Teatro italiano: cosa resta, cosa cambia. Un incontro di Mimma Gallina con Vittorio Stasi, Antonino Pirillo, Giorgio Andriani, Aldo Costa e Pietro Monteverdi

Nel quadro di Calabria Showcase. Una finestra sul teatro calabrese al Teatro Politeama di Catanzaro il 23 settembre 2022

Pubblicato il 18/10/2022 / di / ateatro n. 186

Un confronto intergenerazionale su come sta cambiando il mondo del teatro italiano dal punto di vista delle dinamiche organizzative. Dal post pandemia al Codice dello Spettacolo, dalle evoluzioni del mercato ai progetti sui territori, una riflessione aperta per comprendere le trasformazioni in atto nel nostro sistema teatrale.

Proiezione sulla facciata del Teatro Politeama da Luoghi sconfinati, un progetto di teatro architettura per Pier Paolo Pasolini, ideazione e regia di Giancarlo Cauteruccio

Può essere utile un confronto fra operatori teatrali di generazioni diverse sui cambiamenti in atto nell’organizzazione del teatro italiano?
Sì, se osservare le evoluzioni del sistema, confrontare esperienze e punti di vista può aiutare a salvaguardare (o recuperare) quello che di buono forse c’è o c’era negli assetti e nelle metodologie di lavoro che il teatro italiano si è dato negli anni, a capire e contribuire a orientare le trasformazioni, a ragionare su come cambia il lavoro dell’organizzatore.

Con chi scrive (e ha cominciato a lavorare nell’organizzazione teatrale nei primi anni Settanta) ne hanno parlato operatori di poco over 40, Giorgio Andriani, pugliese, e Antonino Pirillo, calabrese (che dirigono con Valentina Marini il Teatro Biblioteca Quarticciolo a Roma e l’associazione Cranpi, con cui producono teatro, recentemente riconosciuta come impresa di teatro di innovazione dal MIC), due trentenni, Pietro Monteverdi (fra i fondatori di Oscenica, la società di Catanzaro anche promotrice di Calabria Showcase, che si occupa di produzione audiovisiva e teatrale ed è animata da un collettivo di giovani produttori e artisti under 35) e Vittorio Stasi (campano, si occupa dell’organizzazione della Compagnia Zappalà Danza di Catania, collabora con Emilia-Romagna Teatro, co-dirige il Cilentart Fest, giovane festival multidisciplinare). Infine l’ospite dell’incontro, il direttore generale del Politeama Aldo Costa, 65 anni (avvocato e docente in materie giuridiche, ha diretto la
Fondazione Politeama di Catanzaro dalla sua costituzione nel 2002, con un’interruzione di 5 anni, è stato anche fra i fondatori del circuito Teatri Calabresi Associati – che non è più attivo – e vice sindaco e assessore alla cultura del Comune di Catanzaro).
Ha contribuito a definire i temi Settimio Pisano, di Primavera dei Teatri, organizzatore e curatore (ancora per poco under cinquanta).

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Calabria Archives: l’evoluzione del teatro calabrese su Ateatro

“Cosa resta, cosa cambia” è un tema molto vasto. L’incontro (ma anche gli scambi di idee che l’hanno preceduto e seguito) ha individuato come aspetti particolarmente rilevanti per le trasformazioni in atto e recenti la programmazione, il mercato (la distribuzione) e la gestione/tipologia degli spazi, due ambiti e funzioni strettamene intrecciati fra loro.

