallo e Flavia De Strasser.

Alessio_Bergamo,_Francesca_Cavallo_e_Flavia_De_Strasser

2011-02-22T00:00:00




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