Danza Urbana a Bologna | Il corpo e la città, ovvero la politica

Il report per TourFest 2023

Pubblicato il 10/10/2023 / di / ateatro n. 193 | TourFest 2023

DANZA URBANA

Durante la prima settimana di settembre, mentre Bologna saluta gli ultimi turisti della stagione estiva, per le piazze nel cuore della città e per le periferie, performance e spettacoli legati al mondo della danza contemporanea animano cittadini e spettatori mettendoli in stretta relazione con il territorio urbano.
Il festival Danza Urbana nasce nel 1997, grazie all’Associazione Culturale Danza Urbana, come il primo festival italiano interamente dedicato alla danza nei paesaggi urbani. L’associazione opera da più di vent’anni nell’ambito della danza, per diffondere la cultura di questa arte a un pubblico sempre più vasto, programmando rassegne, laboratori e attività per giovani danzatori e performers.
L’edizione di quest’anno, la ventisettesima, vede ancora la direzione artistica di Massimo Carosi, fondatore insieme a Luca Nava, direttore di produzione, dell’associazione.

Il panorama attuale della danza e della performance

L’edizione 2023, si svolge dal 5 al 10 settembre, in location diffuse nel centro storico, in siti culturali, in aree periurbane dove il territorio urbano e quello agricolo si incontrano e si uniscono in maniera non sempre risolta.
L’obiettivo principale è quello di sensibilizzare la comunità e lo spettatore sulla relazione con il proprio luogo abitativo che può essere percepito non solo come architettonico, funzionale e paesaggistico ma anche come luogo dai valori simbolici e culturali dove possano consolidarsi alleanze e relazioni. Molteplici creazioni artistiche diversificate hanno offerto un’ampa panoramica sul panorama attuale di danza e performance attuale.
I protagonisti di questa edizione sono artisti e compagnie della nuova danza d’autore e della coreografia italiana e internazionale, a cominciare dalla prima nazionale di Metis di Francesca Penzo e Mariangela Serantoni, dall’anteprima di Stuporosa di Francesco Marilungo e da progetti coreografici internazionali come Eternal del danzatore libanese Bassam Abou Diab, Breath with Me a Moment della coreografa e designer libanese Or Marin, il progetto coreografico Otempodiz di Ertza, compagnia spagnola di Asier Zabaleta, e Trial di Tu Hoang, giovane coreografo vietnamita.

Otempodiz, Ertza

E ancora volti noti come Porpora Marcasciano, attivista trans, interprete della performance itinerante Porpora che Cammina del collettivo DOM-, Hello° progetto del gruppo Kinkaleri, Come neve, di Adriano Bolognino, performance vincitrice del bando Danza Urbana XL 23, do-around-the world, performance ideata da Parini Secondo, Glauco Salvo e Pierpaolo Zimmermann, Himalaya: embodied landscapes, a performative discourse di Elisa Zuppini e infine, solo perché è anche l’ultimo appuntamento del festival, Body farm di Silvia Rampelli.
Oltre all’ampio spazio dedicato alla danza, il festival offre svariati incontri e laboratori dedicati alla rivalutazione e alla wellfare culturale della città. Come la maggior parte degli spettacoli in programma, sono ad accesso libero e gratuito.

Il festival offre dunque la possibilità di evadere, anche se per brevi momenti, dalla dittatura del tempo cronologico: con i suoi eventi negli spazi della città, spezza la percezione di un tempo quotidiano e routinario, increspa la linea del tempo, e invita i cittadini a partecipare.

Dalle parole del direttore Massimo Carosi emerge la volontà di riportare lo spettatore, il cittadino, nella condizione di protagonista del proprio territorio, attraverso la riscoperta di zone inconsuete e solo di passaggio durante la vita di tutti i giorni.
Questo concetto è evidente nello spettacolo portato in scena da DOM-, un collettivo nato nel 2013 che indaga proprio il rapporto tra corpi e territori, partendo da tematiche legate alle Environmental Humanities e a ecologie femministe e queer, utilizzando il linguaggio universale del movimento corporeo. Durante la performance Porpora che Cammina, 18 spettatori alla volta fanno un viaggio dalla durata di 5 ore, in veste di pubblico silenzioso e attento dietro a una figura sfuggente che, partendo dall’autostazione, attraversa il centro della città, la periferia a tratti angusta e per nulla accogliente, per finire all’ingresso delle Departures all’aeroporto di Bologna come all’albore di un nuovo ipotetico viaggio.