La programmazione. Tanto nelle maggiori città che in provincia è cambiato o sta cambiando il modo di programmare i teatri: la stagione teatrale come “contenitore” dell’offerta ha perso il suo carattere esclusivo – per motivi economici, culturali, di riflessione sul pubblico. Aumenta la pressione delle compagnie e la concorrenza fra i teatri, e si sono contratte quasi ovunque le “teniture”. La frequenza delle coproduzioni, o di forme diffuse di sostegno alla produzione, rende la distinzione del ruolo di produttore e programmatore sempre più sfumata, e si sente la necessità di precisare le competenze. Se da un lato il profilo del programmatore è riconducibile alla dimensione curatoriale (tutti pongono l’accento sulla dimensione della “cura” dei processi artistici), dall’altro è ponte fra artista e pubblico, e richiede una particolare sensibilità sociale, politica, economica… e conoscenze aggiornate di comunicazione, marketing e molto altro. Il vecchio direttore di teatro che valutava qualità e chiamata su criteri consolidati, oltre che sulla conoscenza diretta del suo pubblico (dei suoi abbonati), non esiste quasi più; dove è sopravvissuto, non può alimentarsi delle stesse certezze. Qua e là in provincia è stato sostituito da programmatori improvvisati, a volte funzionari comunali, che scelgono magari su bando (come se le scelte artistiche fossero riconducibili ai meccanismi di una gara d’appalto). Nell’incontro ci si è chiesti se più precise competenze possano generare processi di cambiamento (a livello diffuso: nei teatri di periferia e in provincia).
Al ruolo del curatore Calabria Showcase ha fra l’altro dedicato un residenza:

“I mutamenti repentini di questo tempo e le trasformazioni delle pratiche artistiche e organizzative, hanno cambiato le modalità di composizione dei progetti e non ci permettono più di determinare che cosa s’intenda esattamente oggi per curatore o curatela nelle attività delle arti sceniche e performative contemporanee”.

Le riflessioni si incrociano e meritano approfondimenti.

Il mercato distributivo. Il fenomeno descritto sopra ha cambiato anche i tempi e i modi di distribuzione, e rende inarrivabili (per tutti o quasi) le tournée di una volta, non solo quelle del vecchio caro teatro di giro, o del periodo d’oro del decentramento – gli anni Settanta e Ottanta – ma anche di dieci o quindici anni fa (e la situazione è peggiorata con la crisi economica del 2007-2008).
Se è inevitabile constatare la contrazione del mercato, bisognerebbe capire come contrastarla, Non è solo questione di risorse, ma di pubblico, di iperproduzione e – forse soprattutto – delle stesse caratteristiche della produzione teatrale italiana media.
Non è facile per un giovane operatore orientarsi nel mercato che cambia. Fra l’altro, è sempre più frequente oggi curare la distribuzione e promozione di più compagnie/artisti, mentre fino a poco tempo fa era la norma, o quasi, il legame stretto con un solo teatro, o una sola compagine artistica. Anche in questo caso la trasformazione – che ha quasi sempre anche motivazioni economiche – ha dei pro e dei contro: da un lato la condivisione di un percorso artistico è un valore importante, che crea appartenenza, dall’altro dedicarsi a più percorsi – in una collaborazione che comporta comunque adesione culturale – consente di tenere una certa distanza (che può essere salutare), di applicarsi e crescere su più fronti. Il rischio in tutti e i due casi è di alimentare aspettative difficili da raggiungere, che potremmo definire “affettive” nel primo caso, “tecniche” nel secondo.

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Ateatro ha affrontato questi temi in altre occasioni, vedi il Dizionario 2020 | Per un nuovo dizionario dello spettacolo dal vivo con parole chiave come Distribuzione, Spazi, Bandi.

Gli spazi però stanno cambiando, e sono probabilmente la chiave per la trasformazione del sistema e del mercato (che non è solo distribuzione naturalmente). Nelle città grandi e medie (nelle periferie ma non solo) ma anche  – se pure con più difficoltà-  nella provincia profonda, si stanno attivando luoghi della cultura nuovi, flessibili, multifunzionali, multidisciplinari. Attivare spazi adeguati al cambiamento della produzione e alla multidisciplinarietà, moltiplicarli ovunque possibile, anche a scale diverse, è fondamentale per rivolgersi a un pubblico nuovo, ibrido. Ma mancano politiche orientate a questo cambiamento: il MiC sembra aver scoperto i piccoli spazi con i ristori COVID (e ha trasferito un po’ frettolosamente il sostegno diffuso nel FUS), le Regioni vanno – al solito – ciascuna per la sua strada (ma poche hanno individuato la funzione strategica degli spazi di nuova concezione), e gli enti locali – che dei teatri, e di questi spazi già esistenti o potenziali sono spesso proprietari – sono non di rado in bilico fra la consapevolezza della funzione sociale e culturale di una rete diffusa di spazi e la tendenza o necessità di metterli a reddito. Il compromesso fra le due tendenze ha portato da un lato ad affidamenti onerosi (su bando) e dall’altro alla diffusione di bandi su progetti orientati al territorio, al sociale, alla promozione del pubblico eccetera, o anche all’acquisizione di attrezzature (di cui non sempre si avvertiva la necessità)… raramente alle gestione nel suo complesso. All’orizzonte c’è naturalmente il tema della sostenibilità, e qualche equivoco sulla (presunta) autosufficienza dei luoghi della cultura.

