#BP2016 | Residenze come soggetto, istanza riformatrice e non funzione marginale, eccezione del sistema teatrale

Per riflettere, brevemente, sul ruolo presente delle Residenze nel Sistema Teatrale Toscano è inevitabile partire, per necessità di sintesi, in modo “tranchant”, su alcuni effetti creati dal D.M. 01/07/2014

Pubblicato il 16/05/2016 / di / ateatro n. #BP2016 , 158 , Passioni e saperi

Il Decreto seppur non privo di alcuni aspetti interessanti, dà vita, pur al netto di alcune recenti migliorie tattiche, ad un disegno politico/teatrale che tende a ridurre i soggetti più piccoli, indipendenti e sovente più periferici, favorendo nuovi soggetti più strutturati, tarati su“misure” metropolitane. Realtà  di nuovo conio, almeno nominale, che rischiano di ingigantire vizi ed antiche e cattive pratiche artistiche e gestionali seppur supportate da nuovi nomi e ruoli. 
Una più ricca gerarchia di monadi, dai Nazionali ai Centri, “costrette”, anche dagli obiettivi parametrici richiesti, ad “invadere”, più che a dialogare ed interagire, con i territori d’insediamento, tramite una fetazione di  autorappresentazione produttiva e progettuale.
Linea che tende ad alimentare in queste strutture  una rigida operatività autoreferenziale riducendo drasticamente la necessità    di ascolto dei i pubblici, dei luoghi, del sistema culturale ,”il genius loci” artistico  dei territori nei quali si opera.

Il Teatro Studio di Scandicci

Il Teatro Studio di Scandicci

Tendenze che concorrono a modificare plasticamente la geografia teatrale toscana come dimostra il recente (lecitissimo) passaggio gestionale del Teatro Studio di Scandicci dalla Residenza Krypton al Nazionale di Toscana con un evidente, almeno analizzando le prime proposte artistiche del nuovo gestore, trasformazione del modello di programmazione e di azione di quel teatro. Cambiamento che invita a più di una riflessione.
Un DM che privilegia il consolidamento dell’”hardware”, del Sistema Teatrale Nazionale, il suo meccanismo “industriale centrale”, e per converso, opera un’azione di indebolimento dei soggetti artistici meno “mainstream”, dei territori geografici più decentrati (soggetti e luoghi che spesso hanno creato i migliori “software” artistici e progettuali del Sistema) selezionando, di fatto, le aree territoriali nelle quali si possano creare le condizioni minime per il radicamento di una non episodica, ma quotidiana e significativa vita teatrale. Fenomeno di depauperamento della vita culturale “periferica”, già segnata dal processo di eliminazione di risorse e competenze culturali alle Province riformate ed accentuata parallelamente dalla crisi economica che colpisce gli enti locali diffusi come i Comuni, la loro capacità/volontà d’investimento sulla vita teatrale e culturale.

Il teatrino di Buti

Il teatrino di Buti

Un disegno generale quindi inverso alle politiche di decentramento dalle quali discendono tutte le tipologie di Residenza oggi attive nel nostro paese. Un  percorso neo/centralizzatore ma che dovendo rispondere, per fortuna, a parametri d’investimento pubblico, ha strategicamente necessità di eccezioni a buon mercato per mimetizzare strategie centralizzatrici monopolistiche. Eccezioni, come alcuni considerano le Residenze,  magari  utili principalmente a scaricare responsabilità e funzioni di straordinario peso, come la cura e la valorizzazione dei processi creativi degli artisti emergenti o più giovani,che per logica statutaria e di assegnazione quantitativa delle risorse dovrebbero essere svolte principalmente dai maggiori attori del sistema teatrale.
Ricambio generazionale della scena al quale le Residenze possono, debbono, intervenire in modo significativo con le loro specificità artistiche ed organizzative ma senza trasformarla nella sua unica ragione sociale offrendosi, oltretutto senza mezzi e riconoscimenti adeguati, a divenire il capro espiatorio di questa sorta di “mission impossible” in un sistema governato da logiche sempre più rigide ed autoreferenziali.