Porpora che Cammina, collettivo DOM (ph. Gino Rosa)

Lo spettacolo fa parte del progetto L’uomo che cammina, una performance di paesaggio dove un ristretto gruppo di spettatori intraprende un lungo cammino all’interno della città prescelta e analizzata dal collettivo. L’opera, che ha debuttato al Terni Festival nel 2015, prosegue così una ricca tournée italiana e internazionale.
Grazie alla regia e drammaturgia di Leonardo Delogu e Valerio Sirna, lo spettatore è co-protagonista insieme ai performers, in quanto si trova per tutta la durata del viaggio, in una condizione pro-attiva dove tutti i sensi devono essere predisposti ai molteplici stimoli sia visivi che uditivi. Il vero interprete della storia però, è il paesaggio, in questo caso quello di Bologna, che grazie alla sua variegata e contrastante morfologia accoglie e a volte allontana il corpo umano.

La danza è un atto politico

Movimento e danza possono diventare anche una forma di sopravvivenza personale nei confronti di una forma oppressiva e un sistema politico radicale. In Medio Oriente, dove la guerra è all’ordine del giorno, artisti e interpreti contemporanei lottano contro instabilità politiche e religiose utilizzando la potente arma della cultura.

Eternal, Bassam Abou Diab

Nella coreografia Eternal, Bassam Abou Diab affronta la tematica della Primavera araba, il movimento di proteste dei regimi arabi durante il decennio scorso, raccontando attraverso il corpo e la voce, grazie all’aiuto di un interprete arabo-italiano, una gestualità simbolica e ritmica che si è trasformata per lui in movimento di libertà. L’interprete, che è lo stesso coreografo, narra la sua storia di fronte a una piazza del centro città popolata da spettatori attenti e da passanti curiosi. Il pubblico è invitato, diverse volte, da Bassam ad alzarsi e a imitare alcuni gesti che, ripetuti tutti insieme, ricreano un movimento sincronizzato tipico della protesta. Un vero coinvolgimento dello spettatore: all’inizio pare timoroso di intonare a gran voce l’inno d’Italia, ma poi si scioglie empaticamente e gradualmente verso il corpo danzante fino ad avvicinarsi e a condividere un’azione comune. La danza è non solo un’esperienza per conoscere sé stessi, ma un modo per esprimere la propria opinione liberamente in contesti dove non sempre e non a tutti è lecito parlare.

Un festival invasivo

Diverse sono le location del festival e oltre ai parchi e alle piazze all’aperto, i performers “invadono” spazi culturali. Il MAMbo-museo d’Arte Moderna di Bologna, diventa palcoscenico per molteplici spettacoli tra cui Come Neve e Breath with Me a Moment che si appropriano dei corridoi e delle sale del museo solo per pochi minuti, trasformando quel luogo dal tempo interrotto in uno spazio vivo. Lo spazio del MAMbo accoglie durante la settimana del festival anche una mostra inedita curata da Caterina Molteni, dal titolo Yvonne Rainer: Words, Dances, Films, una raccolta dei progetti coreografici, filmici e teorici dell’artista che negli anni sessanta e settanta cambiò il mondo della danza.
Anche la Chiesa di San Mattia, sconsacrata e divenuta dal 2014 spazio museale ed espositivo, è una sede suggestiva del festival.

Stuporosa, Francesco Marilungo (ph. Luca Del Pia)

Francesco Marilungo, performer e coreografo, presenta in questo spazio l’anteprima del suo Stuporosa, dove indaga un codice coreografico per il rituale funebre. La ricerca del coreografo, spinto dalla volontà di indagare il lutto e la morte nel mondo occidentale, parte dallo studio e dalla lettura del saggio “Morte e pianto rituale” di Ernesto De Martino, il quale scrive dell’importanza del pianto antico rituale come pratica mediterranea e precristiana fondamentale per superare la morte. Cinque performer, tra cui un’artista musicale e cantante, vestite a lutto, ricreano un movimento che ricorda un rito catatonico di lamento e purificazione. Singhiozzi, lacrime e pianti striduli si manifestano oltre che musicalmente anche visivamente grazie ai corpi che contraendosi e muovendosi nello spazio creano una vera e propria danza del dolore. La musica che accompagna questo rito attraverso la voce di Vera Di Lecce, music e vocal coaching oltre che performer, è una ricerca viscerale sull’incontro tra canti tradizionali e musica elettronica.
Queste figure lamentose, ricreano gesti e pose tipiche delle Prefiche, donne che nel mondo antico venivano pagate per piangere in onore del defunto.
Uno spettacolo ipnotico, che denuncia tutte quelle morti e quei corpi che nel nostro contemporaneo non hanno la possibilità di essere degnamente pianti e di cui rimane solamente un dolorosissimo e collettivo cordoglio.
Danza Urbana è un festival necessario per condividere la cultura e permettere degli incontri casuali, che possano avvicinare chi non avrebbe mai partecipato spontaneamente a una performance o a uno spettacolo, a questo mondo dove corpo e spazio sono in perenne dialogo e ricerca. Dopo anni di lontananza, dove il distacco è stato inevitabile e salvifico, è ora urgente recuperare il contatto, sia fisico che umano, tra performer e pubblico, per crescere come individui più consapevoli del proprio corpo.




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