Tutta una vita in 48 metri quadri e qualche scatolone

Una vita che sto qui di Roberta Skerl con Ivana Monti al Teatro Franco Parenti

Pubblicato il 17/11/2021 / di / ateatro n. 180

Lorenteggio è un quartiere di Milano, a sud-ovest rispetto al centro. Lorenteggio è periferia, è edifici e abitazioni popolari, è grave disagio edilizio e sociale. Proprio per questo è rientrato nel programma di rigenerazione urbana della città, finalizzato a dare nuova vita al quartiere milanese garantendo un miglioramento delle condizioni di vita per suoi abitanti.
Ma non sempre riqualificazione fa rima con soddisfazione. E di questo ne è più che certa Adriana – interpretata dall’eccezionale Ivana Monti – protagonista di Una vita che sto qui di Roberta Skerl con la regia di Giampiero Rappa, in scena al Teatro Franco Parenti dal 27 ottobre al 7 novembre 2021.

Foto di Francesco Bozzo

Una cucina anni Settanta, arredata in modo semplice ed essenziale, con sacchetti e scatoloni sparsi ovunque ed elettrodomestici obsoleti. Questa è l’abitazione – o forse il regno – di Adriana, ottantenne milanese DOC e comicamente scorbutica, che abita quella casa, nel quartiere popolare di Lorenteggio, da quando ha diciassette anni. Casa che Adriana deve lasciare provvisoriamente – ma chi ci crede? – per consentire all’ALER (Azienda Lombardia Edilizia Residenziale) di realizzare i lavori di riqualificazione e ristrutturazione degli appartamenti ormai fatiscenti.
Ma come si fa a lasciarsi alle spalle un’intera vita vissuta in quei 48 metri quadri – che agli occhi dell’Adriana ragazzina sembravano una reggia – e ricominciare da zero? Adriana non lo sa. Perché nonostante gli appartamenti pericolanti, i seccatori che bussano alla porta e gli infiniti africani – o negher, come li chiama lei – che hanno invaso Lorenteggio, Adriana non vuole assolutamente abbandonare quella casa, che è lo scrigno dei suoi ricordi più preziosi.

Foto di Francesco Bozzo

E allora, riponendo negli scatoloni gli ultimi oggetti sparsi per la cucina e guardandoci dritti negli occhi – come solo chi ne ha viste tante sa fare – Adriana ripercorre la storia della sua vita, alternando sorrisi malinconici a terribili urla di dolore. Perché la vita di Adriana non è stata esattamente rose e fiori. Nata nel 1941, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, Adriana trascorre la sua infanzia con il frastuono e la paura delle bombe. Un padre affettuoso e protettivo, che però muore prematuramente. Una madre che non supera la perdita del marito e cade in depressione. Un figlio, Roberto, che Adriana deve crescere da sola. Sì, perché ad esclusione del padre e di Sergio – il suo primo amore con cui lei a quindici anni ha scoperto il sesso – le figure maschili nella vita di Adriana sono fallimentari. Primo tra tutti Alberto, il padre di Roberto, che l’abbandona prima della nascita del figlio. Poi il marito Gianni, che ha un pessimo rapporto con il figliastro e vive da separato in casa senza assumersi nessuna responsabilità. E infine Roberto, un figlio che Adriana non riesce a crescere come vorrebbe, perché sola e costretta a lavorare. Un figlio che non ha un lavoro, che dorme tutto il giorno e che le chiede in continuazione soldi. Fino alla tragedia finale. La morte per droga di Roberto – ritrovato su una panchina al Parco Lambro –  annunciata frettolosamente da un poliziotto.
“Assassini”, grida Adriana per denunciare l’assenza dello Stato. Un urlo straziante che trafigge gli spettatori.
Ivana Monti ancora una volta si rivela una straordinaria interprete capace di narrare, in un’ora di monologo, l’intera esistenza di una donna e la storia di una Milano che non esiste più. Ivana Monti ci racconta, con una intensità e sensibilità travolgente, cosa significa per un’anziana donna abbandonare la sua casa a Lorenteggio. Cosa significa “una vita che sto qui”.

Una vita che sto qui
di Roberta Skerl
con Ivana Monti
regia Giampiero Rappa
scene Laura Benzi
luci Marco Laudando
assistente alla regia Maria Federica Bianchi e Beatrice Cazzaro
montaggio video Alberto Basaluzzo
macchinista Paolo Roda
elettricista Nicola Voso
sarta Simona Dondoni
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti

produzione Teatro Franco Parenti