Dossier critico. Entusiasti, autoreferenziali, miopi, confusi

Una lettera aperta sulla critica e sui premi

Pubblicato il 07/01/2015 / di / ateatro n. 152

Caro Oliviero,
ho letto la tua risposta a Cordelli sulla critica teatrale in rete, la tua rivendicazione del diritto all’entusiasmo: se tu difettassi di entusiasmo certo non riusciresti a fare la mole enorme di lavoro di qualità che fai. Ho letto il dialogo fra Audino e Palazzi a proposito di Natale in casa Cupiello di Latella: non l’ho ancora visto ma penso che l’osservazione di Audino sull’opportunità che fosse presentato al teatro India sia convincente. Fa parte di un patto (che non contempla cortine di ferro) fra chi il teatro lo fa e chi lo va a vedere: perché provocare (e dunque allontanare) chi crede di andare a vedere il natale di Eduardo e non si aspetta di trovare il natale di Latella? Sono rimasta sorpresa di alcuni premi Ubu, non per gli artisti tutti notevoli, ma perché penso si debba premiare non l’artista in sé ma quello che ha fatto in quell’anno. La questione evidentemente non riguarda solo questo premio così importante per il nostro teatro ma i premi in generale, su cui ci sarebbe molto da dire. Questioni grandi che non mi sento di affrontare in tutta la loro portata, ma alcune cose desidero puntualizzarle: da storica che – in quanto tale – sulla rubrica Attori & attrici ateatro può concedersi il lusso di scegliere gli artisti di cui scrivere. Libertà non concessa alla critica teatrale.
Mi sento sollecitata dal tuo intervento e voglio festeggiare questo capodanno in dialogo con te, mentre aspetto gli esiti del sondaggio sulla critica teatrale che hai promosso.
Prima questione: la confusione dei ruoli. E’ stato importante che il critico teatrale si sporcasse le mani, non si limitasse a vedere il risultato finale, lo spettacolo, ma tenesse conto della cultura teatrale che c’è dietro. Ora la fase propulsiva di questa scoperta mi pare in larga misura esaurita mentre avanza l’aspetto negativo. Il critico talora è talmente dentro il processo che porta allo spettacolo, o meglio è talmente legato agli artisti che lo producono, che diventa assai arduo se non impossibile l’esercizio della distanza critica o la manifestazione del dissenso. Così, senza aiutare l’artista, si perde il contatto con il pubblico: il grande dimenticato di tanto teatro che continua a parlare di spettatore, cercando di coinvolgerlo in tutti i modi più che cogliendone i bisogni. I ruoli vanno ristabiliti e quello del critico è di natura professionale, richiede competenze e apertura ai teatri tutti.
On line si leggono molti scritti interessanti sugli spettacoli. Ma il soggettivismo talora dilaga producendo sovrainformazione sui gusti di chi scrive più che sullo spettacolo, e dello spettacolo offrendo immagini deformate. Un linguaggio esaltato, che risulterebbe eccessivo persino se venisse usato per la Divina Commedia. Si consiglia un esercizio di sobrietà: nella sostanza e non solo nella forma, perché non si tratta solo di eliminare qualche aggettivo (esercizio di per sé utile) ma di allargare l’orizzonte. Non si può vedere solo il teatro che ci è vicino. Viva dunque la critica in rete che non si limita a testimoniare di sé e del proprio ambiente.
La questione economica. Non conosco gli stipendi dei pochissimi che fanno critica sui quotidiani importanti né mi interessa saperlo perché non credo siano scandalosi. Mi sembra invece grave che la maggior parte della critica sulla stampa abbia carattere locale e non nazionale. Come se ne esce? Ma se piove non è solo colpa del governo!
Spesso invece di recensioni leggiamo interviste agli artisti sul loro spettacolo. Materiali utili, soprattutto se parlano del lavoro teatrale (come la tua bella intervista a Toni Servillo, che hai appena ripubblicato). Ma si tratta di testimonianze anche in questo caso, nemmeno l’intervista più interessante può sostituire la recensione. Gli artisti promuovono come è naturale il loro lavoro, non fanno pubblicamente esercizi critici sui loro spettacoli.
Nessuno è innocente. Sono una docente universitaria e penso che i professori abbiano svolto un grosso ruolo nelle vicende teatrali dell’ultimo cinquantennio: anche nel male. Dunque non mancano le ragioni di scontento, contraddette però da attori e attrici che, in tanta confusione, riescono ancora a sorprenderci quando stanno in scena. Ce ne sono di artisti che amano il pubblico: a loro soprattutto faccio gli auguri più sentiti di buon anno. E a te, carissimo, instancabile Oliviero.




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