Lucariello cum figuris

Ad Arezzo per il Festival dello Spettatore Natale in casa Cupiello di Luca Saccoia

Pubblicato il 07/10/2022 / di / ateatro n. 186

Quando il padre sul letto di morte gli chiede per l’ultima volta: «Tommasì, te piace ’o Presebbio?», Tommasino «superando il nodo di pianto che gli stringe la gola» – scrive Eduardo nella didascalia – «riesce solamente a pronunziare il sospirato monosillabo»: “Sì”.
Da quasi novant’anni, da quel 9 aprile 1934 in cui il terzo atto di Natale in casa Cupiello venne recitato per la prima volta a Milano (l’intera opera in tre atti sarà messa in scena solo il 21 dicembre 1936 a Napoli), la resa di Nennillo aggroviglia sentimenti contrastanti: pietà e commozione, condiscendenza compassionevole ai desideri paterni e adesione sincera ai suoi valori. Tirando uno di questi fili, Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia hanno immaginato che il ragazzo abbia finalmente pronunciato un «sì» convinto, assumendo da allora la tradizione del presepe come rito evocativo e come percorso di rinascita. Saccoia è in scena con sette pupazzi e cinque manovratori per tre atti rispettosi del testo originale ma giocati, grazie alle implicazioni e alle potenzialità del teatro di figura, su molteplici piani interpretativi e rappresentativi.

Natale in casa Cupiello (Foto Sabrina Cirillo)

L’intera messinscena è concepita dal regista Lello Serao come un presepe: il presepe che Tommasino allestisce per raccontare e rievocare il passato famigliare (ricorrente nei suoi sogni e incubi), ma che si presenta subito anche come un teatrino di ombre, oggetti e statuine, e insieme come uno spazio dai riverberi religiosi. Un Lucariello-Cristo (è il figlio Tommasino che sogna di essere il padre) è al centro del primo atto, sul letto-altare che testimonia la miseria della sua condizione. Le voci, tutte registrate da Saccoia, giungono ovattate, come appunto in una dimensione onirica. Il fondale è un retablo in cui compaiono figure dipinte e siparietti che si aprono sui vari personaggi: la moglie Concetta che prepara il caffè, Tommasino fannullone ancora nel suo lettino dipinto in verticale (siamo dentro il suo sogno), lo zio Pasqualino che denuncia la sparizione del suo unico paio di scarpe, la figlia Ninuccia infelice con il (benestante) marito Nicolino e innamorata dell’elegante (ma povero) Vittorio. Si potrebbe perfino riconoscere in quella parete multicolore e illuminata da luci intermittenti (proprio come un presepe) una iconostasi che divide la parte visibile della scena, quella rivolta agli spettatori-fedeli, da quella “in ombra” dove i manovratori officiano, nella segretezza delle tecniche di animazione, il rito della transustanziazione. Suggestioni che sorgono nello spettatore per la natura stessa della marionetta, per la sua inesauribile generosità nel farsi metafora.

Luca Saccoia in Natale in casa Cupiello (Foto Sabrina Cirillo)

Nel secondo atto le marionette sono manovrate a vista e l’attore dà voce viva a tutti i personaggi, caratterizzandoli e modulandoli sulle cadenze del napoletano, senza celare la propria presenza dietro il pupazzo, ma piuttosto doppiandolo, alternandosi al manovratore, giocando su prossemiche innaturali e relazioni fuori scala. Completa, anticipa, sostiene la gestualità obbligata dei pupazzi creati, come le strutture scenografiche, da Tiziano Fario. Si tratta di pupazzi che oltre alla testa possono muovere, per mezzo di stecchette, solo le braccia. Hanno il busto rigido e le gambe penzolanti. I movimenti dei manovratori (Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Lorenzo Ferrara, Oussama Lardjani, Angela Dionisia Severino e Irene Vecchia, che coordina la squadra) e quelli di Saccoia devono dunque disegnare una sorta di coreografia sghemba, sostenuta dal ritmo delle battute. Attore umano e attore non umano si confondono, mentre trucchi e meccanismi sono svelati, consegnati allo sguardo dello spettatore che non smette per questo di incantarsi. Attorno al tavolo da pranzo, sulle seggiole in miniatura, ruotano gli invitati in casa Cupiello e i loro movimenti vengono replicati nel teatrino d’ombre proiettate nella minuscola cucina sulla destra del palco. Quando Lucariello dispone sul tavolo le nuove statuine dei Re Magi, i piani rappresentativi si diversificano ulteriormente, in una fantasmagoria di proporzioni ed equilibri illusori.

Luca Saccoia in Natale in casa Cupiello (Foto Sabrina Cirillo)

Nel terzo atto l’impianto scenografico si trasforma ancora e dà forma a una sorta di abside sulle cui strutture geometriche siedono rigidi i manovratori recitando le varie parti. I pupazzi li osservano dall’alto, come ne manovrassero le intenzioni drammatiche, in un capovolgimento di ruoli concettualmente vertiginoso. Fra le braccia dell’angelo colorato che cala dall’alto, Tommasino, ormai diventato uomo, adagerà il corpo del padre, il suo cadavere-pupazzo, in una pietà di commovente precisione. L’ascensione del gruppo sull’aria di Tu scendi dalle stelle suonata dalle zampogne strappa al pubblico del Teatro Petrarca di Arezzo lunghi, calorosi applausi. Un pubblico attento, che prima dello spettacolo aveva partecipato a un incontro a cura di Giorgio Testa e Giuseppe Antelmo in cui erano state messe in luce le peculiarità di questa messinscena, ma anche la storia del capolavoro di Eduardo nella sua lunga elaborazione e nei suoi molti allestimenti, nonché i significati storici e popolari della tradizione del presepe nella cultura partenopea.
Lo spettacolo, infatti, è andato in scena nell’ambito del Festival dello Spettatore, l’originale e preziosa manifestazione, promossa dalla Rete Teatrale Aretina, che da sette anni organizza iniziative rivolte al pubblico, agli operatori, ai critici, agli artisti: convegni, seminari, workshop, spettacoli di nuova drammaturgia, giornate di studio, presentazioni, in luoghi diversi della città e del territorio, in un percorso che diventa anche di conoscenza e di scoperta dei luoghi di interesse storico e artistico. Intorno al tema del tempo, quest’anno il festival ha proposto tra l’altro anche un incontro con Umberto Galimberti sulle Figure del tempo; lo spettacolo Miss Lala al Circo Fernando di Marigia Maggipinto con la regia di Chiara Frigo; un laboratorio per operatori e un appuntamento nazionale dei gruppi di spettatori aderenti a progetti di formazione e coinvolgimento di tutta Italia «per condividere motivazioni, desideri, visioni»; un omaggio a Giacomo Verde, a due anni dalla scomparsa, con la presentazione del libro Giacomo Verde. Attraversamenti tra teatro e video di Anna Maria Monteverdi, Flavia Dalila D’Amico e Vincenzo Sansone; lo spettacolo I manoscritti non bruciano di Teatro Macondo, ovvero una riscrittura de Il Maestro e Margherita di Bulgakov andata in scena al Teatro Verdi di Monte San Savino, dove il pubblico è arrivato anche con il “Pullman dello spettatore” dopo aver partecipato nei giorni precedenti a un laboratorio per il pubblico e a un incontro con la compagnia. Curiosità, approfondimenti, condivisione: buone pratiche per far crescere una comunità di spettatori.




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