Una controstoria teatrale e civile d’Italia

La ricerca presentata al Teatro Olimpico di Vicenza il 9 novembre 2018 nell'ambito di Factum Est - Teatro e storia

Pubblicato il 13/11/2018 / di / ateatro n. 166

Nel corso di questi decenni il teatro di narrazione ha prodotto decine di spettacoli su tematiche assai diverse. Forse il principale filo rosso che collega molte di queste esperienze è la storia italiana, in una riflessione per frammenti emblematici sulla nostra memoria civile. Nel loro insieme questi lavori finiscono per comporre una sorta di controstoria che riporta alla luce e condivide con il pubblico alcune pagine rimosse, oscure, controverse del passato, episodi e personaggi che la scuola e l’informazione – ma anche gli storici di professione – hanno più o meno consapevolmente trascurato o lasciato nell’ombra. Il teatro ha offerto un percorso di conoscenza e di comunicazione [o di educazione] quasi a supplire alle carenze del sistema educativo-informativo.
Questa sommaria mappatura è un primo tentativo di orientarsi in una produzione ricchissima: questo censimento conta quasi un centinaio di produzioni in una trentina d’anni. Nella tabella sono stati inseriti molti spettacoli che rientrano pienamente nel genere del teatro civile di narrazione, ma anche varie esperienze [soprattutto dell’ultimo decennio] che non vi rientrerebbero a pieno titolo ma che ne riprendono alcuni elementi centrali o che in vario modo sono entrati in rapporto dialettico con questa prospettiva. Si può supporre che la pratica dei narratori civili abbia avuto una influenza su artisti che arrivavano da percorsi assai diversi. Parallelamente questi apporti hanno consentito o consentiranno in futuro di arricchire la grammatica del teatro civile di narrazione.
Scorrendo la tabella verticalmente, guidati dalle prime due colonne sulla sinistra, è possibile seguire la cronologia degli episodi e dei personaggi – in gran parte legati alla storia del Novecento – su cui si è concentrata l’attenzione degli artisti.

Per esplorare la mappa sul pc clicca qui. E’ disponibile anche una versione pdf [vedi sotto].

Un primo approfondimento è offerto dai colori, utilizzati per disegnare il percorso di alcuni degli artisti attivi in questo ambito [per esempio il rosso per Marco Paolini o l’arancione per Marco Baliani].
Le tre colonne verticali sulla destra cadenzano i decenni in cui hanno debuttato gli spettacoli [anni Novanta | anni Zero | anni Dieci]. L’altra colonna [La preistoria] tenta di individuare attraverso alcuni lavori seminali gli elementi fondanti di quello che si è poi affermato come un vero e proprio genere.

# Da Dario Fo arrivano due elementi. In primo luogo l’impegno politico e civile, a partire da uno spettacolo come Morte accidentale di un anarchico, un modello di controinformazione teatrale [anche se si tratta di un lavoro scritto e rappresentato ‘a caldo’, sulla spinta dell’attualità, solo pochi mesi dopo i fatti narrati, e non di un lavoro sulla memoria]. Si trattava allora di rileggere in forma di farsa tragica – contro la versione ufficiale diffusa e imposta dai media – un evento tragico come la morte di Pinelli nella Questura di Milano.
Il secondo apporto è tecnico. Riguarda la forma del monologo, messa a punto da Fo in Mistero buffo, quando ha riportato in primo piano la narrazione e l’oralità, ma anche la centralità del punto di vista dell’io narrante, attraverso uno sguardo ‘dal basso’, in soggettiva. La tecnica del monologo e della narrazione orale [ampiamente utilizzata in chiave poetica anche da un altro maestro come Giuliano Scabia] è stata rivisitata e affinata – e per certi aspetti oggettivata – da Marco Baliani nel Kohlhaas. Il recupero e la reinvenzione delle culture e delle tradizioni popolari innescati da Fo [ma anche da Mimmo Cuticchio] hanno poi trovato ulteriori declinazioni che hanno arricchito la tavolozza dei narratori.

# Il rapporto tra la ricostruzione storica e il punto di vista del narratore porta a una prospettiva autobiografica. Gli Album di Marco Paolini – una forma di autofiction articolata in un serial teatrale per attore solo – hanno messo a fuoco il rapporto tra memoria individuale e memoria collettiva sul quale si basa il patto di fiducia tra chi narra e il suo pubblico.

