#bp2013 Sei proposte semplici da un conservatore

Lettera aperta a Mimma Gallina dopo l'incontro dell'8 aprile

Pubblicato il 23/04/2013 / di / ateatro n. #BP2013_Milano , 143

Cara Mimma, ti invio queste poche righe di riflessione sull’incontro del giorno 8 aprile scorso.

Premesso che trovo sempre  encomiabile il vostro sforzo di dare al settore qualche elemento di riflessione che ci rammenti anche quanto la nostra missione debba essere alta e allo stesso tempo non possa svolgersi al di fuori delle regole dell’economia, devo purtroppo constatare quanto la crisi dell’intero sistema abbia creato ulteriori, inutili, divisioni.
Trovo infatti, oggi più che in passato, allarmante il fatto che a un incontro imperniato sul teatro pubblico, di quell’area non fosse presente alcuno. Mi chiedo se ai tempi di Strehler questo sarebbe accaduto. Forse perchè i teatri pubblici non sono più diretti da artisti, ma per la maggior parte da managers, come noi, che non hanno, per successive stratificazioni corporative, alcun interesse a confrontarsi con le altre componenti del teatro italiano?
Sull’altro versante, quello del nuovo che avanza (ma è poi veramente un avanzamento?), troviamo da una parte il Teatro Valle e dall’altra le residenze, molto sostenute da soggetti “esterni” alle vere dinamiche teatrali: le fondazioni come Cariplo e alcuni, fintamente, problematici artisti come Paravidino (lo cito perché è intervenuto), che criticano il sistema come privo di radici democratiche per poi incistarvisi completamente, ora come autori, ora come scritturati di quegli stessi Teatri Stabili che criticano, con innegabile abilità di sberleffo.
Per ritornare, alla fine del giro, a un conclusivo esame del nulla estetico/politico espresso dal rappresentante del Teatro Valle, mi preme considerare che forse è giunto il momento di uscire allo scoperto e avere la forza di affermare che poco o nulla è stato rappresentato, dal punto di vista del “Servizio teatrale” da quell’esperienza che, si, con uno slancio di vigoroso idealismo, aveva rappresentato una reazione al pantano della politica romana.
Il mio giudizio è però che quest’esperienza sia appassita senza produrre nulla e si sia incistata a sua volta nel privilegio di chi non paga nulla, nulla producendo, e che in nulla rispetta le leggi, le disposizioni, non tutela né difende i lavoratori, la loro sicurezza, il loro futuro, insomma, grazie ancora solo all’inerzia della politica che non ha neanche la decenza di ammettere di aver creato un mostro pernicioso, di aver consentito che “il bene comune è mio e me lo gestisco come mi pare, e state attenti a non voler sapere troppo…” I meccanismi di controllo sono epifenomeni della democrazia e retaggi del passato.

Insomma, siamo al punto zero. In verità temo nessuno di noi abbia risposte convincenti su:

# come tirare fuori normativamente e in via regolamentare tutto il  sistema teatrale; con disposizioni, semplici, elementari e economicamente sostenibili, che devono essere in via esclusiva proprie del mestiere del teatrante e della sua Impresa che è comunque impresa culturale e sociale allo stesso tempo ;
# quale debba essere l’atto di fede della politica nei confronti di quanto è rimasto da salvare, nel tempo del crollo del sostegno che ci è stato sin qui concesso. Sono convinto che siamo solo all’inizio del ruzzolamento del contributo pubblico. Non vorrei essere profeta di sventura, ma vogliamo scommettere che nel giro di 5 anni potremmo andare al 50% di tutto? L’atto di fede è dunque non necessario, ma indispensabile, perché deve difendere uno dei collanti estetici della Nazione e lo deve fare con scelte che sin qui ci si è rifiutati di fare;
# Come prendere coscienza che il nostro lavoro sia un mercato come tutti gli altri, regolato da domanda e offerta, ma che si rifiuta cocciutamente di accettare  questa banale,  terribile verità. Il risultato è che nessuno, se non qualche pazzo che è stato prontamente messo a tacere, ha saputo sviluppare la seria proposizione di comprendere l’intreccio fra domanda culturale e sua sostenibilità economica, dal momento che la nostra vita è comunque regolata dall’ istituto del Contratto. A questo proposito trovo indecoroso e intriso di ebetudine,  l’attacco del rappresentante del Valle a Partite Iva (che sono state sempre tutelate previdenzialmente, ma forse lui non lo sa) e Diritto di Immagine.

