Divorare se stessi o essere divorati dall’integrazione

Corpi migranti intrappolati nel teatro dei bandi: Stay Hungry di e con Angelo Campolo

Pubblicato il 16/02/2022 / di / ateatro n. 182

Stay Hungry non è il solito spettacolo sulla vita dei migranti, non le sofferenze dei rifugiati. È un dramma eseguito con pudore e delicatezza, intelligente, che scandaglia l’animo umano mediante l’espediente di un’improvvisazione laboratoriale su un cliente e sul suo desiderio impossibile di venire sfamato da un inserviente che non può offrirgli nulla da mangiare. Si instaura immediatamente una frontiera tra chi vende e chi compra? Non è il tema del confinamento a essere indagato e neanche quello dell’integrazione.
Angelo Campolo ha strutturato il suo assolo a partire dalle richieste di un “Bando europeo di integrazione sociale. Il bando metteva a disposizione 3,5 milioni di euro per progetti di inclusione sociale realizzati da enti del terzo settore nei territori del Mezzogiorno”. La drammaturgia si sviluppa tra il 2015 e il 2020, snocciolando – come richiesto dal bando – uno storytelling su migranti e rifugiati. Il lavoro, dopo aver vinto il Nolo Fringe Festival 2019 e il Premio In-Box 2020, è arrivato all’Elicantropo di Napoli, preceduto da un laboratorio sulla scrittura del corpo.
A partire da un bando a tema sociale, l’attore in Stay Hungry racconta così che compilare bandi è anche un altro modo di fare teatro. Lo sa bene chi oggi si ritrova a produrre arte tra mille scadenze e a dovere programmare tra l’incertezza di una data e l’azzardo di un anticipo su un finanziamento che potrebbe anche non arrivare.

Un attore, un bar, un pc, un caffè d’orzo in tazza grande e un bando. Questo il pretesto narrativo che l’ingranaggio del dramma sviscera per raccontare l’avventura burocratica del “bandolero”, a partire dall’amico calabrese Carmelo che riesce a fare bandi su qualunque cosa o persona e su quell’oro chiamato “migranti”.
Nel 2015 in 286 bandi compariva la parola “integrazione”, ma il 2015 era anche l’anno del quarantennale pasoliniano. Campolo usa lo straniero di Teorema per spiegare ai migranti che frequentano il suo laboratorio – prima una trentina, poi solo quattro – che l’esilio non conosce dignità. Una persona si trasforma in un concetto. I punti del bando vengono proiettati in una cornice da epitaffio, diventano un manifesto funebre, un annuncio mortuario, una metafora all’istanza sia della drammaturgia sia dell’attualità. Due microfoni amplificano i concetti.
Un video della Rai racconta la cronaca della migrazione nello Stretto di Messina, del laboratorio su Pasolini con i migranti in una sala del Teatro Vittorio Emanuele, ormai in disuso. Dopo la sala teatrale è la volta della sede religiosa: la Caritas consente al progetto di proseguire nel 2016 grazie all’8xmille della Chiesa Cattolica: un finanziamento a cui si accede per bando, naturalmente.
Intanto Campolo, mentre racconta, fa esercizi teatrali di laboratorio con il pubblico.
Giunge il 2018 e Campolo continua a fare i suoi laboratori con i migranti ma non c’è Artaud, non c’è Fassbinder, non è nemmeno il Living. Ci sono alcuni ragazzi che non sono certi di volere fare un laboratorio teatrale per una produzione al Napoli Teatro Festival e c’è una foto che non rivela i volti ma mostra le spalle e una cruda verità. La storia di Ibrahim ci insegna che un corpo affamato può mangiare sé stesso per sopravvivere, e che i corpi possono somigliare al cibo. Possiamo essere assimilati, ma non integrati.




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InformazioniVincenza Di Vita

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