Il tema dei bandi è stato naturalmente toccato nell’incontro. Ci si è chiesti quanto il dover sempre e continuamente progettare e partecipare a bandi stia cambiando il nostro lavoro. Per tutti – per chi coi bandi non ha dovuto misurarsi nei primi anni o decenni della sua carriera, e per i più giovani che con  bandi convivono da sempre –  essere costretti a lavorare su progetti assorbe energie, sottraendole all’attività ordinaria, impedisce alle imprese/organizzazioni e agli operatori di lavorare sulla durata, sulla continuità. Quella che all’inizio era una sfida, e ha portato più generazioni ad acquisire una competenza importante e da salvaguardare – la capacità di progettare e gestire l’attività per progetti – si è trasformata in una distrazione dal reale, in una vessazione burocratica. La sfida oggi è creare le condizioni per lavorare sulla continuità (e re-imparare a farlo).
Un ragionamento analogo riguarda il FUS. Tutti concordano sulla necessità di cambiare prospettiva e approccio rispetto a quella che è stata definita “dipendenza” (materiale e psicologica) dal FUS, cercando di allargare il raggio d’azione, tanto per intercettare altre fonti di finanziamento, che per orientare le politiche territoriali: la considerazione è anche un invito  alle organizzazioni di categoria (vecchie e nuove, nazionali e territoriali, esistenti o da creare) a individuare altre, e più corrette priorità.

Sono tutti temi rilevanti per la situazione calabrese (richiamata nell’incontro con molti riferimenti concreti): la necessità di unirsi, di riattivare la distribuzione (l’assenza di un circuito), di valorizzare gli spazi. Il ruolo di organizzazioni e organizzatori locali sarà fondamentale per re-inventare il sistema senza replicare modelli di importazione e ricreando un rapporto creativo e non burocratico con gli enti locali.
In questa direzione è stato di stimolo l’intervento conclusivo dell’assessore all’istruzione e cultura del Comune di Catanzaro, Donatella Monteverdi, in carica da giugno: consapevole della complessità e delle difficoltà (le scarse risorse soprattutto), ma convinta della necessità di cambiamenti reali e realistici, di inventare nuove modalità di gestione e promozione dello spettacolo in Calabria e del ruolo che cultura e spettacolo possono e devono giocare nella città e che la città può giocare nel sistema regionale.

L’assessore alla istruzione e cultura del Comune di Catanzaro, Donatella Monteverdi

A incontro concluso abbiamo chiesto ai partecipanti qualche considerazione finale e di indicare le priorità.