Kinkaleri (photo Jacopo Jenna)

Kinkaleri (photo Jacopo Jenna)

In questa cornice le Residenze, contro la loro stessa storia, rischiano di essere inquadrate non come specifico soggetto innovativo e necessario del Sistema Teatro, ma come una generica funzione, come  spazio di rigenerazione artistica “off-line”, nobile quanto marginale, che surroga senza scalfire l’incapacità della parte “industriale” del sistema di creare ricambio generazionale fra gli artisti, sostenere stabilmente le emergenze creative, la sperimentazione ed in generale il cosiddetto “rischio culturale”.
Dopo questo primo, sinteticissimo e parziale, sguardo “macro” sul  nazionale, proviamo ad analizzare, più in profondità , il micro contesto Toscano, dal punto di vista del suo Sistema Residenziale che con le sue specificità vuole contribuire alla dinamica differenziazione delle pratiche residenziali legate ai vari territori nelle quali operano e dei differenti dispositivi legislativi che le governano.  Esperienze differenti che in alcuni territori regionali, sicuramente la Toscana, nascono da pratiche artistiche ed organizzative, lotte culturali ed amministrative che hanno radici lontane. Un percorso, quello toscano, che dimostra plasticamente come la domanda di costruzione di un Sistema Teatrale Sostenibile e Diffuso, capace di creare nuova domanda e qualificare l’offerta di teatro, nasca, necessariamente, dall’ azione politico/culturale dei territori geografici periferici, dai percorsi artistici più indipendenti, da una spinta progettuale costruita dal basso e certamente non generata da illuminate concessioni del Centro del Sistema Teatrale.
Nel 1970 la Provincia di Firenze, su spinta dei Comuni dell’Empolese Valdelsa e nella cintura periferica Fiorentina, costituisce il Comitato per il Decentramento Teatrale. Organismo che investiva una quota pro-capite per ogni abitante coinvolto, raddoppiata per il principio di sussidiarietà dalla quota dei Comuni, per favorire la capillarizzazione dell’offerta teatrale di qualità in quei territori. Il successo clamoroso dell’iniziativa porta nel 1972 la neonata Regione Toscana a regionalizzare la portata di quell’esperienza che di fatto diviene l’anticamera operativa della nascita, nel 1973, del T.R.T., primo circuito pubblico teatrale italiano.