# Un altro nodo riguarda il rapporto con la storia e con le fonti e dunque il metodo di lavoro e la costruzione della drammaturgia.
C’è un processo che spesso parte dal basso, attraverso la raccolta di testimonianze sulla base delle metodologie della storia orale, dell’indagine sociologica o dell’inchiesta giornalistica, oppure a partire da una sedimentazione diaristica. Seminale il lavoro laboratoriale di Marco Baliani sulla Seconda guerra mondiale.
In molti casi l’obiettivo è la ritualizzazione della memoria collettiva attraverso la celebrazione di anniversari e ricorrenze. Questa sollecitazione spesso esterna – rispetto a molti progetti che partono invece dalle urgenze estetiche e politiche degli artisti – porta spesso alla realizzazione di opere su commissione che utilizzano le forme del genere, magari arricchendole con apporti musicali e una polifonia di voci e punti di vista. Il riferimento – molto distante dalle modalità del teatro di narrazione – può essere il recital dantesco di Carmelo Bene dalla Torre degli Asinelli di Bologna, in occasione del primo anniversario della strage del 2 agosto: non per la forma, ma per il valore politico e civile, per la volontà di costruire attraverso un evento teatrale una memoria collettiva in grado di elaborare le ferite di una comunità.

Il racconto del Vajont di Marco Paolini [1994-1997], con la collaborazione drammaturgica e registica di Gabriele Vacis, ha raccolto, condensato e rilanciato molte di queste sollecitazioni. Quell’esperienza ha reso evidente la versatilità di un genere spettacolare che resta efficace nelle situazioni più diverse: dall’intimità e quotidianità delle case e in genere di spazi non teatrali ai teatri e alla grande platea televisiva. Il racconto del Vajont è diventato così un punto di riferimento sia per il pubblico sia per altri artisti [oltre che un comodo punto di riferimento per il marketing di organizzatori e programmatori].

Ferma restando la natura embrionale di questa ricognizione su un filone culturale, civile e spettacolare, è possibile ipotizzare alcune ulteriori direzioni di indagine.

# Il rapporto con la storia. Quali sono i periodi esplorati con maggiore intensità? Quali sono gli episodi e i momenti prediletti dall’indagine anche in rapporto alla storiografia ufficiale e dagli altri media [a cominciare dal cinema e dagli sceneggiati televisivi]? Accanto ai singoli episodi, in questa teatrografia compaiono anche lavori dedicati a personaggi storici o artisti. Qual è la loro tipologia?

# Il rapporto con il teatro. Qual è stata l’evoluzione di un genere che ha avuto tanta fortuna dagli anni Novanta a oggi? Come si è stratificata nel suo insieme questa controstoria attraverso il percorso dei singoli artefici e la loro interazione? Quali tematiche ed epoche e quali prospettive artistiche sono state via via esplorate? Per la sua stessa natura la narrazione tende a escludere alcuni elementi del teatro di rappresentazione: basti pensare al personaggio. Ma non si tratta di una distinzione netta tra l’attore-interprete e il narratore [o eventualmente la sua maschera tipizzata dall’uso del dialetto], quanto di un continuum o di un insieme di ibridazioni e slittamenti che può essere interessante approfondire.

# Il rapporto con il presente. Questi progetti ci raccontano il passato ma vogliono parlare al presente. Qual è la distanza temporale necessaria per inserire un fatto o un episodio nella Storia? Quanto tempo serve per trascendere la cronaca o l’autobiografia e costruire una narrazione che abbia portata più ampia e condivisa [o divisiva]? Esemplari sono le modalità con cui è stata e viene affrontata la tematica politicamente ‘calda’ dell’immigrazione, utilizzando prima soprattutto la chiave autobiografica e storica, per poi avvicinarsi alla cronaca utilizzando magari varie forme di epicizzazione e mitizzazione.

# Il rapporto con il pubblico. Qual è l’effetto immediato di ciascuno di questi spettacoli sullo spettatore? Come si stratifica nell’immaginario del pubblico la meta-narrazione di questa sequenza di approfondimenti e spesso di denunce?

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La mappa, presentata all’Accademia Olimpica nell’ambito del convegno Factum Est – Teatro e Storia e qui pubblicata, è solo la prima tappa di un work in progress che parte dalla mia esperienza di spettatore e di compagno di strada di alcuni degli artisti citati. Resta aperta alla collaborazione di tutti. Sarò dunque grato a chiunque abbia un contributo da offrire, nell’ambito degli obiettivi del progetto.




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