BP2012 Ripartiamo dalla cultura attorica

Il giardino dei sentieri incrociati della tradizione teatrale

Pubblicato il 17/03/2012 / di / ateatro n. #BP2012 , 138

Umberto Orsini è Arturo Ui.

E’ difficile uscire dalle fasi in cui il teatro si avvalora a dismisura in senso spirituale, diventando più che teatro, un laboratorio in cui riversare istanze d’ogni tipo, esistenziali e politiche, come è stato dopo il ’68 e il ’77. Ormai siamo però in un’altra storia che in parte ci fugge ma soprattutto ci chiede di cambiare.
Sarebbe importante che ripensassimo all’ultimo mezzo secolo della nostra vita teatrale, incrociando tradizione e ricerca, due storie rimaste finora parallele e sostanzialmente non comunicanti. Ci sono giovani emiliano romagnoli che conoscono solo il teatro dei grandi gruppi della Romagna felix e ci sono giovani diplomati nelle scuole tradizionali che tendono a scambiare per nuove esperienze non più nuove o vengono attratti dalle sirene della politica come fossero vie salvifiche per il teatro; e ci siamo noi, non più giovani, che stentiamo ad allargare il pensiero. Penso pure che uno dei fenomeni citati nel documento di convocazione – Travaglio e Colombo che riempiono le sale – non costituisca novità; e che attori anche bravi – comici come di narrazione – dovrebbero ricordare la legge che si erano dati i Gobbi con Franca Valeri: la comicità eviti i riferimenti aneddotici all’attualità, fonti perenni di banalizzazione.
Le rotture teatrali degli anni Sessanta e Settanta si sono rivolte contro il sistema teatrale che ristagnava nella routine degli stabili ma non hanno considerato che in quella routine c’era anche un’energia buona. Basta leggersi le recensioni di De Monticelli per ritrovare gli attori e le attrici teatrali straordinari che hanno continuato a succedersi a partire dalla grande coppia Stoppa e Morelli, giù giù fino all’Arturo Ui di Orsini con i suoi momenti di poesia o alla freschezza di Mariangela Melato. I gruppi del Nuovo teatro hanno sentito la necessità di fare tabula rasa della tradizione italiana e hanno puntato soprattutto sull’originalità delle loro spesso strepitose visioni del teatro, talora perseguendo una radicale via autopedagogica. Ma i diversi percorsi portati avanti dal Teatro delle Albe o dall’Elfo, da Laura Curino o Danio Manfredini non sono per nulla improvvisati né accelerati: anni e anni di esperienze molteplici e accanite, di sudore e sperimentazioni, col testo e senza testo; mentre molti attori rivendicano di avere avuto dei maestri.
Mi ha detto il musicista Luigi Ceccarelli che se non si studia lo strumento almeno 10.000 ore non si è uno strumentista professionista. 10.000 ore, anche chi ha molto talento.
Un pensiero a Erland Josephson, che ci ha appena lasciato. Un maestro.

Laura_Mariani

2012-03-17T00:00:00




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