Altro elemento storico decisivo per il Teatro Toscano è, alla fine degli anni ’70, tramite i fondi F.I.O. della comunità europea, il recupero di oltre 200 teatri accademici di medie e piccole dimensioni che ha consentito il radicamento diffuso di compagnie in specifici teatri e territori regionali. Un patrimonio infrastrutturale che ha permesso la costruzione , dal basso, di un sistema di decentramento progettuale fatto da luoghi e realtà capaci di ospitare prodotti ma soprattutto creare processi, relazioni quotidiane fra azione teatrale, in tutte le sue varie declinazioni operative, e  le comunità di cittadini di ogni età.
Un percorso culturale ed istituzionale che ha portato progressivamente, anche dal punto di vista legislativo, a individuare la creazione teatrale come atto artistico indipendente ma necessariamente legato ad una più vasta azione di radicamento territoriale, d’interazione con un più vasto progetto scenico e culturale. Infatti già con la L.R. 45/2000 la Residenza diviene un requisito necessario per  accedere al sostegno regionale per la produzione di spettacolo dal vivo.
catalyst Il percorso di crescita del movimento delle Residenze Toscane non è comunque stato lineare, sia rispetto alla rivendicazione dei soggetti residenziali (artisti, enti locali territoriali, territori) di essere sostenuti dalla Regione economicamente in modo adeguato, sia rispetto all’obiettivo di essere riconosciuti come soggetti specifici del Sistema Teatro. Infatti, il  sistemico bisogno di  accentrare nuove risorse da parte dei soggetti dell’ex-Stabilità, dei soggetti di Rilevanza Teatrale e Musicale lasciava in quegli anni ai Comuni e alle Province il sostegno economico della vasta rete delle Residenze Regionali. L’unica eccezione era rappresentata dal contenitore legislativo regionale Sipario Aperto, ma che assegnava un sostegno davvero residuale, con un meccanismo a pioggia, ai Piccoli e Medi Teatri, ancora quindi concepiti come meri luoghi di alfabetizzazione teatrale.
Una svolta decisiva avviene nel 2009, con il Patto Stato-Regione (immediatamente divenuto dopo la caduta del secondo governo Prodi solo regionale) e successivamente con l’applicazione della L.R. 21/10: un cammino di 40 anni produce in quella legge finalmente un significativo risultato in termini di sostegno economico ed istituzionale, con l’introduzione della Residenzialità come prospettiva innovativa e di sistema del Teatro Toscano. Si riconosce, in definitiva, il ruolo prezioso artistico e più vastamente progettuale dei piccoli e medi Teatri Abitati in tutta la regione, reinventati organizzativamente ed artisticamente da imprese di arti sceniche di produzione e progetto come veri e propri presidi culturali.
Residenze che, operando quotidianamente, hanno costruito, nei vari territori, solide relazioni con le varie comunità di cittadini, spettatori attivi di ogni età, con il sistema associativo e socio culturale locale, per innovare e potenziare il rapporto fra teatro e “polis”. Un’azione, quella delle Residenze, che in termini progettuali, sicuramente in Toscana, è stata contemporaneamente centrifuga e centripeta. Si è infatti realizzata una mirata azione di radicamento della propria azione artistica nel cuore degli specifici processi socio-culturali legati ai territori di residenza ma mettendo in concreto dialogo questa azione con le idee e proposte del sistema teatrale e culturale regionale, nazionale ed internazionale.
Progetti residenziali che, con la loro multiforme identità operativa, rompono la rigidità delle categorie del mondo teatrale professionale, costruiscono luoghi che “mixano” in modo sostenibile e funzionale, ospitalità di prodotti scenici definiti o processi creativi “in fieri”, attività produttiva propria, azione diffusa di promozione e formazione teatrale, costruzione di reti di dibattito e lavoro comune. Un’operatività che incide, in modo innovativo e diffuso, nel rapporto fra creazione, distribuzione e domanda teatrale, come ganglio necessario di intermediazione, interazione fra territori urbani e periferici fra piccoli medi e grandi attori del sistema teatro regionale.
Residenze che grazie all’efficacia della loro azione dal basso si sono imposte, nel tempo, in maniera sempre più diffusa. Prima, come abbiamo visto, come soggetto de facto, poi, dal 2013 in Toscana, come vero e proprio soggetto riconosciuto legislativamente dal Sistema Teatrale e quindi rafforzato nella sua contrattualità, nella sua possibilità capace di incidere concretamente in una prospettiva di cambiamento, fluidificazione della rigidità del Sistema Teatrale Locale e Nazionale. Residenzialità diffusa quindi come esempio di piccola e media impresa teatrale privata a funzione pubblica, ganglio attivo di un sistema teatrale più marcatamente policentrico, più equilibrato fra Centro e Periferie. Una scelta non solo”democratica” ma necessaria per far nascere o consolidare concreti processi, nei diversi territori, utili ad aumentare e diversificare la platea della domanda teatrale e qualificare ed riequilibrare l’offerta in termini di genere. Una scelta che in Toscana, nel primo triennio di applicazione (2013-15) del suo Sistema di Residenze, ha svolto diffusamente, nonostante il perdurare della crisi economica e sociale, con efficacia la sua “mission”. Si sono aperti nuovi spazi (vedi il Minimal Teatro di Empoli) dedicati all’innovazione ed al contemporaneo. Si è rafforzata la creazione di reti fra Residenze Regionali ed Interregionali (Ricordo che, a Ivrea nel 2009, le Regioni Toscana, Puglia e Piemonte siglarono un protocollo per l’interazione e lo sviluppo dell’azione residenziale fra queste regioni) e azioni di collaborazioni con il resto del Sistema teatrale Nazionale e Regionale.  Si è avuta, contestualmente, una crescita significativa di pubblico in molti dei teatri delle Residenze, creando, nel triennio, nuove ed ulteriori attività di programmazione e progetto soprattutto rispetto all’area di offerta legata ai destinatari o ai generi più rischiosi culturalmente. Azione compiuta senza creare nessun azione di chiusura autoreferenziale, evitando sterili “sottorcircuiti di genere”. In questo quadro si sono rafforzate significativamente le azioni, sul piano formativo, rivolte agli spettatori di ogni età. Va sottolineato lo sviluppo in molte residenze toscane, della pratica dell’attraversamento, ma anche soprattutto, declinandolo in percorsi di relazioni mirati e pluriennali, sostenendo artisti emergenti, giovani realtà con un tutoraggio concreto, non episodico, ma di lungo respiro.
Un Sistema Toscano delle Residenze che, analizzando la biografia dei 21 soggetti sostenuti nel triennio 2013-15, rappresenta, pur nella condivisione comune di un orizzonte di azione e funzione fissati dal bando che li ha selezionati, un paradigma di pratiche assai differenziate che hanno contribuito ai diffusi e positivi risultati realizzati nel primo triennio sperimentale. Considerazioni di carattere regionale che s’inquadrano in un tempo storico nel quale l’art.45 del D.M. 1/7/14 dà  una lettura ministeriale del fenomeno residenze,a nostro avviso rischiosamente parziale nei suoi indicatori e parametri applicativi e sicuramente ingenerosa viste le risorse dedicate all’impresa.