Giorgio Andriani e Antonino Pirillo
Ci teniamo a sottolineare l’importanza di un momento di riflessione e confronto non solo intergenerazionale ma anche geografico riscontrata nei temi emersi, in particolare le sostanziali (e storicizzate) differenze tra nord, centro e sud. Siamo convinti che la figura del programmatore non debba limitarsi al mero acquisto delle repliche, e riteniamo importante che questa figura si indirizzi sempre più verso l’idea di un curatore che accompagni i progetti da programmare e ne segua la gestazione/evoluzione, durante le varie fasi di lavorazione (studi/restituzioni) con un dialogo costante con gli artisti, i produttori e gli spettatori.
E’ l’auspicio della nascita di una comunità teatrale nuova, più partecipata, in cui il processo creativo diventi maggiormente centrale rispetto al debutto e alla circuitazione dello spettacolo.
Infine, invitiamo a considerare la curatela come un atto di partecipazione “responsabile”, anche di indirizzo artistico.  Se si conosce molto bene un progetto produttivo che si intende programmare, si può collocarlo in una cornice specifica e incanalarlo in connessioni non per forza strettamente teatrali, per esempio avviare una co-progettazione con associazioni e gruppi territoriali, con l’obiettivo che il “teatro” diventi sempre più uno spazio in ascolto e in forte relazione con il tessuto sociale e cittadino che abita. La collaborazione si “legittima” solo se c’è una corrispondenza di obiettivi. Questo dovrebbe valere non solo per strutture presenti in zone “difficili”, depresse, problematiche.
Altro concetto emerso è quello della produzione creativa, ovvero il produttore progetta con i suoi artisti alla pari, seppur con competenze diverse, verso una finalità condivisa, seguendo l’intero processo creativo in un dialogo attivo e costante fatto anche di consigli e confronti. Riteniamo che la figura di un produttore che finanzia e osserva da lontano non sia più possibile. Non è più accettabile concentrare la creazione in un periodo ristretto di prove. È invece fondamentale dare la possibilità agli artisti di creare, secondo step programmati, permettere loro di sperimentare e di tornare alla stessa creazione con un certo “distacco” dopo periodi di sedimentazione. Questo fa sì che un progetto, con incontri intermedi con il pubblico e operatori, possa arrivare, attraverso un dialogo costante, a una coscienza maggiore.

Nella foto Antonino Pirillo, Giorgio Andriani, Vittorio Stasi, Pietro Monteverde, Mimma Gallina, Aldo Costa

Vittorio Stasi
Tra le riflessioni/criticità emerse c’è la modalità di programmare un teatro oggi e di come molte realtà inventano modi più o meno accattivanti, focus tematici e azioni trasversali per ampliare il loro target di riferimento. Ma che fine ha fatto lo spettatore di un tempo? È corretto perseguire questa strada? E che ricaduta avrà sulle nuove generazioni?
Un altro tema di interesse è legato al mercato e alla distribuzione di produzioni artistiche in Italia. Oggi è importante parlare non più solo di mercato, ma di mercati, perché le produzioni hanno caratteristiche e possono avere ricadute, sempre più spesso, verso una dimensione multidisciplinare. Ma il mercato è saturo, invaso da una iperproduzione incessante. E’ necessario ripensare e ristrutturare i tempi legati alla produzione, tempi più lunghi che possano non solo accrescere il valore artistico di un progetto, ma anche dar la possibilità di strutturare meglio il processo di collaborazione e di coproduzione di un prodotto artistico.
Il concetto di “rete” è emerso con grande forza, soprattutto in un territorio come la Calabria dove questa parola sembra venir meno. Partire dal locale per arrivare al nazionale così come alcune reti citate durante il nostro incontro e portate alla luce da Giorgio Andriani e Antonino Pirillo.
Incontri di questa natura alimentano confronti, riflessioni e visioni che dovrebbero includere più spesso i diversi soggetti nazionali ma soprattutto regionali, per una visione di sistema più unito e meno disgregato.

Pietro Monteverdi
Rispetto ai temi trattati durante l’incontro, penso sia di notevole interesse quello riguardante le modalità di finanziamento pubblico su tutta la filiera produttiva. L’intero sistema di finanziamenti statali e regionali sembra aver corrotto il modo di fare impresa culturale, se cosi ancora la possiamo definire. Da una funzione di sostegno e potenziamento all’intero sistema si è passati a una progressiva e sempre più profonda dipendenza in primis economica, ma anche psicologica. Il paradigma si è invertito da un più virtuoso “ho in mente un progetto e cerco le fonti di finanziamento necessarie” a “è uscito un bando e ci cucio un progetto ad hoc”. Questo ha portato alla proliferazione di progetti più o meno articolati che non hanno, almeno nelle intenzioni degli ideatori e di fatto negli output prodotti, né possibilità di crescita né la capacità di generare ulteriori economie sul mercato privato.
È il fallimento dell’idea imprenditoriale di cultura, intessa nel senso più virtuoso del termine. Le cause, secondo il mio modesto parere di produttore che ha da poco fondato la sua società, risiedono innanzitutto in motivazioni psicologiche causate dai criteri di valutazione dei bandi pubblici. Cosi come in una qualsiasi azienda sono fondamentali i follow-up di valutazione sui propri dipendenti, per aumentare al massimo gli output prodotti e garantire uno sprone sano e adeguato al lavoro. E’ perciò di fondamentale importanza che anche l’ente pubblico (Stato, regioni, comuni, fondazioni) applichi criteri di valutazione volti a misurare la capacità del progetto di diffondersi ed evolversi, in un’ottica di ampliamento del mercato, ormai ridotto ai minimi termini quantomeno nel sotto-settore del teatro contemporaneo.