Da dove ricominciare allora, cara Mimma?
E’ difficile dirlo e certo non sono certo io a poter avere certezze, che come tutte le certezze si rivelano fragili  e spesso inutili.
Qualche tentativo possiamo però farlo.
Fra questi: chiedere alla politica a alla pubblica amministrazione un grande patto a breve: altre che cianciare di Residenze.

Sei proposte semplici che mi vengono in mente mentre scrivo:

1.     a risorse fisse o in diminuzione, riconoscere rapporti convenzionali a una parte dei soggetti che in questi anni hanno rappresentato l’eccellenza virtuosa del sistema. La P.A. sa tutto di noi, sotto il profilo aziendale. Sa chi si comporta bene e chi male, sa chi ha una su collocazione nel mondo e chi prende pensioni occulte o vitalizi.
2. rafforzare l’area della distribuzione a scapito di una produzione ormai ipertrofica che maschera spesso solo lavoro precario per i giovani disoccupati, in modo da pilotare, attraverso adeguati atti di indirizzo, una selezione nella quale sarà lo spettatore a decidere e non, come avviene nel fallimentare attuale assetto, la politica o i nostri pesi e contrappesi;
3. smetterla con la retorica demagogica sui giovani che non hanno necessità di fare Impresa, ma che avrebbero invece estremo bisogno di imparare questo mestiere attraverso una sana quanto necessaria immissione  dei migliori nel sistema produttivo;
4. disincentivare – non so come – la nascita delle scuole di teatro, vere e proprie fabbriche dell’illusione e contenitori del lavoro degli “espulsi” dai normali processi produttivi;
5. vietare che il totale del denaro pubblico raccolto da ognuno di noi superi il 50% del totale del giro di affari. E’ inaccettabile che il padrone di qualsiasi realta teatrale sia la Repubblica Italiana. Bada bene: ho usato non a caso il termine Reubblica e non quello di Stato: è un problema concettuale;
6. defunzionalizzare i settori, poichè le funzioni dei vari soggetti aggregati,  sono state surrettiziamente usate in maniera corporativa da molti di noi, in primis dal cosiddetto “Teatro Pubblico”, che si affretta, appena se ne presenta l’occasione (Vedi elenco ISTAT) a dire che quelle norme – sbagliate e che affondano il paese – non li riguardano perché si scoprono improvvisamente di diritto privato, o più privati dei privati. Abbiamo diretto entrambi Teatri Pubblici, anche se io per poco insieme a Giulio Bosetti, e sappiamo di cosa parliamo: solo qualche passaggio in più, rispetto a una grande azienda privata gestita con oculatezza, trasparenza e correttezza e che risponda in maniera trasparente ai suoi soci.
L’unica strada è, a mio avviso, costituire, tre macro settori:  Produttori, Distributori / Esercenti e coloro che fanno entrambe le cose. Tutti su una stessa retta, valutati con minimi comuni denominatori che abbiano alla  base la “Valutazione della diffusione della culturale teatrale della Nazione” e che poi vengano valutati, nel quantum, con semplici criteri di “economia teatrale”, ognuno nel proprio ambito,  nelle grandezze e nei rapporti che lo contraddistinguono

Altro non saprei dirti e qui mi fermo in nome di quello che deve essere, questo si, il nostro bene comune, il Teatro Italiano.
Spero di non averti fatto perdere troppo tempo e ti saluto con affetto

Riccardo

Riccardo Pastorello

2013-04-23T00:00:00




Tag: teatro pubblico (17)


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