Roberto Castello (foto A. Botticelli)

Roberto Castello (foto A. Botticelli)

Negli indirizzi dell’articolo, si avverte  il rischio di omogeneizzazione delle esperienze verso una perimetrazione in basso della pratica, delle funzioni possibili delle residenze rispetto al sistema teatrale locale e nazionale.
Le Residenze da luogo, teatro gestito e/o diretto, epicentro produttivo, progettuale con il quale abitare un territorio, da soggetto di trasformazione attiva del sistema teatrale locale e regionale risuonano spesso nel dibattito  nazionale, in questa prima fase applicativa del sopracitato DM , non più come soggetto, ma come mera funzione progettuale circoscrivendone la “mission”, confinandola in pratica ad eccezione operativa esclusivamente legata alla funzione, per quanto nobile e necessaria, di “buen retiro artistico”. Residenze che svolgono principalmente la loro “mission” sostenendo i giovani artisti in una logica più da sala prove con foresteria, magari elegantemente insediata e lontana dai centri abitati del territorio, tramite attraversamenti che rischiano una logica centripeta, autoreferenziale, spesso invisibile alle comunità territoriali dove queste Residenze sono insediate. La residenza così praticata si riduce ad una funzione progettuale, che come dimostra l’applicazione dell’art 45 in alcune regioni, può essere svolto da un pezzo qualsiasi del sistema visto che la Residenza diventa una mera prassi e non identifica uno specifico ed innovativo soggetto del Sistema Teatrale. Una provocazione: se le 77 Residenze Artistiche riconosciute dai vari Sistemi Regionali fossero tutti luoghi che si occupano stabilmente di curare, contribuire a far germinare, come “mission” centrale, nuove creazioni, in che relazione si troverebbe questa massa di centinaia di nuovi “prodotti”, peraltro spesso realizzati da imprese non strutturate dal punto di vista organizzativo, rispetto all’attuale crisi di mercato?

Krypton, Eneide (ph. Sferlazzo-Lucchese)

Krypton, Eneide (ph. Sferlazzo-Lucchese)

Crediamo invece che la soluzione per sostenere le nuove generazioni di artisti non sia strutturare, sostenere una logica che tende a moltiplicare, come obiettivo primario, episodi residenziali e nuovi percorsi produttivi (aggiungerei soggetti produttivi che si moltiplicano per sporogenesi a causa delle sistematiche divisioni delle formazioni madre in unità artistiche e produttive sempre più piccole) moltiplicando sempre più asfittici bandi (capisco le istituzioni pubbliche, non i soggetti teatrali che li applicano e sembrano sempre di più abdicare alla loro responsabilità di scelta artistica diretta a favore della “mediazione parametrica” di un bando) ma massimizzare la responsabilità delle scelte, promuovendo collaborazioni e relazioni di lungo periodo, capace di selezionare e consolidare il nuovo e l’emergente in una prospettiva meno effimera.
E’ bene quindi ribadire, anche per l’ottenimento degli obiettivi già in essere nell’applicazione dell’attuale Art. 45, la necessaria, quanto oggi non del tutto scontata nel dibattito nazionale, difesa e sviluppo della molteplicità dei differenti modelli residenziali.
Una diversità di funzione ed operativa che possa essere meglio rappresentata e tutelata in futuro nei diversi contesti regionali e   dall’applicazione operativa e da maggiori risorse legate   all’art.45, magari riflettendo in modo più concreto sulla tipologia di Residenza, la più diffusa sul territorio nazionale, capace di realizzare, contestualmente ai percorsi di attraversamento, una più vasta attività di gestione,creazione, promozione,formazione e programmazione agendo come un soggetto specifico del sistema teatrale.
Residenze, quindi, come soggetti territoriali mediani, capaci di un forte radicamento e di un nomadismo legato alla circolazione delle proprie creazioni o di quelle che sostengono giovani e/o emergenti prendendosi cura non solo di un occasionale frammento di un loro percorso creativo,ma anche e soprattutto della circolazione dei loro esiti.
Residenze che operano quotidianamente dentro i territori, i loro centri di vita quotidiana, per interagire, attenti sia alla qualità delle proposte che alla quantità di chi ne è coinvolto.

Empoli, 11 maggio 2016




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