REAL HEORES, scritto e diretto da Mauro Lamanna, Aguilera Justiniano produttore e organizzatore generale Pietro Monteverdi, produzione Oscenica

Ad Aldo Costa abbiamo chiesto di integrare anche con qualche informazione in più sul Politeama che ospitava lo show-case e l’incontro.

La Fondazione Politeama, costituita nel 2002 dal Comune di Catanzaro, dalla Provincia di Catanzaro e dalla Regione Calabria, quest’anno festeggia vent’anni di attività culturali e di cartelloni comprendenti spettacoli di danza, teatro, lirica, sinfonica, concerti musicali. Ovviamente i bilanci dell’ente risentono, come accade in strutture simili, di una carenza di fondi pubblici che limitano le iniziative della Fondazione, che gestisce un teatro con una capienza di poco inferiore ai mille posti e con un ampio palcoscenico che consente di ospitare qualsiasi tipo di manifestazione.
La Calabria, così come altre regioni, purtroppo ha finora destinato risorse limitate ai teatri, anche se proprio in questo mese, finalmente, c’è stata un’inversione di tendenza con la presentazione del “piano triennale degli interventi nel sistema teatrale regionale 2022/2024” con lo stanziamento di circa nove milioni di euro (spalmati nei tre anni) riservati alla produzione e distribuzione teatrale, alle residenze e ai progetti speciali, che potrebbe dare la possibilità di avere certezze dei tempi di erogazione dei contributi per una tranquilla e  apprezzabile programmazione dei vari eventi. La Fondazione Politeama, nel corso delle passate stagioni, generalmente ha programmato cartelloni tradizionali, rivolti ad un pubblico fidelizzato, che ha garantito un congruo pacchetto di abbonamenti, lasciando il 30/40% di posti per lo sbigliettamento nei singoli spettacoli. Si è preferito inserire nella programmazione pochi eventi di altro genere (balletti, teatro sperimentale, nuovi linguaggi scenici) per avvicinare gradualmente il pubblico verso nuove forme espressive e per cercare di conciliare qualità delle rappresentazioni con le solite esigenze di bilancio.
Calabria Showcase ha rappresentato la logica prosecuzione, diversamente articolata e con maggiori risorse economiche, avendo usufruito di un finanziamento regionale, delle precedenti rassegne che si svolgevano nel mese di maggio al Teatro Politeama dedicate alla migliore produzione regionale con la partecipazione degli operatori teatrali calabresi. Si è voluta offrire un’opportunità alle nostre compagnie con la possibilità di incontrare addetti del settore, partecipare a master classes e convegni, frequentare residenze per curatori e curatrici, conoscere la Città, in uno sforzo collettivo che ha stimolato interesse, curiosità, approfondimenti di tematiche sovente trascurate. E’ un tentativo riuscito che merita di continuare, di essere rafforzato e migliorato in talune parti, aprendo nuove prospettive, favorendo maggiore visibilità a un sistema teatrale che presenta punte di eccellenza, ma che deve essere incoraggiato a percorrere nuovi sentieri, a divulgare la conoscenza dei migliori autori calabresi e a leggere la contemporaneità con strumenti che solo il teatro può dare.

Interno Teatro Politeama

Esterno Teatro Politeama

Interno Teatro Politeama

 

 

 

 

 

 

Teatro italiano: cosa resta, cosa cambia
Mimma Gallina dialoga con Vittorio Stasi, Antonino Pirillo e Giorgio Andriani
Moderano Aldo Costa e Pietro Monteverdi
Nel quadro di Calabria Showcase. Una finestra sul teatro calabrese
Teatro Politeama, Catanzaro, 23 settembre 2022




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