Il teatro? Comunicare emozioni, regalare un sorriso o una riflessione, aprire una finestra dentro di me

Voci dalla Biennale Teatro: Ersilia Lombardo

Pubblicato il 08/11/2012 / di / ateatro n. 140

Ersilia Lombardo, 35 anni, ha lavorato a lungo con la compagnia Sud Costa Occidentale, fondata e diretta da Emma Dante.

Qual è lo spettacolo che ti ha cambiato la vita?

Vita mia, senza dubbio. È stata la prima volta che andavo in scena. Questo spettacolo è stato il frutto di un percorso formativo insieme a Emma, durato circa due anni. Continuo tuttora a conservare il carico di emozioni che Vita mia mi ha dato: tutto ciò che riuscivo a trasmettere al pubblico di rimando arrivava a me. Nello spettacolo si parlava di una cosa molto delicata come l’elaborazione, da parte di una madre, del lutto di uno dei propri figli. Abbiamo raccontato il dolore di questa donna, che si rifiutava di accettare la realtà, per paura di soffrire troppo. Una storia che parlava di morte era diventata un inno alla vita. Grazie all’eccellente regia e all’amore che tutti noi avevamo per questo spettacolo e per il nostro lavoro, siamo riusciti a far sorridere e piangere gli spettatori. Il pubblico veniva invitato a partecipare a questa specie di veglia funebre, dove il letto era il fulcro di tutta la vicenda. Non so se farò mai più un ruolo come quello che allora Emma mi ha regalato con grande fiducia. È stato bello arrivare alle relazioni fra i personaggi, al diverso approccio che io costruivo con i tre figli.
Degli spettacoli che ho visto, invece, quello che mi ha cambiato la vita è stato mPalermu: uscita dalla sala, ho deciso quello che volevo fare nella vita.

Costi e ricavi: un bilancio del laboratorio veneziano.

Ancora è un po’ presto per fare un bilancio, sono al terzo giorno di laboratorio. Sicuramente le spese sono legate alla città, al fatto di doversi mantenere a Venezia per una settimana, ma il laboratorio ha davvero un costo irrisorio. I ricavi quindi non li conosco ancora, ma posso dire quali sono le mie aspettative. Ho scelto di lavorare con Gabriela Carrizo di Peeping Tom perché ho visto i video di alcuni suoi lavori e mi hanno molto colpito, mi piace la poetica del gruppo. Poi c’è da dire anche che sento di non avere una grande consapevolezza del mio corpo; con Emma ci abbiamo lavorato tanto ma questo mi sembra un percorso diverso, assolutamente nuovo per me. So che devo studiare per tutta la vita per fare questo mestiere. Il laboratorio è interessante, lei è fantastica, è bellissimo il modo in cui cerca di tirar fuori tutte le nostre forze e tutti i nostri limiti. Si lavora in un’atmosfera di totale serenità, non c’è giusto o sbagliato: Gabriela fa delle proposte e ognuno di noi, con il proprio corpo e con le proprie emozioni, va alla ricerca di qualcosa. Sono molto contenta, perché è proprio questo che sono venuta a fare qui: a cercare, a provare, a provarmi e a mettermi come sempre in discussione. Sto facendo molte riflessioni sulla mia vita e sul mio lavoro… al momento sono in corso d’opera.

Che senso ha fare teatro in questi tempi di crisi?

Bella domanda, che senso ha? Non so cosa ancora cosa mi spinge a perseguire su questa strada. Molte volte mi sono chiesta perché. I sacrifici sono tantissimi. Forse il motivo risiede unicamente nella possibilità di comunicare delle emozioni, di regalare un sorriso o una riflessione a chi mi guarda, e di aprire, ogni volta, una finestra dentro di me. Mi rendo conto che è una visione molto romantica del mio mestiere, ma è l’unico motore. Continuerò finché ne avrò la forza. Ora lavoro con Andrea Baracco a Roma, stiamo facendo il Giulio Cesare e io vesto le parti della moglie Calpurnia. Siamo appena tornati dalla Spagna, reduci dalla vittoria di un concorso internazionale. Ho affrontato un altro tipo di studio rispetto a quello a cui ero abituata: mi sono misurata con Shakespeare e ora sono qui a fare danza. Cerco di esplorare e sperimentare sempre. Adesso sto lavorando a uno spettacolo mio, un monologo scritto per un uomo, che dovrebbe debuttare a gennaio, a Palermo. Che altro dire? Mi piacerebbe poter vivere di questo mestiere perché ho sacrificato tante altre cose della mia vita, ho messo il lavoro al primo posto e allora sarebbe bello avere un riconoscimento, ma anche semplicemente avere delle tutele, un’indennità come artista. In Italia, invece, siamo veramente messi male: noi attori non esistiamo proprio come classe sociale, lavorativa. Siamo una società addormentata, dove la cultura è in declino e non si valorizzano i tentativi di andare avanti. Quindi, la motivazione che mi spinge a fare teatro in tempi di crisi, la trovo solo dentro di me.

Giada_Russo

2012-11-08T00:00:00




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